BOTTA DI FORTUNA PER ENI, CHE NON SAPEVA COME USCIRE DALL’IMBARAZZANTE IMPEGNO SUL GASDOTTO SOUTH STREAM. CI PENSA PUTIN CHE FA TUTTO DA SOLO - ORA RESTANO I VECCHI TUBI CHE PASSANO PER L’UCRAINA: UN’OTTIMA ARMA DI RICATTO VERSO KIEV E BRUXELLES

1. PUTIN RINUNCIA AL GASDOTTO CON L’ENI

Fabrizio Dragosei per il “Corriere della Sera

 

putin e il gasdotto south streamputin e il gasdotto south stream

Il più esplicito è stato il capo di Gazprom Aleksej Miller che ha definito «chiuso» South Stream, il progettato gasdotto che avrebbe dovuto aggirare l’Ucraina a sud. Vladimir Putin aveva appena spiegato che «se l’Unione Europea non vuole che si faccia, allora non lo faremo, anche se questo è contrario agli interessi europei». 


Da Ankara, dove il presidente russo è arrivato poche ore dopo la partenza di papa Francesco, è stata svelata la nuova strategia del Cremlino: visto che le sanzioni e la decisione politica di Bruxelles rendono impossibile la realizzazione del progetto, allora meglio ripiegare su una possibile alternativa turca. 

GASDOTTI NABUCCO NORTH E SOUTH STREAM GASDOTTI NABUCCO NORTH E SOUTH STREAM


Dai campi di metano russi il gas già arriva attraverso linee esistenti, denominate Blue Stream. L’idea è di raddoppiare queste linee per far giungere alle porte dell’Europa altri 63 miliardi di metri cubi di gas l’anno, esattamente quello che avrebbe dovuto viaggiare nei tubi di South Stream. Poi dalla Turchia il gas dovrebbe procedere per arrivare agli altri Paesi dell’Unione Europea. Ma anche in questo caso si tratta di una idea assai ambiziosa che, probabilmente, sarà irrealizzabile se le sanzioni non verranno revocate. 

gasdotto tap gasdotto tap


South Stream era il fratello meridionale di North Stream. Si tratta di due progetti avviati da Mosca ai tempi della prima crisi del gas con l’Ucraina, Paese attraverso il quale passano i vecchi gasdotti di epoca sovietica: aggirare il riottoso vicino a nord e a sud per portare il metano direttamente in Europa, passando sotto il Mar Baltico e sotto il Mar Nero. North Stream è stato realizzato in tempi record grazie soprattutto all’appoggio della Germania, direttamente interessata. Contro South Stream è invece insorta quasi tutta l’Europa, ad eccezione dei Paesi più direttamente interessati, come l’Italia. 

Alexei MillerAlexei Miller


Il coinvolgimento di Mosca negli scontri in corso in Ucraina e il varo delle sanzioni occidentali hanno dato il colpo di grazia al progetto. Il costo si è rivelato proibitivo senza l’intervento delle banche europee e americane. Inoltre è stato proibito anche il trasferimento di tecnologia specifica. E la Russia, nonostante i buoni propositi e i sogni dei suoi tecnocrati, non è in grado oggi di sostituire quello che acquistava all’estero con prodotti fatti in casa.

 

Senza le maggiori compagnie internazionali (per l’Italia era la Saipem, Gruppo Eni, in prima linea), si ferma tutto. Quasi certamente si bloccherà anche la ricerca nell’Artico (osteggiata dagli ambientalisti) e il gasdotto dalla penisola di Yamal. 


L’ultimo colpo a South Stream è venuto dalla Bulgaria, dove il precedente governo socialista era favorevolissimo. Ma le recenti elezioni avevano mutato il quadro politico. Il nuovo primo ministro Boyko Borisov aveva, in pratica, rimesso la decisione nelle mani di Bruxelles.

 

 

2. RUBLO, PETROLIO, SANZIONI: COSÌ IL CREMLINO HA CEDUTO

Stefano Agnoli per il “Corriere della Sera
 

Che cosa accadrà ora che sul «gasdotto della discordia» (tra la Russia e l’Occidente) cala il sipario? 

erdogan in versione imperatore ottomanoerdogan in versione imperatore ottomano


Curioso intanto: chi è al lavoro è spesso l’ultimo a sapere. Proprio ieri, poche ore prima dello sfogo di Putin, la nave posatubi della Saipem Castoro Sei levava gli ormeggi dal porto bulgaro di Burgas per dirigersi verso Anapa, costa russa del Mar Nero e punto di partenza (ormai virtuale) del progetto. La società italiana (43% Eni) ha in tasca un contratto di 2,4 miliardi di dollari per la costruzione del tratto sottomarino del South Stream, la «corrente del Sud». In qualche modo la sua posizione è sicura: se l’opera dovesse saltare scatteranno le protezioni contemplate dal diritto commerciale internazionale.

