CYBER-SCHIAVI: PAGATI MEZZO CENT PER METTERE 50 ‘’MI PIACE’’ SU UNA PAGINA FACEBOOK

Alessandro Longo per "l'Espresso"

Sono giovani, in prevalenza donne, e lavorano per persone o aziende che non conoscono, attraverso siti Web quasi sempre americani. Il lavoro: tradurre una frase, sottotitolare un film, scrivere un po' di codice per un videogioco da cellulare, dare assistenza on line a qualche cliente di grandi aziende. Ma anche - e forse è peggio - mettere "50 mi piace" su una pagine Facebook o scrivere una recensione (fasulla) di un albergo o di un ristorante su Tripadvisor.

Certo, ci sono anche buone occasioni, con cui un laureando può aspirare a portare a casa fino a un centinaio di euro al giorno. Ma varie stime internazionali rivelano che il guadagno medio è molto meno roseo: due o tre euro all'ora, fino a un massimo di quattro o cinque se si è molto veloci. Senza tutele, né garanzie. Nemmeno quella di essere davvero pagati, alla fine.

È il fenomeno del crowdworking, fusione di due termini inglesi ("work" e "crowd", cioè folla), l'ultima frontiera di lavoro disgregato e miniaturizzato nell'era post industriale.
Il sito più famoso che offre crowdworking è quello del gigante americano Amazon, ma il fenomeno ora attecchisce anche in Italia: ci sono siti italiani che lo offrono e una quantità crescente di persone che vi ricorrono.

Proprio mentre negli Usa sociologi ed economisti cominciano a interrogarsi sui pericoli: sul fatto che questa forma estrema di outsourcing è la morte di tutti i diritti sociali conquistati nel Novecento e che forse bisogna cominciare a escogitare nuove regole internazionali che tutelino anche queste forme di lavoro.

Intanto, da noi si fanno le prime stime: «Sono circa 100 mila gli italiani che a diverso titolo hanno percepito un compenso saltuario o continuativo aderendo a progetti di crowdworking», dice Bruno Pellegrini, tra i maggiori esperti italiani di digital media e social business.

«Ci sono piattaforme italiane come Userfarm (di cui sono tra gli ideatori) o Zooppa, dove prevalgono i microlavori a carattere creativo, come realizzare un video pubblicitario o presentare un progetto grafico», continua Pellegrini. «Ma la maggior parte degli offerenti italiani lavora su piattaforme straniere come Mechanical Turk di Amazon, Odesk, Freelancer.com, CrowdFlower, svincolate dalle nostre norme del diritto del lavoro».

Una recente ricerca della Stern School of Business (Università di New York) dice che solo sul servizio Amazon Mturk.com lavorano 500 mila persone da più di cento paesi, per il 70 per cento donne. Per il 50 per cento sono negli Usa e per il 40 per cento in India, con paghe che vanno da 1,20 a 5 dollari all'ora. Sono trattati come collaboratori autonomi e così non hanno diritto ai minimi salariali. Lo stesso sito Amazon evidenzia una frase di un amministratore delegato soddisfatto: «Risparmiamo il 50 per cento rispetto ad altre forme di outsourcing».

Al momento sono quasi 300 mila i mini lavori ("micro-task", micro-compiti, alla lettera) disponibili su Mturk. Alcuni, basilari, sono aperti a qualunque utente Internet. Tra gli ultimi, si legge: inserire i nomi degli attori in un video porno, ricopiare la lista di oggetti acquistati da una fattura, identificare l'etnia di persone in una foto, trascrivere il testo da un biglietto da visita.

Pagamento tipico, mezzo centesimo di dollaro per ogni elemento del compito. Va un po' meglio per i lavori qualificati, tipo scrivere un articolo da 300 parole (10 dollari) o trascrivere le parole di una registrazione audio (20 dollari). Ma sono aperti solo a chi ha superato test di qualifica - da fare sempre su MTurk- per quel tipo di lavoro.

Sono comunque lavori "crowd" e non solo perché il datore si rivolge a una folla anonima di aspiranti; ma anche perché può parcellizzare il compito tra tante persone. Un'azienda vuole tradurre un libro dall'inglese all'italiano? Può suddividerlo in pagine da assegnare a ciascun utente.

Basse paghe al solito comportano un lavoro frettoloso e quindi scadente, ma le aziende hanno trovato un rimedio anche a questo, come rileva la ricerca della Stern School of Business: assegnano lo stesso compito a persone diverse (tanto costa così poco) e poi scelgono la versione migliore.

