massimo dalema d alema matteo renzi

IL ROTTAMATORE È DIVENTATO UN VECCHIO ARNESE - RENZI SCALPITA PER LE NOMINE, D'ALEMA HA ALTRI PROGRAMMI. MA BAFFINO DEVE SCONTRARSI CON L'OSTILITÀ DI BETTINI, CHE RAPPRESENTA UN PARTITO CHE VALE CINQUE VOLTE I LORO - SUL TEMA DESCALZI FRACCARO È STATO CHIARO: IL M5S NON SI METTERÀ DI TRAVERSO SU UNA CONFERMA SOLO SE IL PD CI METTERÀ LA FACCIA, CONSIDERANDOLO UN NOME ''LORO''

 

 

1. MATTEO STREPITA PER AVERE ENI O ENEL MA D'ALEMA HA DEGLI ALTRI PROGRAMMI

Claudio Antonelli per ''la Verità''

 

È il febbraio del 2017 quando Matteo Renzi fa un veloce viaggio in California.

D' altronde non basta più l' Arno per sciacquare i panni e diventare grandi comunicatori: serve molto di più, ai tempi moderni. Così, per essere leader del futuro e conferenziere di successo, l' ex premier si immerge nel tempio della Silicon Valley. Solo che mentre è fuori Italia si consuma in fretta la scissione del Pd. Intervistato da Fabio Fazio, Renzi punta subito il dito contro Massimo D' Alema.

dalema boschi renzi dalema

 

«Era tutto scritto, ideato e prodotto da D' Alema. Io mi sono dimesso perché era giusto, per poter scegliere il nuovo segretario. E loro se ne sono andati lo stesso. Mi si può chiedere di dimettermi, non di non ricandidarmi. Di rinunciare al mio sogno. Mi dispiace. D' Alema e i suoi non hanno mandato giù il rospo: che qualcuno non dei loro dirigesse il Pd».

 

Pochi giorni prima l' ex capo dei Ds aveva avuto modo di definire lo scout di Rignano «arrogante», ribadendo le accuse mosse già nel 2013, quando non gli aveva lesinato epiteti come «giamburrasca» e «inaffidabile».

 

Il rapporto tra i due politici adesso sembra essere cambiato radicalmente. Non si parlano più. Si combattono dietro le quinte a colpi di poltrone e scelte tattiche attorno alle partecipate di Stato. A far saltare la mosca la naso di Renzi sarebbe stata la riunione informale che si è tenuta la scorsa settimana tra Pd e 5 stelle per avviare una prima forma di manuale Cencelli delle oltre 300 nomine in scadenza da qui a fine giugno. Molte dipendono direttamente dal Mef che, inutile ribadire, è guidato da Roberto Gualtieri, che con D' Alema condivide una buona fetta di storia. E Baffino, del resto, è molto ascoltato anche da Conte.

 

Dall' incontro sarebbe emerso che nessuno dei primi cinque amministratori delegati delle big pubbliche (Eni, Enel, Terna, Leonardo e Poste) sarà di emanazione renziana.

D ALEMA RENZI TOTTI

D' altronde, Italia viva è poco più di un supporter che vale - a essere ottimisti - un 5%. Per l' ex sindaco di Firenze un colpo basso, visto che è convinto di portare a casa almeno uno degli ad di Eni o Enel. Nemmeno l' ipotesi di poter avanzare la candidatura di uno dei presidenti (o tre consiglieri tra le 5 big) l' avrebbe fatto stare sereno. Da uomo di palazzo sa che non siamo ancora nella fase delle liste.

 

Proprio per questo la cosa fondamentale è fissare le regole del gioco per definire il potere futuro. La cosa che più lo farebbe imbestialire è l' attivismo di D' Alema, che già a novembre (all' epoca delle 50 nomine tra le controllate di Cdp) ha piazzato pedine molto importanti. Nel frattempo, la capacità di lungo corso del diessino gli ha consentito di mangiarsi pian piano i grillini. Basti pensare al caso di Antonio Agostini. Il neo presidente del Demanio è storicamente vicino a D' Alema, eppure è finito a dirigere l' Agenzia fiscale spinto dalla componente 5 stelle.

