L’UCCELLO PERDE - TWITTER SI PREPARA ALLA BORSA E DEVE SVELARE I CONTI: 100 MLN DI ROSSO, 450 MLN DI RICAVI (MA UN POTENZIALE ENORME)

Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"

Twitter è ormai ovunque. Lo usano giornalisti e atleti, politici e rockstar, da Lady Gaga al nostro Jovanotti. Se ne servono, più o meno abilmente, anche il Papa, Enrico Letta e Barack Obama. Che va ad annunciare in tv di aver parlato al telefono col presidente dell'Iran, ma lo "scoop" gli viene bruciato un minuto prima dallo stesso Rouhani.

Su Twitter, ovviamente, che all'assemblea generale dell'Onu, riunita a New York nelle ultime due settimane, è stato usato da quasi tutti i capi dei governi e delle diplomazie per diffondere i loro messaggi senza la mediazione dei giornalisti.
Una straordinaria piattaforma di comunicazione quella fondata da Biz Stone, Evan Williams e Jack Dorsey, che ora sbarca in Borsa.

Il prospetto dell'Ipo (Initial pubblic offering) che porterà alla quotazione del titolo a fine novembre - i primi dati finanziari mai diffusi nei sette anni di vita della società - dice però che Twitter, pur essendo arrivata ad avere 218 milioni di utenti attivi (un numero da prendere con le molle, come vedremo) e pur avendo raddoppiato il fatturato nell'ultimo anno (450 milioni di dollari da giugno 2012 al giugno 2013) non ha ancora mai realizzato un profitto e, anzi, nel secondo semestre del 2012 e nel primo di quest'anno ha perso complessivamente ben 100 milioni di dollari.


L'offerta iniziale dovrebbe raccogliere circa un miliardo di dollari: un affare da non perdere - l'ultima "big" della Silicon Valley che sbarca a Wall Street, l'ultimo treno per gli investitori delle tecnologie digitali - o un'operazione che potrebbe lasciare a lungo col fiato sospeso i risparmiatori, come avvenne con Facebook, rimasta per un anno su quotazioni molto basse prima di risalire, nei mesi scorsi, oltre il prezzo di collocamento?


Se lo chiedono in tanti anche perché, come nel caso di Facebook, è evidente che Twitter ha enormi potenzialità, ma si basa su un business model non del tutto chiaro e che, comunque, l'investitore tradizionale fatica a capire.
Che ci sia un grande valore potenziale in Twitter è indubbio: la piattaforma di distribuzione delle informazioni è straordinaria e gode di un sostanziale monopolio nell'area del microblogging.

Finora i suoi amministratori non sono stati molto aggressivi nello sfruttare le sue potenzialità, ma proprio questo lascia molti margini di miglioramento sia per la raccolta pubblicitaria sia per quanto riguarda il fatturato per utente, attualmente molto più basso di quello (già non eccelso) di Facebook. Certo, la società perde ancora molti soldi, può essere tentata di darsi una struttura più vasta e costosa di quelle che sono, ragionevolmente, le sue possibilità reddituali. E, poi, nessuno sa quanti di quei 218 milioni di utenti sono, in realtà, falsi "follower": finti utenti di Twitter, creati automaticamente da qualcuno - individuo o società - per dare la sensazione di avere un grosso seguito.


La società riconosce che il fenomeno esiste e assicura che lo sta combattendo ma ritiene, nei documenti trasmessi alla Sec (la Consob americana), che i conti «fasulli» non siano più del 5% del totale. Qui l'unico dato certo è che gli utenti immettono in rete mezzo miliardo di tweet al giorno. Quanto alle perdite, molti analisti non le considerano esagerate per una società di queste dimensioni che, al momento del lancio, deve sostenere molte spese di comunicazione, pubblicità e deve anche investire in ricerca.


Analizzando l'evoluzione di Facebook e immaginando che Twitter possa avere un percorso simile, questi operatori ipotizzano che la società californiana possa registrare una crescita molto rapida: il fatturato dovrebbe superare il miliardo di dollari già nel 2014. Certo, sulla base dei dati attuali che fanno ipotizzate un'Ipo da un miliardo di dollari e un valore complessivo della società che dovrebbe collocarsi tra gli 11 e i 14 miliardi (il prezzo verrà fissato nelle prossime settimane) il prospetto attribuisce alla società un valore pari a 22 volte il fatturato dell'ultimo anno. Nel caso di Facebook il rapporto attuale è di 12 volte.

E dai dati forniti si evince anche che il tasso di crescita degli utenti sta rallentando. Ma la società, comunque, sembra avere un atteggiamento meno aggressivo, rispetto a Facebook, nel suo sbarco sul mercato.
L'analisi contenuta nel prospetto sembra più prudente e, rispetto all'esperienza del grande "social network" di Menlo Park, si notano altre due importanti particolarità: a differenza di Mark Zuckerberg, o dei fondatori di Google, che hanno mantenuto un forte controllo sulle loro società, Williams, Dorsey e Stone sono in una posizione quasi marginale: il primo ha il 12 per cento di Twitter, il secondo il 4,9, mentre Biz Stone, che nel 2011 ha lasciato la guida della società in modo piuttosto traumatico, nemmeno compare nell'elenco dei principali azionisti.


La seconda differenza è che stavolta a guidare il collocamento sarà Goldman Sachs. Anthony Noto, il banchiere nella Silicon Valley, l'ha spuntata su Micheal Grimes di Morgan Stanley, fin qui "regina" degli Ipo tecnologici. Morgan Stanley parteciperà comunque all'operazione ma in seconda fila: forse paga i pasticci iniziali nel collocamento di Facebook.

 

 

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