A PESCA DI SQUALI - L’INGHILTERRA HA PERSO LA PAZIENZA PER LE PUNIZIONI RIDICOLE INFLITTE AI BANCHIERI DELLA CITY CHE TRUCCANO IL MERCATO E FOTTONO I RISPARMIATORI - IL LIBORGATE DI BARCLAYS È SOLO LA PUNTA DELL’ICEBERG - PER TOM KIRCHMAIER, PROFESSORE ALLA LSE, LA COLPA E’ DELLA BRITISH BANKERS ASSOCIATION (L’ABI INGLESE) - DAVID CAMERON, FIGLIO DI BANCHIERE E AMPIAMENTE FORAGGIATO DALLA CITY, È SEMPRE PIÙ SULLA GRATICOLA….

Leonardo Clausi per "l'Espresso"

Una Götterdammerung finanziaria, la caduta degli Dei del Valhalla azionario traditi dalla propria arroganza e avidità, cui si cercherà di rimediare con un paio di decapitazioni eccellenti e una raffica di riforme, sempre che la pazienza di chi è solito farne le spese, i cittadini, non si esaurisca.

L'affaire Libor ha mandato in frantumi non solo la reputazione del colosso Barclays e della City di Londra, cuore della finanza mondiale e fiore all'occhiello dell'economia nazionale, oltre a quella della classe politica al completo: sta spingendo sull'orlo dell'esasperazione l'opinione pubblica britannica che, per quanto flemmatica e restia a indignarsi, sta dando segni di forte insofferenza.

In tanti vorrebbero vedere le banche completamente nazionalizzate, anche se è più probabile che venga reintrodotto qualcosa di simile al Glass-Steagall Act, la legge americana che dopo la grande depressione separava le attività di investimento da quelle commerciali, o il ridimensionamento dei maggiori istituti di credito per favorire la competizione.

I tabloid, almeno quelli di centrosinistra come il W"Daily Mirror", chiedono a gran voce la galera per «gli squali», e c'è chi invoca vere e proprie purghe nel consiglio di amministrazione della banca incriminata. Barclays aveva già subito una rivolta dei propri azionisti lo scorso aprile, infuriati dai bonus che la banca aveva deciso di pagarsi per il 2011. Ora una sempre maggiore quota di correntisti sta scegliendo di «votare col proprio portafoglio»: di esercitare cioè la propria volontà democratica non cambiando i vertici politici organici a un sistema malato, bensì spostando i propri risparmi dalle grandi banche come Barclays o Lloyds ad altri minori istituti di credito.

Dal voto di protesta al conto di protesta insomma. Sono segnali dell'umore nazionale che la classe politica stenta a cogliere. Salta infatti all'occhio il contrasto tra l'indolenza del governo nel rispondere a ripetuti crimini che costano miliardi alla collettività e le punizioni fulminee ed esemplari ai ladri di galline delle sommosse della scorsa estate: due pesi e due misure in un Paese che tollera con nonchalance la maggiore povertà infantile d'Europa come le paghe da favola dei "city boy".

E che taglia il welfare alla prima con più slancio dei bonus ai secondi. Governo e opposizione ne escono altrettanto male. Tories e Labour hanno istituito una commissione parlamentare d'inchiesta bipartisan nella speranza di risolvere il tutto rapidamente, nonostante il laburista Ed Miliband avesse chiesto la convocazione di un'inchiesta pubblica e indipendente. Mentre l'imbarazzo per David Cameron, figlio di un banchiere e leader di un partito sovvenzionato munificamente dalla City in cambio di politiche che la proteggano, cresce.

Che il Re fosse nudo si sapeva. La consapevolezza di queste pratiche era diffusa nelle trading room e fuori. Ma ora che Barclays è uscita allo scoperto, la crapula dei derivati e degli altri prodotti generati grazie a operazioni di stupefacente complessità è probabilmente giunta al capolinea. Perché Barclays, uno dei "big five" (le altre sono LloydsTsb e Royal Bank of Scotland, entrambe nazionalizzate, l'americana Hsbc e la spagnola Santander) che dominano il mercato nazionale, non è che la punta di un iceberg che potrebbe estendersi ad altri giganti dell'Eurozona, tra cui la Deutsche Bank, e in Usa, con JpMorgan Chase e Citigroup, fino a organizzazioni per definizione irreprensibili, come la Bank of England, la Financial Services Authority (Fsa) o la British Bankers Association.

