POTERI MARCI - GERONZONE E MATTEUCCIO ARPE SI BECCANO UNA SIGNORA CONDANNA IN PRIMO GRADO PER AVER COSTRETTO TANZI (SULL’ORLO DEL FALLIMENTO) A COMPRARSI LE ACQUE MINERALI DEL CIARRA (A SUA VOLTA GRANDE DEBITORE DI BANCA DI ROMA E PROTETTO DI ANDREOTTI) - IL SOLITO MISCHIONE: AMICIZIE INTERESSATE, PRESSIONI POLITICHE, FAMILISMO AMORALE - ARPE: “LA SENTENZA RICONOSCE LA MIA ESTRANEITÀ NEL CASO CIAPPAZZI E DUNQUE MI ASSOLVE. MI CONDANNANO PER PARMATOUR, FINANZIAMENTO DELIBERATO IN MIA ASSENZA E A CUI MI ERO OPPOSTO"…

1 - BANCAROTTA E USURA: 5 ANNI A GERONZI
Paolo Colonnello per "la Stampa"

Con la condanna a 3 anni e 7 mesi per Matteo Arpe e a 5 anni per Cesare Geronzi in relazione alla vendita nel 2002 di una società di acque minerali di Giuseppe Ciarrapico a Calisto Tanzi, ieri il tribunale di Parma ha fatto le prove generali per il processo che dovrà concludersi tra qualche mese sul ruolo delle banche nel crac Parmalat.

Indipendentemente dai ruoli dei due imputati eccellenti, che protestano la loro innocenza e parlano di «sentenza paradossale», la decisione dei giudici del tribunale parmigiano che ha riguardato anche altri 3 manager e ha stabilito il risarcimento del danno cagionato alle parti civili in solido con Unicredit - lascia capire ben altro.

Ovvero, che dietro il default della più grande azienda agroalimentare italiana i magistrati intravedono non solo le responsabilità dei principali attori di quella storia, ovvero l'ex patron Calisto Tanzi - in carcere per scontare una pena residua di 4 anni e 8 mesi per aggiotaggio - e l'ex direttore finanziario Fausto Tonna (libero dopo pentimento e patteggiamento) ma anche la partecipazione attiva degli istituti di credito che, colpevolmente, finanziarono quella che a processo è stata definita «la più grande fabbrica di debiti d'Europa», rifilando a un'azienda che da tempo consideravano decotta i loro «bidoni» e facendo scontare i costi a ignari investitori con l'emissione di bond spazzatura.

Nel caso del cosiddetto processo «Ciappazzi», dal nome della fabbrica di acque minerali rilevata da Parmalat nel 2002 per ottenere finanziamenti che tamponassero l'emorragia di Parmatour, secondo i giudici e prima ancora i pm che avevano calcolato pesi diversi nella distribuzione delle responsabilità (minori per Arpe, accusato «solo» di concorso in bancarotta fraudolenta, maggiori per Geronzi che deve rispondere anche di usura), gli allora vertici apicali di Capitalia agirono da predatori.

Azienda di acque minerali ormai decotta, la «Ciappazzi» venne venduta a Tanzi «obtorto collo», per fare un piacere al grande amico di Andreotti Giuseppe Ciarrapico e alla stessa Capitalia che aveva bisogno di disfarsi di un asset problematico finito anche nel mirino di Bankitalia. In cambio dell'acquisto, per 35 miliardi di lire a tassi di usura, Tanzi avrebbe ottenuto un finanziamento di quasi 100 miliardi (50 milioni di euro) per tamponare, inutilmente, la crisi di Parmatour. Alla riunione finale negli uffici di Capitalia, Arpe però non partecipò in disaccordo con Geronzi, visto che, ha sostenuto la sua difesa, non avrebbe voluto concedere il finanziamento a Parmatour.

Il pagamento di Ciappazzi venne deciso a rate ma dopo la seconda rata, Tanzi, che si era accorto di aver acquistato un bidone (la concessione in Sicilia era scaduta e gli impianti producevano ruggine) decise di non pagare più. Capitalia bloccò il finanziamento a Parmatour girandolo a Parmalat che a cascata lo rigirò alla società di viaggi. Al termine il banco saltò e il resto della storia è noto.

Per la difesa Geronzi, rappresentata dal professor Ennio Amodio, si tratta comunque di una «sentenza ingiusta perché il tribunale ha equiparato erroneamente un banchiere all'imprenditore presumendo che prima di concedere il finanziamentro dovesse conoscere l'attività illecita emersa successivamente dalle inchieste di Parmalat. Nessun testimone o documento ha indicato Geronzi come artefice del finanziamento o che abbia concorso all'acquisto della Ciappazzi». Mentre per la difesa di Arpe è lui stesso a parlare, spingendosi a un paradosso: «La sentenza riconosce la mia estraneità alla vicenda e dunque mi assolve».

