1. DA CANE DA GUARDIA AD ANIMALE DA CIRCO DEI MEDIA! ARRIVANO I GIORNALISTI CON L’AGENTE 2. NON SOLO SANTORO CON LUCIO PRESTA: ECCO VISVERBI, L’AGENZIA CHE PIAZZA GLI OPINIONISTI IN TV. DA CRUCIANI E PARENZO A PAOLO MIELI, DA PIROSO A FACCI, SELVAGGIA LUCARELLI E ANDREA SCANZI: LA SCUDERIA DELLE OSPITATE MONOPOLIZZA LE TRASMISSIONI 3. A ‘REPUTESCION’’ (BY SCANZI) I COMMENTATORI VISVERBI VANNO PER LA MAGGIORE… 4. GESTIRE IL GIORNALISTA COME UN BRAND, UN PRODOTTO, UNA CELEBRITY RIENTRA TRA GLI IMPEGNI DELL’ITP 2000, L’AGENZIA DE’ SINISTRA DI BEPPE CASCHETTO, CHE SCHIERA DARIA BIGNARDI, LUCA TELESE, NICOLA PORRO, CRISTINA PARODI, LUCIA ANNUNZIATA, GIOVANNI FLORIS E ROBERTO SAVIANO, ILARIA D’AMICO, MICHELE CUCUZZA

Giovanni Cocconi per "Europa Quotidiano"

Il Premiolino alla Zanzara di Giuseppe Cruciani e David Parenzo ha sorpreso solo chi non li ha mai ascoltati. E' curioso, però, che il più antico premio giornalistico italiano sia arrivato nell'anno in cui il programma ha fatto parlare di sé soprattutto per il brutto scherzo giocato al "saggio" Valerio Onida con l'imitazione della falsa Margherita Hack. Una coincidenza? Forse ma la Zanzara di Cruciani & Parenzo esiste da quattro anni, la decisione di premiarlo è solo di un mese fa e dopo la beffa telefonica.

«Gli scherzi si sono sempre fatti, sono la storia della radio» ha ricordato giustamente Cruciani e chissà se pensava all'Orson Welles della Guerra dei mondi. Un precedente illustre in Italia esiste, anche se non radiofonico: il falso "scoop" di Giovani Minoli sui brogli al referendum monarchia-repubblica. Correva l'anno 1990: l'autore "giustificò" il programma come un'operazione di metalinguaggio.

Insomma, lo strano ibrido che da un po' di anni chiamiamo infotainment è ormai ampiamente sdoganato anche da noi. Però Striscia la notizia o Le Iene come tali non hanno mai vinto il Premiolino. Si spera non perché Antonio Ricci e Davide Parenti sono privi di tesserino dell'Ordine.

Michele Serra ha definito lo scherzo della Zanzara un caso di «mobbing telefonico». Troppo severo. Personalmente trovo il gioco delle parti tra Cruciani e Parenzo perfetto e il programma molto utile per capire gli istinti (anche bassi) di un pezzo d'Italia che esiste. Il corpo a corpo con gli ascoltatori funziona, la loro capacità demiurgica di strappare notizie agli ospiti non è da tutti. Piuttosto la domanda è un'altra: se lo scherzo telefonico lo avesse fatto, chessò, un altro giornalista di Radio24 sarebbe stato "perdonato"?

Intendo dire che Cruciani & Parenzo sono stati capaci di allargare le maglie del loro talk radiofonico al punto da rendere accettabile lo sconfinamento nell'intrattenimento puro e superata la distinzione tra i generi. Ma la domanda è: quanto questa capacità deriva dalla loro trasformazione in personaggi?

Ho capito di essere vecchio quando ho scoperto che esistono giornalisti italiani che hanno un manager. L'agenzia (la prima del genere, che io sappia) si chiama VisVerbi, esiste da un paio d'anni, l'hanno fondata due donne (Barbara Castorina e Camilla Buzzi) e sul sito si legge che si occupa del «management e della promozione dei giornalisti e opinionisti», e della «gestione della conduzione delle ospitate».

Per anni abbiamo parlato dello strapotere di Lucio Presta, Lele Mora (poi caduto in disgrazia) e Beppe Caschetto (a sua volta agente anche di giornalisti), ma non si era mai vista una scuderia solo di giornalisti trasversale rispetto alle testate e ai gruppi editoriali di appartenenza. Oltre a Cruciani e Parenzo, fanno parte di VisVerbi Paolo Mieli, Filippo Facci, Andrea Scanzi, Antonello Piroso, Selvaggia Lucarelli, i giornalisti di Radio24 Sebastiano Barisoni e Alessandro Milan.

In alcuni casi, per fortuna rari, questa appartenenza arriva anche a esiti comici, come nel programma Reputescion di Scanzi il quale, su dodici puntate, è riuscito a dedicarne tre a colleghi di scuderia (Facci, Cruciani e Lucarelli). La prova che VisVerbi funziona. Anzi, l'agenzia si comporta da producer: programmi, libri, spettacoli. Nella puntata a lui dedicata Facci dice qualcosa di illuminante: «Marco Travaglio non fa più il giornalista tradizionale, è una figura in via di definizione che fa un po' satira, un po' teatro, un po' editoriali».

Chissà se sapeva che l'intervistatore che gli sedeva di fronte, Scanzi, era reduce da un tournée in giro per i teatri con un monologo su Giorgio Gaber. Sul sito di VisVerbi Scanzi è definito «opinionista televisivo, ma anche monologhista satirico», oltreché giornalista del Fattoquotidiano. Il teatro è una passione anche di altri: Cruciani e Parenzo hanno da poco debuttato con il "theater talk" Goodyby Mr Capitalism? al Franco Parenti di Milano. Ai tempi de La7 anche Piroso non disdegnava i monologhi in tv.

Il metodo VisVerbi è chiaro: gestire il giornalista come un brand, un prodotto, una celebrity. Un approccio che coglie un fenomeno molto noto nella società dello spettacolo ma relativamente nuovo nel giornalismo italiano, e che tende a prendere piede anche nel mondo dei social network (ma il tema meriterebbe un'analisi a parte). Provo a dirlo con una formula: il personaggio prende il posto del giornalista.

Per personaggio intendo una personalizzazione spinta, un opinionismo forte, un tipo fisico, un carattere, un'immagine coerente. Un brand, appunto. E un brand non può permettersi incertezze, dubbi, domande, congetture e confutazioni sulla base dei fatti.

Marco Travaglio è un buon esempio di quello che intendo: sul Fattoquotidiano, nello studio di Servizio pubblico o su un palcoscenico teatrale scrive o interpreta più o meno lo stesso pezzo, con le stesse metafore, lo stesso ritmo, lo stesso sarcasmo, le stesse idee. Piace proprio per quello anche se la sua opinione non ci sorprende. Venerdì sera, in provincia di Reggio Emilia, aprirà la festa del Fattoquotidiano con il monologo "L'inciucio". Sicuri che dirà qualcosa che non ci aspettiamo?

Siamo molte oltre la tradizionale definizione di firma: Vittorio Feltri è una firma, Scanzi è un personaggio. In questo senso un'agenzia come VisVerbi sembra cogliere lo spirito del tempo, una trasformazione in atto, una mutazione del ruolo del giornalista: è un sintomo, non la causa di un fenomeno che, forse, ha già fatto egemonia. Provate ad andare in un'aula universitaria e chiedete: chi è il vostro giornalista modello?

 

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