Secondo Tom Kirchmaier, docente di business alla London School of Economics, è quest'ultima la vera responsabile: un organismo «incompetente e cieco rispetto a quanto accadeva, che dovrebbe autoregolamentarsi e non è stato capace». Le dimissioni di Bob Diamond, l'amministratore delegato americano della Barclays, non hanno calmato le acque.

Ha dichiarato di essersi «sentito male» nel leggere le e-mail in cui i suoi sottoposti si accordavano affibbiandosi nomignoli goliardici e pregustando brindisi a base di Bollinger: ma è probabile che abbia esagerato la sua sensibilità, soprattutto a sentire le dichiarazioni di un anonimo banchiere a "The Independent", secondo cui i vertici della banca, lui compreso, sapevano tutto. Il boss della Barclays, fuori tempo massimo e a scandalo consumato, ha fatto il gesto di rinunciare ai bonus.

Che peraltro gli sarebbero stati forse negati, come a Sir Fred Goodwin che, dopo aver mandato la Royal Bank of Scotland a fracassarsi sugli scogli, non voleva rinunciare a una pensione non proprio da esodato (900 mila euro l'anno). Diamond non è che l'ultimo Ceo nella bufera per il contrasto a dir poco surreale fra i livelli del proprio stipendio (mostruosi), le perdite di cui è responsabile (ingenti) e i benefici resi ai clienti e agli investitori della sua banca (trascurabili).

La débâcle Barclays arriva poco dopo il caos della Natwest, controllata da Royal Bank of Scotland, quando un errore informatico aveva bloccato i prelievi scatenando un'ondata di panico: in molti avevano temuto una crisi di liquidità come quella che portò al collasso di Northern Rock nel 2008.

La tragica ironia è che il cartello bancario britannico (tutto è in mano a pochi colossi, contrariamente al resto d'Europa, dove abbondano banche locali di media e piccola taglia), fin dalla famigerata deregulation del 1986 con cui la Thatcher lanciò a briglia sciolta il focoso destriero della City, si è sviluppato principalmente sul trading che dà profitti a brevissima scadenza, trascurando l'assai meno remunerativa attività commerciale: così nell'attuale crisi le banche non prestano denaro a sufficienza alle piccole imprese per stimolare la ripresa.

Stipulato dai Tories per fronteggiare la crisi della deindustrializzazione e recuperare terreno rispetto a Wall Street, il patto scellerato è stato rinnovato da Blair e Brown, in una continuità che concorre a rendere i due partiti sempre meno distinguibili. «La City sembrava il luogo giusto per ospitare queste attività», continua Kirchmaier: «Ora che risulta evidente l'insostenibilità dello status quo si vorrebbe spostare il baricentro delle transazioni in Europa. Ma il vero problema è come regolare le banche, stabilire quanti rischi siamo disposti a lasciar loro assumere».

Resta impressionante la recidività di molti banchieri dagli occhi iniettati di soldi. Dopo la crisi del 2008, i boss delle maggiori banche hanno continuato a fare come se nulla fosse, protetti da una connivenza collettiva nel nome del disegno neoliberista. Ma la lista degli scandali comincia a essere lunga: si va delle spese personali dei politici alle intercettazioni telefoniche sospette, dai bonus a banchieri rapaci pagati con denaro pubblico alla corruzione preoccupante nella polizia (con 8.500 accuse mosse agli agenti in tre anni) fino a quest'ultima resa dei conti nei vertici Barclays. Abbastanza da erodere un consenso che ha radici secolari.

 

BOB DIAMOND BARCLAYS Bob DiamondBarclays agius barclays marcus agius reuters DAVID CAMERON ed milibandTOM KIRCHMAIER jpegAngela Knight PRESIDENTE DELLA BRITISH BANKERS ASSOCIATION LONDRA IMPIEGATI DELLA CITY

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