IL CAROSELLO LO FACCIO IN INDIA - LA PUBBLICITÀ È IN CRISI? MADDECHÉ! I SOLDI DEGLI INVESTITORI LASCIANO LA VECCHIA EUROPA E FINISCONO NEI MERCATI GIOVANI DEI PAESI EMERGENTI - I BIG SPENDER DEL LARGO CONSUMO, DALL’AUTO ALLA FINANZA, SI SPOSTANO VERSO I “BRIC” DOVE L’ECONOMIA ANCORA CE L’HA DURO - MA VANNO FORTE ANCHE TURCHIA, ARGENTINA, FILIPPINE, HONG KONG, ARABIA SAUDITA E NUOVA ZELANDA - IN ITALIA TIRA SOLO IL WEB…

Ettore Livini per "Affari & Finanza - la Repubblica"

La grande partita dello spot globale sta cambiando canale e terreno di gioco. In campo ci sono sempre gli stessi protagonisti e (più o meno) la stessa forza di fuoco: centinaia di grandi investitori che ogni anno - alla faccia delle Cassandre della crisi - spendono una cifra sempre più alta (266 miliardi - +2,7% - nei primi sei mesi del 2012) per promuovere i propri prodotti.

Questo gigantesco fiume d'oro però, pur continuando a crescere di portata, ha iniziato negli ultimi anni a cambiare direzione e morfologia. Disperdendosi in mille rivoli e migrando da un continente a un altro in un risiko a ritmi serrati che sta cambiando - spesso in modo non del tutto indolore - la mappa della pubblicità globale. La rapidità e la violenza della metamorfosi non sorprendono quasi nessuno.

«Il mercato è la fotocopia di come sta cambiando il mondo - spiega Alberto Dal Sasso, business director di Nielsen Italia - Una volta faceva i conti solo con gli alti e i bassi dell'economia. E quando il pil frenava si aggrappava agli investimenti anticiclici». Oggi non è più così. La ricchezza del mondo si sta spostando secondo il principio dei vasi comunicanti da una parte all'altra del pianeta. La tecnologia ha moltiplicato le piattaforme della comunicazione.

E le vecchie regole insegnate come mantra agli economisti dello spot non valgono più. «Basta guardare i dati - dice Dal Sasso - La pubblicità balla molto più del pil». In ampiezza e anche in termini geografici. Un mappamondo che cambia Carta canta: l'Europa - il grande malato dell'economia mondiale - ha chiuso il primo semestre 2012 con un calo del 2,7% della raccolta pubblicitaria, molto peggio del saldo della sua crescita economica. Gli Stati Uniti, drogati dalla liquidità messa sul mercato dalla Fed e dagli investimenti per la campagna elettorale crescono con un asfittico +2,4%. Dati che rischiano di essere rivisti al ribasso nella seconda parte dell'anno.

«Settembre è stato un mese difficilissimo - ha spiegato agli investitori in questi giorni Maurice Levy, numero uno della Publicis, colosso francese degli spot - molte aziende, davanti alle difficoltà del Vecchio Continente e al fiscal cliff americano hanno congelato i loro investimenti».

Stessa musica alla irlandese Wpp, che per due volte in due mesi è stata costretta a rivedere al ribasso le sue prospettive di utile: «Fino a poco tempo fa le nostre uniche preoccupazioni erano quelle per il futuro dell'Europa. Oggi invece guardiamo con un po' di apprensione anche a quello che succede dall'altra parte dell'Atlantico», ammette Martin Sorrell, numero uno della grande agenzia. Per tirarsi un po' su il morale basta però guardare il mappamondo con occhi nuovi.

Ok, le vecchie glorie del pil mondiale viaggiano a scartamento ridotto. Nei paesi emergenti però (ormai, va detto, emersi da tempo) è tutta un'altra musica. Il mondo degli spot ha chiuso il primo semestre in Indonesia con un +25,6%. Volano Turchia (+13%) e Argentina (+16,4%). Brasile, Filippine, Hong Kong, Arabia Saudita e Nuova Zelanda viaggiano tutte con tassi di crescita superiori al 10%.

«I big spender ormai non ragionano più in termini di singoli paesi ma di macro-aree - assicura Dal Sasso - E di fronte a questi dati il risultato è ovvio: l'Italia e l'Europa diventano mercati secondari rispetto a nazioni in salute migliore e con centinaia di milioni di persone che iniziano ad affacciarsi solo ora al palcoscenico dei consumi. La rivoluzione dei mezzi La carta geografica però non è l'unica lente attraverso cui leggere in filigrana le grandi trasformazioni del mercato pubblicitario.