 

Altrettanto sicura è l’Eni, che possiede il 20% della società che ha affidato l’incarico di costruire il tratto offshore (la russa Gazprom ha il 50%, la francese Edf e la tedesca Basf il 15% ciascuno) e che da tempo ha ridimensionato il suo impegno a non più di 600 milioni di euro. Il gruppo di Claudio Descalzi dal 2012 può avvalersi di un paio di clausole che gli consentono di vendere le sue azioni a Gazprom e di abbandonare senza danni la partita.

 

Entrambe si stanno verificando: a causa delle sanzioni Ue-Usa agli istituti russe il progetto non si sta finanziando con il credito bancario (almeno per il 70% secondo gli accordi); e neppure risulta in regola con le norme Ue, che prevedono che chi produce gas (Gazprom) non può anche trasportarlo. Proprio a quest’ultimo ostacolo si è richiamato il presidente russo nel suo riferimento alle pressioni Ue sulla Bulgaria. 


L’Eni, insomma, potrebbe lasciare il South Stream senza colpo ferire, e senza che gli altri suoi contratti di fornitura di gas russo siano toccati. Il Cane a sei zampe non ha commentato, ma non si può escludere che l’ultima trasferta a Sochi di Descalzi, lo scorso 24 novembre, sia stata l’occasione per un definitivo chiarimento con il capo di Gazprom, Alexei Miller. 


È ovvio, tuttavia, che l’affaire South Stream ha dei risvolti strategici di più ampio respiro rispetto a quelli relativi al coinvolgimento italiano. A prima vista si potrebbe dire che al di là degli strali verso l’Ue sia proprio l’effetto delle sanzioni finanziarie (e tecnologiche) occidentali a spingere il presidente russo alla cancellazione del progetto, il cui costo è lievitato negli anni fino a 23,5 miliardi di euro.

SAIPEM SAIPEM

 

Una cifra non indifferente per chi, come la Russia, ha visto ridursi da giugno il prezzo del barile del 40% (gli introiti da greggio coprono metà del budget statale) e il rublo deprezzarsi di un terzo da inizio anno. E così, dopo che il colosso del petrolio Rosneft ha dovuto rinunciare alle prospezioni nell’Artico con la texana Exxon, ora sarebbe il turno di Gazprom tirare la cinghia. Una serie di elementi che contribuirebbero a comporre uno scenario di crescente difficoltà dell’orso russo, messo sempre di più con le spalle al muro. 


Ma altre letture della situazione vanno verso una diversa direzione. In fondo, si dice, con il gasdotto sotto il Mar Nero che aggira l’Ucraina, da una parte Mosca si sarebbe liberata dal «ricatto» di Kiev sulle sue forniture di gas all’Europa, ma dall’altra si sarebbe privata di un’importante leva strategica. A pensarci bene, si aggiunge, l’accordo sul gas da 4,6 miliardi di dollari raggiunto lo scorso ottobre con l’Ucraina e l’Unione Europea offre a Mosca prospettive più interessanti nel breve e nel medio-lungo termine. 

descalzidescalzi


La Russia si vede infatti saldare i crediti del passato e le forniture di gas del futuro. E la fattura, in ultima istanza, sarà pagata dall’Unione Europea e dal Fondo monetario internazionale, che su questo terreno si sono apertamente impegnate con Kiev. Mosca, insomma, pur restando senza South Stream non si priverebbe della possibilità di controllare le forniture energetiche all’Ucraina. Di più: continuerebbe a inchiodare la stessa Unione Europea alle attuali linee di rifornimento, visto che l’Ucraina ricava ogni anno circa 3 miliardi di dollari dalle tariffe di transito del gas sul suo territorio. Fondi vitali per Kiev, e che l’Ue metterebbe a rischio spingendo troppo a fondo sul pedale della diversificazione. 


Aprendo alla Turchia, infine, Putin non solo inserisce un potente cuneo nelle relazioni tra Ankara e l’Occidente. Ma si candida a riempire (anche) del suo gas il «corridoio Sud» su cui l’Europa fa affidamento per affrancarsi dai «soliti» fornitori.

 

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