CLAUDIO DESCALZI CON LA MOGLIE MARIA MAGDALENA INGOBA

 

Stefano Buffagni è da mesi caduto in disgrazia: non si occupa più di nomine. Al suo posto il Movimento ha scelto il ministro Riccardo Fraccaro, il quale non maneggia direttamente la pratica. Ad aiutarlo è Antonio Rizzo. Assurto alle cronache come «gola profonda» di Mps, oltre a essere il volto dietro lo pseudonimo di «Superbonus» (editorialista finanziario e blogger per il sito del Fatto Quotidiano. Nel 2008 fu lui a rivelare le dinamiche dietro alla cosiddetta «banda del 5%». Adesso si prepara a consigliare Fraccaro su chi saranno i prossimi vertici di Mps.

 

Bizzarro, visto il suo pregresso... Peccato che Rizzo, seppur da posizioni opposte, conosca molto bene il banchiere dalemiano per antonomasia, Vincenzo De Bustis. Anche se interdetto per la vicenda Pop Bari, resta influente e non lesinerà consigli ai 5 stelle disposti ad ascoltarlo.

 

Un' ipotesi che rafforza D' Alema e fa doppiamente imbestialire Renzi.

Descalzi

Quest' ultimo sa che se non può infilarsi nelle fratture tra Pd e 5 stelle perderà ogni potere e ogni occasione di piazzare qualche uomo. Sapere che i 5 stelle possono essere inconsapevolmente infiltrati dall' intellighenzia diessina lo spinge a minacciare la crisi di governo.

 

 I contenuti ormai non c' entrano nulla. La scusa può essere il Milleproroghe, come la prescrizione. Il tema vero è l' esercizio del potere. Solo che più si sbraccia e più rischia di fare danni. Più urla, più danneggia i manager che lui stesso aveva nominato appena diventato presidente del Consiglio. Così il senatore di Scandicci si chiede se Matteo Del Fante o Francesco Starace siano ancora da considerare manager disposti ad ascoltarlo.

 

Ciò che è certo è che nella battaglia tra D' Alema e Renzi è chiaro che il primo sa di avere tante altre occasioni per piazzare i suoi uomini, mentre il capo di Italia viva si muove scomposto. Sa che questa sarà per lui l' ultima occasione di partecipare alle nomine.

Bettini e Zingaretti

 

 

2. GUERRA DELLE NOMINE, RENZI È TORNATO SUL LUOGO DEL DELITTO

Carlo Tecce e Giorgio Meletti per ''il Fatto Quotidiano''

 

 

Il 14 febbraio 2014, Enrico Letta salì al Quirinale per dimettersi da presidente del Consiglio. La fretta di Matteo Renzi di fargli le scarpe a colpi di #enricostaisereno, con il supporto logistico di Giorgio Napolitano , aveva un' unica spiegazione: installarsi a Palazzo Chigi in tempo per gestire la tornata di 400 nomine nelle società controllate dallo Stato, a cominciare dalle più appetibili, Eni, Enel, Poste e Leonardo. L' analisi di Riccardo Fraccaro , esponente non di primissimo piano dei Cinque Stelle, fu assai severa: "La verità è che ha fretta di gestire la prossima infornata di poltrone. Il neopremier è un cinico arrivista, un arrampicatore politico senza scrupoli. Invece di occupare militarmente le poltrone, adotti una procedura trasparente per il rinnovo dei vertici dei più importanti gruppi d' Italia".

 

riccardo fraccaro

Sei anni dopo, anche ieri la festa di San Valentino è stata segnata dai venti di crisi soffiati da Renzi. Ancora una volta la vera posta in palio, nell' immediato, è la spartizione delle poltrone.

 

Solo che stavolta è Fraccaro al tavolo principale. Spentasi la stella di Luigi Di Maio e passata la meteora Stefano Buffagni , è lui, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a rappresentare i Cinque Stelle al suk delle poltrone (per la verità non trasparente come Fraccaro pretendeva da giovane). M5S e Pd, come azionisti di riferimento del governo Conte, conducono il gioco. Nicola Zingaretti ha la sponda dell' amico Roberto Gualtieri , ministro dell' Economia, aiutato a sua volta nel disbrigo della pratica dall' attivissimo capo della segretaria Ignazio Vacca .

