NON CIUCCI PIÙ – FATTI E MISFATTI DI UNA GESTIONE IMPERIALE DELL’ANAS, TRA APPALTI OPACHI, MANUTENZIONE CARENTE, LAVORI A CAPPERO E MATERIALI SBAGLIATI – QUELLA VOLTA CHE CIUCCI SI LICENZIÒ IN TRONCO DA DIRETTORE GENERALE SOLO PER INCASSARE 1,8 MILIONI DI BUONUSCITA

Alberto Statera per “la Repubblica

 

Vagheggiato fin dai tempi delle guerre puniche, il Ponte sullo Stretto di Messina fu promesso da Benito Mussolini, che non amava i siciliani, con queste parole: «È tempo che finisca questa storia dell’isola, dopo la guerra farò costruire un ponte tra il continente e la Sicilia».

Pietro CiucciPietro Ciucci

 

Pietro Ciucci, che ieri si è dimesso dalla presidenza dell’Anas dopo un diapason di figuracce e arroganza, credeva di essere lui l’unto dal signore che avrebbe realizzato il miraggio di unire le due coste (qualcuno ha detto le due “cosche”) con la contemporanea guida della Società per il Ponte durata dieci anni e di cui qualcuno dovrà oggi accollarsi i costosi (mezzo miliardo?) pasticci combinati con le aziende progettiste. Altro che la manutenzione dei 20.760 chilometri di strade, ponti, cavalcavia affidati all’Anas, che non fanno passare alla storia, se non per il fatto che in molti casi sprofondano tra la momentanea indignazione del Paese.

 

La grandeur è, in fondo, la cifra della Triplice Divinità («è uno e trino», ha detto di Ciucci il presidente dei senatori del Pd Luigi Zanda) che è rimasta abbarbicata allo scranno fino all’ultimo istante, sfiduciato dai fatti, dall’azionista pubblico e dal governo. L’albagia dell’uomo, la sconfinata considerazione di sé stesso, è ben nota fin dai tempi in cui era un giovane funzionario dell’Iri.

GOTTI TEDESCHI CON PIETRO CIUCCIGOTTI TEDESCHI CON PIETRO CIUCCI

 

Toscano dal naso fino, Ettore Bernabei, capì subito il tipo, che non poteva sopportare. Ma non bastò a precludere al giovane Pietro una carriera napoleonica sotto ogni regime. Ma “simul stabunt, simul cadent” si può dire adesso che i due ultimi gran cancellieri delle gare, degli appalti, delle grandi o meno grandi opere che quadruplicano i costi rispetto al resto del mondo civilizzato sono caduti in rapida sequenza.

 

Prima Ercole Incalza, che i giudici ritengono di aver finalmente preso con le mani nel sacco dopo decenni di potere incontrollato, adesso Pietro Ciucci. Al primo, nessuno ha negato l’estrema competenza in una materia in cui le coorti di ministri che si sono susseguiti — salvo forse Antonio Di Pietro — facevano spesso da consapevoli o inconsapevoli passacarte. L’uomo dell’Anas, invece, si è sempre segnalato come causidico burocrate, una specie che purtroppo non sembra ancora in via di estinzione nella giungla italica. Lo ha dimostrato l’ultima volta domenica sera nell’intervista di Report, con un concentrato di vaghezze in “stile burosauro”, condite dalla supponenza.

Pietro CiucciPietro Ciucci

 

L’uomo è fatto così ed è capace persino di sfidare il ridicolo. Come quando Il Fatto Quotidiano scoprì che nel 2013 la Triplice Divinità aveva realizzato un piccolo capolavoro: poiché all’Anas era contemporaneamente presidente, amministratore delegato e direttore generale, il presidente Pietro Ciucci licenziò “senza preavviso” il suo direttore generale Pietro Ciucci. Insomma non si era avvertito, pur essendo d’accordo con il licenziamento. Il che, per “mancato preavviso” a sé stesso, gli fruttò una buonuscita di 1.825.745,53 euro. Più che una pièce di Ionesco, un esempio del diciamo funesto folklore di cui sono capaci le classi dirigenti d’Italia.

 

Nata di fatto durante il fascismo, l’Anas ha 6.200 dipendenti, 180 dirigenti, 20 compartimenti territoriali, un bilancio di un miliardo l’anno, 825 milioni di manutenzioni di 20.760 chilometri di strade e anche 905 chilometri di autostrade. Più la Salerno — Reggio Calabria, epitome dell’eternità dei lavori, dell’esplosione dei costi e delle infiltrazioni mafiose. Chi troviamo — guarda un po’ — nella realizzazione del mitico macrolotto 3.2 dell’autostrada fantasma?

 

Quello Stefano Perotti, architrave del “Sistema Incalza”, beneamato negli uffici dell’Anas, come tante imprese tarde eredi della “TangentAnas”, ramo principale di Tangentopoli nell’ultimo decennio del secolo scorso, quando, secondo le stime dell’epoca, furono distribuiti 1.000 miliardi di lire di stecche ai partiti.

anas logoanas logo

 

Quelle per cui andarono nei guai l’ex segretario della Dc Arnaldo Forlani, il ministro dei Lavori Pubblici Giovanni Prandini e portarono alla latitanza Lorenzo Cesa, oggi esponente del Nuovo Centro Destra-Udc. Spulciando nella selva di imprese impegnate nella costruzione dell’autostrada fantasma troviamo persino gli eredi delle antiche glorie dette “I cavalieri dell’apocalisse”, cioè quei tre imprenditori catanesi cavalieri del lavoro che già più di trent’anni fa monopolizzavano gran parte delle opere pubbliche in Sicilia e in mezza Italia.

 

Ora, sotto lo scranno vuoto di Ciucci, si muoverà più speditamente l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, con l’ispezione scattata dopo il crollo del viadotto Scorciavacche della Palermo-Agrigento a una settimana dall’inaugurazione. Gli uomini di Cantone avranno un bel daffare di fronte alle opacità — vogliamo chiamarle così? — segnalate nella gestione dell’Anas: appalti assegnati con criteri discutibili, manutenzione carente della viabilità ordinaria, lavori arronzati, materiali inadatti.

anas anas

 

La Corte dei Conti ha già cominciato il lavoro imputando a Ciucci ed altri un danno erariale di 38 milioni di euro non dovuti pagati ad alcune imprese, tra cui l’Astaldi. Ma ora viene il capitolo di tutte le “Scorciavacche” d’Italia. Quante strade, ponti, viadotti si sono accasciati per un po’ di pioggia in più, o hanno addirittura collassato.

 

viadotto palermoviadotto palermo

Solo in Sicilia è un rosario infinito: dal ponte Ficili, al ponte Gurnieri di Modica, dal ponte Geremia II a Caltanissetta, fino al viadotto Verdura e chissà quanti altri. Se poi si allunga di qualche anno e si allarga l’indagine al resto d’Italia, ci si imbatte nei crolli del viadotto Capodiponte nel bresciano, del ponte sul Po tra San Rocco e Piacenza, di quello tra Vieste e Peschici, nei cedimenti sulla Teramo-Mare, sulla Cagliari-Villasimius e così via crollando. Poi forse si aprirà finalmente (anche con una vera inchiesta parlamentare?) il libro nero senza fondo sulla Salerno — Reggio Calabria, che qualcuno (chiedo scusa, ma non ricordo l’autore) ha ribattezzato «il corpo di reato più lungo d’Italia».

viadotto agrigentoviadotto agrigento

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