1- LA POLTRONA DI ALBERTINO NAGEL HA I GIORNI CONTATI: MOLLA A SETTEMBRE O OTTOBRE? 2- QUESTA INDAGINE DA BASSO IMPERO RISCHIA DI INFETTARE MEDIOBANCA CON CONSEGUENZE DRAMMATICHE: LE TRE GRANDI PARTECIPAZIONI GENERALI, TELECOM E RCS-CORRIERE DELLA SERA HANNO PERSO VALORE A ROTTA DI COLLO NEGLI ULTIMI ANNI. E COSÌ MEDIOBANCA ADESSO RISCHIA DI RESTARE SCHIACCIATA SOTTO LA FRANA DI QUESTE PERDITE. SE NAGEL NON RIESCE IN FRETTA A TROVARE IL MODO DI SALVARSI, I GRANDI SOCI DI MEDIOBANCA (UNICREDIT, TRONCHETTI, PESENTI, BENETTON BERLUSCONI) GLI DARANNO PRESTO IL BENSERVITO. E IL CASO LIGRESTI SARÀ UN’OTTIMA SCUSA 3- FERRARA VS GIANNINI: “SE UNO E' COSI' INDIPENDENTE DA FARSI DETTARE IL PEZZO DA ARPE”

1- NAZIONE CORROTTA, MEDIOBANCA INFETTA
Anna Del Toro per Dagospia

Il tam tam che da qualche giorno arriva dalla galassia che ruota attorno a piazzetta Cuccia è assordante e recita pressapoco così: la poltrona di Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, traballa pericolosamente. I più pessimisti gli danno qualche mese di vita, settembre o ottobre dice a bassa voce un consulente societario, mentre i suoi sponsor, pochi per la verità, sono convinti che l'uomo potrebbe ancora cavarsela.

Resta il fatto che il sistema Mediobanca è in profonda crisi. Come diceva Carlo Marx a proposito del colpo di Stato di Luigi Buonaparte: la storia si ripete, la prima volta è una tragedia la seconda volta una farsa. Il primo salvataggio di Salvatore Ligresti negli anni ‘80 da parte di Enrico Cuccia fu davvero una tragedia, il sistema bancario si dovette accollare senza discutere le azioni Premafin, senza fiatare perchè allora comandava soltanto lui, Enrico Cuccia.

Oggi l'operazione Fonsai porta con sé degli elementi di decadenza del sistema finanziario che assomigliano davvero a una farsa. Nagel è costretto a firmare accordi segreti in un sistema traballante e sempre meno credibile, scontando tra l'altro un conflitto d'interesse mostruoso dentro al quale Ligresti è al tempo stesso azionista e cliente privilegiato. Un conflitto che non a caso ha spinto il Pm Luigi Orsi ad intervenire.

Un avvocato vicino a un azionista importante di piazzetta Cuccia mormora che a settembre Alberto Nagel sarà chiamato a rispondere davanti ai grandi azionisti di Mediobanca di una serie di errori piuttosto gravi: la sconfitta nella battaglia per il controllo di Impregilo e soprattutto l'incriminazione firmata dalla procura di Milano nel pasticciato affare Fonsai.

I fatti sono noti. L'amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, è indagato per ostacolo all'autorità di vigilanza e il 1 agosto è stato interrogato per sei ore dal pm di Milano Luigi Orsi sul presunto patto segreto con la famiglia Ligresti nell'ambito del progetto di integrazione del gruppo Unipol con Premafin-Fonsai.

Al termine dell'interrogatorio, Nagel in una nota ha ribadito di non aver stipulato alcun accordo con i Ligresti, e che il foglio siglato "per presa conoscenza" era un semplice elenco di desiderata della famiglia scritto da Jonella Ligresti, figlia di Salvatore, che non ha avuto alcun seguito. Ma a quanto pare gli inquirenti non gli hanno creduto.

Nagel è in buona compagnia, è stato iscritto in concorso con Salvatore Ligresti, che già da oltre un anno ha a suo carico questa ipotesi di reato anche per altri fatti. Ligresti è anche al centro del nucleo principale dell'inchiesta aperta dalla procura di Milano sulla vicenda del gruppo assicurativo con le ipotesi di manipolazione del mercato e bancarotta.