 

Essendo Gualtieri titolare del decisivo potere formale di proposta dei grossi nomi da portare al Consiglio dei ministri, in questa fase il ruolo di Giuseppe Conte è ridimensionato, non avendo voluto, o potuto, accollarsi la mediazione tra i variegati appetiti della maggioranza. Anche se non ci sono tavoli formali, sono Fraccaro e Zingaretti (alias Gualtieri, alias Vacca) a condividere la discussione, già fitta a quattro-cinque settimane dall' appuntamento con le nomine, con i piccoli azionisti della maggioranza, ex Leu e Italia viva, e con un grande vecchio come Massimo D' Alema che gioca più che altro a titolo personale e, ringalluzzito dalla nomina dell' amico Rodolfo Errore alla presidenza della Sace, si dà molto da fare convinto com' è di poter ancora contribuire al bene del Paese suggerendo qualche nome giusto per una delle circa 400 poltrone in palio.

 

riccardo fraccaro

A differenza di sei anni fa, non potendo sbancare Palazzo Chigi e fare bottino pieno, Renzi è costretto a minacciare sfracelli per ottenere qualche poltroncina in più. "Finora non ci hanno fatto toccare palla", piagnucolano i suoi, anonimamente, per giustificare le insensate intemperanze del capo sulla prescrizione. Martedì in aula è in agenda la partita preliminare per le autorità per la Privacy e per le Comunicazioni, con otto mesi di ritardo e con una forte sensazione di ennesimo rinvio. Al momento Renzi è fuori dalla contesa, un pessimo segnale che l' ha innervosito. Neppure stavolta, però, i deputati e i senatori dovrebbe riuscire a scegliere i quattro componenti della Privacy e i quattro dell' Agcom più il presidente che spetta al governo con l' avallo dei due terzi delle commissioni competenti.

 

In mancanza di accordo nel collegio, la Privacy va al più anziano: il centrodestra aveva puntato sul candidato senatore Ignazio La Russa , classe 1947, il centrosinistra ha replicato col giurista Pasquale Stanzione (1945), il centrodestra ha sfoderato l' imbattibile Raffaele Squitieri (1941), ex Corte dei Conti. In questo stato di salute la maggioranza di governo si prepara ad affrontare i dossier Eni & C con un' accortezza: non toccare gli amministratori delegati, anche se vacillano Luigi Ferraris di Terna e Alessandro Profumo di Leonardo, e cambiare i presidenti, con le eccezioni di Gianni De Gennaro di Leonardo e Patrizia Grieco di Enel, protetta dall' ad Francesco Starace , il manager che è talmente tranquillo da spendersi per altri e non per sé.

STEFANO BUFFAGNI LUIGI DI MAIO

 

Per la multinazionale del petrolio serve l' impresa più coraggiosa: dimostrare che le vicende giudiziarie di Claudio Descalzi e i conflitti d' interessi con gli affari passati della moglie non siano una variabile. A chiedere la conferma del numero uno pare siano scesi in campo i Paesi dove l' Eni estrae greggio, con i quali Descalzi si è dato molto da fare, e la loro domanda di continuità non ha trovato insensibile il Quirinale.

 

I Cinque Stelle non farebbero barricate se però il Pd ci mette la faccia intestandosi il terzo mandato dell' amministratore delegato. In tal caso Marco Alverà di Snam, legato al sistema dell' ex ad Paolo Scaroni e in campagna elettorale da mesi, aspetterebbe il prossimo giro. In Poste si aspetta la formalità per brindare al bis di Matteo Del Fante , adottato dai renziani e poi adorato dai pentastellati, ma soprattutto scortato dal vice Giuseppe Lasco ; invece Emma Marcegaglia , il presidente di Eni, non ha speranze e Giampaolo Massolo (oggi in Fincantieri) scalpita.

 

gianni de gennaro foto di bacco

In Fincantieri, sotto la guida di Giuseppe Bono , è cominciata la carriera di Fabrizio Palermo . Il capo di Cassa Depositi e Prestiti si considera uomo di industria e pensa a un ritorno nel settore, magari in Leonardo, ma Profumo ha un buon rapporto con M5S e Pd e la spinta del Quirinale. Palermo libererebbe l' ambita poltrona in Cdp. Ma un governo così debole non può permettersi un disegno così ampio. La politica si accontenta di ritoccare qua e là i vertici delle aziende e di scannarsi per i consigli di amministrazione.

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