UNA GIUSTIZIA DI ACCIAIO - OSCAR GIANNINO: “FORSE I MORTI DI CANCRO A TARANTO MERITANO ANCHE DECISIONI MENO IRRESPONSABILI: IN NESSUN ALTRO PAESE SI PROCEDEREBBE ALLA CHIUSURA DELLA PRIMA ACCIAIERIA D'EUROPA ATTRAVERSO MISURE CAUTELARI PENALI DELLA MAGISTRATURA” - LE COLATE A CALDO NON SI SPENGONO E RIATTIVANO COME UNA LAMPADINA CON UN'INTERRUTTORE - CENTOMILA LAVORATORI SAREBBERO COLPITI NELL'INDOTTO”…

Oscar Giannino per Il Messaggero

Purtroppo sulla vicenda Ilva avevamo ragione a temere. All'indomani delle decisioni assunte dal Tribunale del riesame, che erano sembrate ispirate a sostanziale buon senso, il procuratore capo di Taranto aveva rilasciato dichiarazioni purtroppo inequivocabili.

Per l'accusa, prima ancora di attendere e leggere il dispositivo delle decisioni assunte dal Riesame, ciò che andava sottolineato era che in nessun caso le colate a caldo di acciaio potevano continuare, bensì le uniche attività consentite in stabilimento dovevano essere quelle dell'abbattimento delle emissioni nocive per lavoratori, popolazione e ambiente.

Il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco venerdì 10 agosto ha deciso di far immediatamente propria questa stessa interpretazione della procura, e di conseguenza ha notificato all'Ilva e ai suoi custodi giudiziali e amministrativi nominati dal tribunale una sorta di tassativa interpretazione autentica del sequestro giudiziale da lei stessa disposto: la produzione di acciaio deve cessare.

Il nuovo colpo di scena evoca immediatamente tre problemi assai seri. Il primo è di ordine giudiziale. Poiché risulta evidente che il gip si considera dominus del procedimento anche in relazione al tribunale del Riesame, in materia di interpretazione di legge delle misure cautelari in ordine ai reati assai gravi per i quali si procede, è ovvio che si finisca a questo punto dritti in Cassazione, con l'impugnativa alla nuova ordinanza deliberata dall'Ilva.

Sarebbe stato meglio evitarlo, perché alzare ulteriormente il livello della contesa giudiziaria non aiuta certo a considerare la sostanza del problema, al di là della sua giuridicizzazione. L'azienda fa bene a notare che nella decisione del Riesame di sospensione della produzione non si parlava, mentre di questo il gip non si dà per inteso.

Il secondo problema è appunto quello di sostanza, immediatamente richiamato dai lavoratori dell'Ilva come dalla società stessa, non appena la magistratura intervenne con arresti e sequestri dopo più di tre anni d'indagini. La sostanza è che in nessun altro Paese si procederebbe alla chiusura della prima acciaieria d'Europa attraverso misure cautelari penali della magistratura.

Ripetere «la legge è legge» e restare indifferenti alla chiusura - le colate a caldo non si spengono e riattivano come una lampadina con un'interruttore - di un impianto che rappresenta oggi il 75 per cento del Pil della provincia di Brindisi e il 65 per cento della movimentazione del suo porto;

voltarsi dall'altra parte di fronte al fatto che ciò implica anche la chiusura a valle dei siti di Novi Ligure e Genova, mettendo alle corde il ventesimo gruppo acciaiero al mondo mentre i suoi proprietari sono in custodia cautelare;

fare spallucce di fronte al fatto che centomila lavoratori sarebbero colpiti nell'indotto e che tutti i clienti italiani dei Riva dovrebbero a questo punto più onerosamente rifornirsi all'estero, tutto questo è troppo paradossalmente insensato per dover essere accolto in obbedienza al principio per cui chi avanza questa filza di ragioni sarebbe un nemico dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.

Qui si tratta di buon senso e di difesa dell'economia e del lavoro, e si avvia a perdizione un Paese in cui tutto ciò vale nulla rispetto al formalismo giuridico.

La terza questione è anch'essa, però, sostanziale. Se in Italia arriviamo a perseguire come dolosi perpetratori di stragi e di devastazioni i privati che hanno ridato redditività e mercato a impianti che lo Stato aveva portato a fallimento, e decidiamo col codice penale dove e perché chiudere lavorazioni e stabilimenti, è evidentemente perché non funzionano da tempo i canali ordinari dei controlli ambientali, né resta una sia pur minimale certezza in materia di scelte e politiche industriali.

E non c'è niente di peggio che apparire insensibile ai morti di cancro a Taranto, nel dirlo, perché naturalmente non è affatto così. Ma forse quei morti meritano anche decisioni meno irresponsabili che uscire dall'acciaio in questo modo.

 

OSCAR GIANNINO ILVA TARANTOTARANTO CORTEO DEGLI OPERAI DELLILVA E CONTESTAZIONE jpegTARANTO CORTEO DEGLI OPERAI DELLILVA E CONTESTAZIONE jpegGRAFFITO CONTRO L'ILVATARANTO UN BIMBO E SULLO SFONDO LO STABILIMENTO DELLILVA jpegEMILIO RIVA jpegOPERAIO CON IL CASCO MARCHIATO ILVA

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