Secondo il banchiere di Sator, i 3 anni e 7 mesi di condanna sarebbero dunque da attribuire al solo «finanziamento Parmatour al quale mi ero opposto, che è stato deliberato in mia assenza e che non avrei potuto impedire neppure ex post. Sotto questo aspetto la decisione pare francamente paradossale e soprattutto non meritata. Sicuramente le sentenze vanno rispettate ma è certo che faremo appello». Appello dunque, con sospensione delle pene comprese quelle accessorie come l'interdizione ad incarichi dirigenziali o all'attività d'impresa per 10 anni e dai pubblici uffici per 5.


2 - E L'UOMO CHE VOLEVA ESSERE CUCCIA RISCHIA LA PENSIONE...
Gianluca Paolucci per "la Stampa"

La parola fine alle ambizioni di Cesare Geronzi. Così una figura di primo piano della finanza italiana commenta la sentenza con la quale il tribunale di Parma ha condannato l'ex numero uno di Capitalia, poi di Mediobanca e Generali, a cinque anni per bancarotta fraudolenta e usura.

Nella sua ultima apparizione pubblica, per la consegna del premio Guido Carli, Geronzi aveva usato parole che a molti erano sembrate l'annuncio del suo prossimo ritorno sulla scena. Commemorando la figura dell'ex governatore di Bankitalia, a Montecitorio, sembrò riferirsi a se stesso, Cesare Geronzi da Marino, classe 1935, in quel giorno di maggio già ex uomo più potente della finanza italiana. «Carli era convinto che le difficoltà paralizzanti dovessero essere superate con determinazione - disse l'ex banchiere ed ex assicuratore -, anche abbandonando il terreno di scontro, per poi riprendere con rinnovato impegno nuove strade, ma sempre con i medesimi punti cardinali».

«Corsi e ricorsi storici»: concluse il suo intervento. Non prima di aver ricordato che «era la visione degli interessi generali che ha informato l'agire di tutti quanti sono stati alla sua scuola», disse il banchiere, che proprio Carli aveva voluto a capo dell'ufficio cambi di Bankitalia. «Quegli interessi che oggi sembrano diventare quasi turpiloquio, secondo qualche benpensante, così come, di tanto in tanto, viene bandito il riferimento al sistema. E poi improvvisamente ne viene fuori una smodata esaltazione».

Poco più di un mese prima, il 6 aprile, una singolare alleanza tra azionisti privati con l'appoggio di Mediobanca - primo azionista del Leone, che pure lo aveva indicato per quella poltrona era riuscita nell'impresa sorprendente di estrometterlo dalla presidenza delle Assicurazioni Generali, dove si era sistemato da appena un anno. La notizia delle sue dimissioni a sorpresa, da Trieste fino a Londra e New York, sembrò proprio l'annuncio di una rivoluzione. Il Wall Street Journal, per dire, definì quel 6 aprile «un giorno di sole per l'Italia».

Uomo dai rapporti trasversali con la politica costruiti in anni di gestione della prima banca della capitale, dai suoi avversari gli veniva rimproverata l'eccessiva spregiudicatezza nella concessione di crediti sulla base di criteri non sempre cristallini. «L'aspetto reputazionale non sembra essere la sua priorità», dice di lui un banchiere d'affari. Un esempio del suo modus operandi si trova proprio tra le carte del processo Ciappazzi, vicenda minore ma emblematica nel grande crac Parmalat. Si tratta della testimonianza di un'imprenditrice, che racconta di come lo stesso Geronzi, dopo il crac, legò la concessione di nuovo credito per le sue attività alla presentazione di una manifestazione d'interesse per la Ciappazzi.

L'elenco del suo coinvolgimento in casi giudiziari è lungo: assolto nel crac Federconsorzi, oltre alle acque minerali di Ciappazzi è indagato nel filone principale del crac Parmalat, prosciolto dall'accusa di estorsione per la vicenda Eurolat, condannato in primo grado per il crac Cirio (4 anni per concorso in bancarotta), assolto in appello per il crac Italcase-Bagaglino.

Proprio alle sue pendenze con la giustizia gli osservatori avevano legato il passaggio da Mediobanca a Generali, compiuto nel 2010. I requisiti di onorabilità previsti per i gruppi bancari avrebbero infatti impedito la sua permanenza in piazzetta Cuccia in caso di condanne per bancarotta, ma le stesse regole non valgono per i gruppi assicurativi.

Lui, memore della lezione di Carli, nel comunicato che ufficializzava l'addio dal Leone fece inserire il riferimento al «superiore interesse della Compagnia» e di certo pensava ad un arrivederci, più che a un addio. Ma dopo l'esperienza in Bankitalia, la raffica di fusioni che aveva portato alla nascita di Banca di Roma e Capitalia e le presidenze di Mediobanca prima e Generali poi l'uomo che voleva farsi Enrico Cuccia difficilmente si rassegnerà alla pensione.

 

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