Siamo di fronte a una nuova forma di parcellizzazione del lavoro, un po' come le catene di montaggio: l'utente non è solo pagato poco ma spesso è anche ignaro del senso finale della propria opera (concetto che per il marxismo era alla base dell'alienazione dell'operaio). La differenza è che adesso, nel crowdworking, a essere disgregato non è solo il lavoro, ma anche i lavoratori, sparsi e anonimi ai quattro angoli del globo.

«Si è realizzato il vecchio sogno capitalistico di poter disporre di marea di lavoratori su scala planetaria e quindi giocare al ribasso su tariffe e garanzie», spiega Juan Carlos de Martin, direttore del centro Nexa su Internet e Società al Politecnico di Torino.

«Ne possono beneficiare i lavoratori che vivono in paesi ad alta disoccupazione e dove non ci sono diritti sociali. Ma il fenomeno pone pressione su quelli dei paesi sviluppati», continua. «Nessuno si occupa di questi lavoratori, nemmeno in Italia: non i politici, non i sindacati», aggiunge il sociologo Emanuele Toscano.

Conferma il sociologo Giovanni Boccia Artieri, esperto di nuove tecnologie: «Si tratta di una forma di cottimo digitale che non è tutelata perché non riconosciuta da movimenti sindacali né dalla società. Il vero problema è che questa modalità di lavoro si associa oggi alla recessione. Il risultato è che le fasce più deboli vengono assoggettate ad uno sfruttamento che unisce un risibile guadagno all'iper frammentazione del lavoro in micro attività sconnesse e disperse nella giornata».

Esiste tuttavia anche un crowd di valore. Capita sulle piattaforme italiane, organizzate in modo diverso rispetto a Mturk: spesso mettono a gara un progetto da centinaia o migliaia di euro e il candidato migliore vince. Su Userfarm la Rai chiede di scrivere un soggetto con una storia vera, che poi sarà trasformato in un filmato da videomaker. Valore complessivo del progetto, 22.500 euro. Su Zooppa, Garzanti (De Agostini) ha messo in gara la realizzazione di uno spot video per promuovere nuove app per cellulari.

Spiega Pellegrini: «Il crowdworking è ormai adottato da molte aziende per essere più competitive. Procter & Gamble da anni si rivolge a piattaforme come Innocentive per avere idee su nuovi prodotti da fabbricare. È uno straordinario strumento non solo per risparmiare ma anche per creare valore e innovazione, grazie alla forza delle tante intelligenze all'opera su un progetto».

«Sulla nostra piattaforma ci sono studenti di giurisprudenza che danno pareri su un contratto di franchising o neo laureati in scienze della comunicazione che partecipano a indagini statistiche per conto di aziende», dice Francesco De Gennaro, fondatore di University4Business, che si rivolge agli iscritti all'università e a chi si è laureato da meno di un anno. È nato a febbraio e ad oggi ha ospitato otto gare (di 20 aziende), in media con un compenso da 500 euro (da dividere tra vincitori, al solito due). Sono lavori da circa cento euro al giorno.

«Ci sono aspetti positivi: diventa possibile lavorare vicini al luogo in cui si vive, senza bisogno di emigrazione o pendolarismi; si favorisce l'occupazione in territori e fasce della popolazione poco attivi», dice Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia all'università Cattolica di Milano. «Ma c'è bisogno di un impegno politico e sociale per evitare le derive dello sfruttamento», continua.

Come? «Con forme di governance che mitighino gli effetti della competizione di mercato. Tutele e diritti, insomma», dice Nancy Folbre, docente di economia all'Università del Massachusetts, che ha aperto il dibattito su questi lavori. «I sindacati devono tutelare anche questi lavoratori, che adesso sono in totale svantaggio di potere verso i committenti», dice Magatti.

«Serve un reddito minimo di cittadinanza che copra anche queste attività escluse dal welfare concepito nell'era industriale», sostiene Toscano. «Per evitare la cyber-schiavitù, abbiamo almeno bisogno di leggi per proibire questi lavori a persone non autonome o ricattabili», suggerisce Norberto Patrignani, docente di Computer Ethics al Politecnico di Torino.

Tante idee, ma la soluzione è lontana: è appena cominciato il dibattito per trovarla. Al momento, gli utenti si arrangiano con piattaforme come Turkopticon, che monitorano la reputazione dei committenti e così evitano almeno le fregature. Come non essere pagati. È il tipico meccanismo con cui Internet riesce a partorire rimedi alle proprie stesse lacune. Ma in questo caso il problema è troppo ampio e radicato nella società per lasciarlo alle sole cure della Rete.

 

 

LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARItripadvisor AMAZON MECHANICAL TURK jpegZOOPPA USERFARM

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