Dopo questa indagine, anche per il suo carattere da basso impero, la scarsa credibilità e affidabilità di Alberto Nagel rischiano di infettare anche Mediobanca con conseguenze drammatiche sui mercati. Si tenga conto, tra l'altro, che nelle motivazioni ufficiali Giovanni Perissinotto è stato cacciato per aver causato perdite nella gestione delle Generali. Ma pochi hanno notato che le perdite di Mediobanca sono altrettanto gravi e di questo dovrà rendere conto Nagel nel prossimo autunno.

 

Ma i più maliziosi puntano il dito su Cesare Geronzi. L'ex patron di Capitalia e delle Generali, dopo essere stato fatto fuori dalla galassia Mediobanca non si è ritirato in pensione. Anzi pare che il banchiere romano sia il capofila della lunga fila di nemici di Alberto Nagel e qualcuno azzarda che prima o poi potrebbe tornare in scena.

2- MEDIOBANCA E IL SUONO DELL'ARPE...
Da "il Foglio" - Gli hanno detto, al Faticone in carriera cui manca una "o", il Giannini, di mettere finalmente in prima su Repubblica una robusta denuncia dello "scandalo degradante" di Mediobanca, sennò quelli del Foglio continueranno a crocchiarlo. Il Faticone si fa dare la dritta in procura, scopre un documento di 63 pagine della Consob, e sistema i suoi problemi di avanzamento in grado con qualche ritardo sulle notizie, e perfino sui commenti.

Bastonati noi, onesti lavoratori a contratto della Berlusconia, procede impavido nella sua indipendenza di pensiero. Scopre che i due capi di Mediobanca hanno siglato un patto con Ligresti e lo hanno tenuto segreto perché nessuno ne sapesse nulla, e che da questo seguiranno guai "devastanti" (il Giornalista Collettivo predilige gli aggettivi abusati, "degradante" non gli piace).

Il caso ha una storia lunga e complicata. Giannini, che non ha la fantasia di Giannino, fa i nomi veri con aria gradassa, da uomo di fatica, niente romanzi. Il banchiere Geronzi, e anche il banchiere Profumo, sono alle origini della disfatta, ma Geronzi è il diavolo e Profumo è l'angelo di Gad Lerner, il banchiere di sinistra che vota alle primarie, e al Faticone si incrociano le dita. Soluzione: la colpa è di Berlusconi, che vuole vendicarsi dei ragazzi di Piazzetta Cuccia. Se uno è così indipendente da farsi dettare il pezzo, ne esce delicato il suono dell'Arpe.

3- NAGEL, I NEMICI E QUEL VAFFA DI JONELLA
Vittorio Malagutti per Il Fatto

Jonella Ligresti non parla con i giornali. In compenso, l'erede di quello che fu l'impero di famiglia, ha affidato alla sua pagina Facebook le emozioni di queste ultime settimane particolarmente movimentate. Il giorno 24 luglio, quando le agenzie di stampa rivelano per la prima volta l'esistenza di un patto segreto tra i Ligresti e la Mediobanca guidata da Alberto Nagel, la figlia primogenita del patron Salvatore, pubblica una foto con la scritta: "Affanculo" pudicamente emendata delle vocali. Quindi si legge: "ffncl", parola seguita dalla domanda: "Vuoi comprare una vocale?".

Battutona, non c'è che dire, ma l'esultanza di Jonella pare più che giustificata, almeno dal suo punto di vista. La scoperta del papello, com'è stato ironicamente ribattezzato quel documento manoscritto di due pagine che assegnava una buonuscita di 45 milioni ai Ligresti, ha permesso alla famiglia siciliana di consumare un'insperata vendetta su Mediobanca.