La grande rivoluzione del terzo millennio, anzi, più di quella geopolitica è quella tecnologica. I 500 e passa miliardi spesi ogni anno in spot, infatti, non solo hanno traslocato in parte verso i paesi emergenti, ma stanno rapidamente posizionandosi sulle nuove piattaforme arrivate sul mercato, dai motori di ricerca ai social network, mettendo in crisi i mezzi più tradizionali. I dati dei primi sei mesi del 2012 sono la fotografia di una metamorfosi che continua con lo stesso copione da diversi semestri.

I periodici hanno registrato un calo dell'1,3% a livello mondiale, i quotidiani hanno messo a segno un modesto +1,6%, ma in Europa (-5,2%) il segno più l'hanno solo Norvegia e Turchia. La televisione tiene al 3,1% mentre Internet, l'astro nascente del mercato, viaggia a un significativo +7% con un bel +11% persino nel bistrattato Vecchio Continente. La concorrenza per accaparrarsi uno spot ormai è altissima.

E i concorrenti in campo sono sempre di più. Pochi anni fa Google, Facebook e You Tube erano solo astratti algoritmi nella testa di nerd e ricercatori della Silicon Valley. Oggi il motore di ricerca di Mountain View raccoglie da solo 36 miliardi di dollari di pubblicità all'anno e continua a crescere a ritmi a due cifre.

Il network di Mark Zuckerberg è a quota 3 miliardi e punta a 5,6 per il 2013. La raccolta sugli smartphone è destinata secondo le stime di E-Marketer, è destinata a salire dai 3 miliardi del 2011 ai 23 del 2015. E i tablet stanno dando un'altra spallata alla vecchie certezze del mercato pubblicitario. Tanto che persino gli "ad" su internet, in qualche caso, iniziano a segnare il passo.

La raccolta pubblicitaria online del New York Times, malgrado il boom degli abbonamenti digitali del quotidiano Usa, è calata nel terzo trimestre 2012 del 2%. E anche in Cina per la prima volta la raccolta ha segnato il passo. Lo scenario tricolore Se lo spot europeo non sta troppo bene, quello italiano - se possibile - sta peggio.

Nei primi otto mesi dell'anno gli investimenti pubblicitari nel Belpaese sono calati del 10,5% (dati Nielsen) perdendo per strada qualcosa come 560 milioni di euro. Il piatto piange quasi per tutti. I quotidiani hanno lasciato sul terreno il 13,9%, le tv - una volta le galline dalle uova d'oro della penisola - viaggiano a uno sconfortante -10,9% le radio segnano il passo a -7,4%. Le cose vanno male per il cinema (-22%), cartellonistica (-13%) e per i periodici (-16,2%). L'unico timido spiraglio di luce, tanto per cambiare, sono i dati della raccolta su internet, in progresso dell'11%.

Nei primi otto mesi dell'anno gli investitori hanno scommesso online 429 milioni di euro di spot contro i 386 dello stesso periodo dello scorso anno. E la massa critica di questo segmento di mercato è arrivata a insidiare i 439 milioni di euro messi insieme a fatica da tutti i periodici tricolori.

Lo scenario pubblicitario italiano sconta (in peggio) tutte le patologie della situazione continentale. La crisi dei debiti sovrano ha lasciato il segno, visto che con Grecia (-26% nei primi sei mesi dell'anno) e Spagna (-15%) siamo il paese più debole d'Europa. E a fronte di una torta degli spot sempre più piccola si affolla una platea di commensali sempre più ampia.

Google, secondo le indiscrezioni di settore, raccoglie nel nostro paese 700 milioni di pubblicità l'anno, per YouTube si parla di 200 milioni. L'orizzonte, tra l'altro, è ancora pieno di nubi. Nielsen, in una lettera inviata in questi giorni ai suoi clienti, ha vaticinato che ben difficilmente il mercato migliorerà nell'ultimo spiraglio del 2012 rispetto al -10% registrato fino ad agosto.

Un po' più rosa vede Lorenzo Sassoli de Bianchi, numero uno dell'Upa. Per lui il 2012 si chiuderà un po' meglio di quanto è iniziato con un saldo negativo della raccolta al - 7,5%. Performance che nasconde però molte aree grigie in crisi e pochi segnali d'ottimismo, che arrivano dai video su internet e dall'editoria online. Con l'Europa ancora in crisi e l'Italia nell'occhio del ciclone dei debiti sovrani, è ben difficile sperare che una timida rondine possa davvero fare primavera. I grafici pubblicati in questa pagina sono tratti dalla Global AdView della Nielsen sul secondo trimestre 2012

 

 

EURO CRAC L EURO CHE AFFONDA EURO SI SCIOGLIE PUBBLICITA' IN TELEVISIONESPOT TV

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