L'istituto guidato da Nagel, dopo aver sostenuto e generosamente finanziato i discutibili affari di Salvatore e figli, ha finito, costretta dagli eventi, per voltare le spalle ai suoi grandi debitori, condannandoli a un'umiliante uscita di scena. Per questo, sempre su Face-book, Jonella si è tolta anche la soddisfazione di inserire come immagine del suo profilo una scritta che la dice lunga sui suoi sentimenti: "Sorridi... lascia che tutti sappiano... che oggi sei più forte di ieri....".

Già, perchè "l'effetto papello" ha finito per spostare in secondo piano la catastrofica gestione di Fonsai, le spoliazioni e gli affari sballati dei Ligresti. Adesso è Nagel a fronteggiare il plotone d'esecuzione delle critiche. Tocca a lui spiegare al pm milanese Luigi Orsi, che indaga per ostacolo all'attività di vigilanza della Consob, per quale motivo il 17 maggio ha siglato un documento che garantiva 45 milioni di euro più altri benefit milionari ai Ligresti. Esattamente il contrario di quanto aveva ordinato la Consob.

Nessuna buonuscita a chi è stato la causa della crisi (eufemismo) di una grande compagnia come Fondiaria con centinaia di migliaia di soci e clienti. Questo la posizione della Commissione di controllo sui mercati, che Nagel, questo il sospetto, avrebbe cercato di aggirare con l'ormai famoso accordo sottobanco con i Ligresti.

Il numero uno di Mediobanca nega l'esistenza di un'intesa e sostiene che la sua firma era una semplice presa d'atto. Può darsi, ma dovrà dimostrarlo ai giudici. Se non ci riuscisse andrebbe a monte l'intero piano di salvataggio di Fonsai architettato da Mediobanca. Un piano che si basa sulla fusione con Unipol. Il presunto accordo messo nero su bianco nel papello sarebbe la conferma dell'esistenza di un patto non dichiarato alla Consob.

Di conseguenza, a norma di legge, la Commissione presieduta da Giuseppe Vegas obbligherebbe Unipol a lanciare una costosissima offerta pubblica d'acquisto in Borsa su Fonsai. La compagnia delle Coop si chiamerebbe fuori e allora addio salvataggio. Molti osservatori, non solo i legali che assistono Nagel, sostengono che sarà difficile dimostrare in giudizio l'efficacia come patto parasociale di un documento non siglato dai rappresentanti di almeno un soggetto centrale nella presunta intesa. E cioè Unipol.

Nel frattempo però la leggerezza di Nagel, quella sigla di suo pugno su un documento a dir poco compromettente, indebolisce, e di molto, la posizione del capo di Mediobanca. La lista dei suoi nemici è lunghissima. Si apre con Cesare Geronzi e Giovanni Perissinotto. Entrambi (in tempi diversi tra il 2011 e il 2012) sono stati costretti a lasciare il vertice delle Assicurazioni Generali al termine di un regolamento di conti proprio con Nagel.

Mediobanca è così riuscita a perpetuare il proprio potere sulla principale compagnia assicurativa del Paese. E adesso i perdenti di qualche mese sarebbero pronti a fare di tutto per prendersi una rivincita su un avversario mai così debole.

Semmai Nagel dovesse uscire vincente anche da questa battaglia (le sue quotazioni però sono al momento in deciso ribasso) sarebbe però costretto ad affrontare problemi ben più sostanziali. Il suo tentativo di svincolarsi dal vecchio modello di business (quello di Cuccia) fatto di relazioni e patti più o meno segreti con i grandi nomi del capitalismo nazionale si è andato a scontrare con una crisi finanziaria globale senza precedenti che ha dissanguato un portafoglio fondato su tre sole grandi partecipazioni come Generali, Telecom e Rcs Corriere della Sera.

Tre snodi fondamentali per mantenere il controllo del sistema finanziario nazionale. Queste società però hanno perso valore a rotta di collo negli ultimi anni. E così Mediobanca adesso rischia di restare schiacciata sotto il peso di queste perdite. Questa è la frana da cui Nagel dovrà trovare il modo di salvarsi. Se non ci riesce in fretta i grandi soci di Mediobanca (Unicredit, Tronchetti, Pesenti, Benetton Berlusconi) gli daranno presto il benservito. E il caso Ligresti sarà un'ottima scusa.

 

 

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