PROFUMO DI FLOP PER MPS: CERCASI SOCI, MA TRA DIFFIDENZA E DUBBI DELLA UE L'IMPRESA E' DISPERATA

Andrea Greco per "Affari & Finanza - La Repubblica"

Gli eventi che hanno costretto ad abolire il tetto di possesso azionario al 4% per i "foresti" e mettere in vetrina il Monte dei Paschi, e presto consegnarlo a chi pagherà in cambio alcune centinaia di milioni, pongono fine a 541 anni di orgogliosa autonomia - armonia, si diceva entro la città murata - della banca nel rapporto con la sua città. Le costrizioni non sono finite però con la delibera assembleare di giovedì scorso.

La vetrina presuppone che, dietro, ci sia un prodotto vendibile. E questo, verosimilmente, non accadrà prima dell'autunno inoltrato. «Mi dispiace dirlo, purtroppo non ci sono nuovi soci all'orizzonte perché nessuno di noi è andato in giro a cercarli», ha detto il presidente Alessandro Profumo davanti agli azionisti riuniti.

Muoversi ora, quando ancora non esiste un'equity story, potrebbe essere controproducente, perché la credibilità del management guidato da Fabrizio Viola è fondamentale perché l'impervia ristrutturazione si concluda con successo, e non, come ha ammonito il presidente in assemblea in caso di mancata ricapitalizzazione, con «la banca nazionalizzata e poi venduta a terzi, per intero o a pezzi».

Perché fette rilevanti del capitale Mps siano vendibili bisogna che il management guidato da Fabrizio Viola schivi qualche scoglio nei prossimi sei mesi. Subito dopo le vacanze c'è da mandare in archivio il nulla osta della Commissione europea, che sblocca i 4 miliardi di prestito-aiuto di Stato "Monti bond".

Il piano è stato presentato a Bruxelles il 17 giugno, e i tempi tecnici sarebbero brevi. Quelli politici lo sono di più. «Ho recentemente spiegato alcuni dei nostri argomenti al ministro Saccomanni - ha detto settimana scorsa Joaquin Almunia, commissario per la concorrenza - ancora non abbiamo trovato l'intesa, stiamo lavorando».

Prima e dopo l'assemblea, a Siena, nessuno ha azzardato commenti alla dichiarazione. Forse perché c'è una delicata trattativa in corso, tra le autorità italiane e quelle comunitarie, sull'entità dei sacrifici richiesti alla banca per vistare gli aiuti di Stato come conformi alle linee guida Ue.

Secondo fonti attendibili, il piano Mps sarebbe condiviso dalla Commissione nel suo impianto, ma i funzionari comunitari gradirebbero un approccio più aggressivo sui numeri che possano garantire una redditività migliore alla banca, e quindi la sua capacità di rimborsare effettivamente un prestito che quasi doppia la capitalizzazione borsistica (attualmente di 2,5 miliardi). Dato che già il piano di rilancio presentato dal management mesi fa - sul quale è ricalcato il piano inviato a Bruxelles - era del genere "lacrime e sangue", a Siena non si vede come innalzare ulteriormente l'asticella.

L'unico modo per farlo sarebbe tagliare ancor di più i costi (il piano prevedeva 4.600 esuberi e 400 sportelli chiusi), aumentare gli accantonamenti su crediti che già mordono ai fianchi la banca e il suo libro crediti alle imprese, incrementare quella ricapitalizzazione da un miliardo da realizzare l'anno prossimo per soci diversi dalla fondazione.

E qui non è forse un caso che Mps abbia sempre lasciato correre, senza smentirla, l'indiscrezione lanciata a suo tempo da Huffington Post, per cui l'aumento 2014 avrebbe potuto estendersi fino a 2 miliardi.

Poiché più tagli significa con buona approssimazione più licenziamenti, e più capitale implica più peso dei futuri soci stranieri nell'azionariato, il governo, il Tesoro e la Banca d'Italia stanno usando tutti i loro argomenti per convincere Bruxelles a un approccio che non si vorrebbe troppo allineato ad altri, più drammatici salvataggi bancari; anche perché la gran parte dei problemi di Mps derivano dal suo portafoglio di titoli del Tesoro, 25 miliardi che mangiano capitale e liquidità della banca ad ogni stormir di spread sovrano.

Prima che Profumo e Viola vadano per il mondo a tentare il marketing dell'aumento prossimo venturo, insomma, bisognerà respingere vincoli dell'Ue tanto severi da ammazzare il nuovo Monte nella culla.

E in parallelo, il management dovrà spremere il massimo dalle azioni risarcitorie intentate contro l'ex dirigenza Mps e le controparti Nomura e Deutsche Bank e tenere alta la gestione 2013, per riuscire a pagare almeno una piccola parte dei 330 milioni di interessi sui Monti bond in contanti, e non con azioni che renderebbero il Tesoro azionista con circa il 13%. Ma quando sarà il momento da chi andranno i manager a batter cassa? Un fondo sovrano asiatico o un private equity americano, un hedge fund globale o qualche fiancheggiatore italico?

L'identikit per ora è molto ampio: ogni investitore è ben accetto - meno se si tratterà di altre banche, perché vorrebbero mettere mano alla gestione - a patto che sia disposto a saltare le cedole per qualche anno e consolarsi poi con la ripresa dei prezzi di Borsa, dove il Monte è assai più svalutato delle banche rivali.

Per Profumo il marketing venturo - ma che virtualmente inizia ora, cancellato il limite al 4% per i soci diversi dalla fondazione - rievoca un po' il lavoro fatto a capo di Unicredit negli anni 2009-2010.

Quell'ampliamento della base azionaria a Piazza Cordusio, per quanto tortuosa, ebbe successo e portò nel capitale della banca domestica più europea soci internazionali come Aabar, il fondo sovrano e la banca centrale libici, e in seguito l'hedge Pamplona e i fondi globali Blackrock e Capital Research. Tuttavia le fondazioni socie di Unicredit imputarono al banchiere una gestione del dossier troppo autocratica, e ne approfittarono per chiedere e ottenere la sua defenestrazione.

Sono poche le analogie tra quella Unicredit e questo Monte; ma la gestione un po' ruvida dei rapporti con gli azionisti si sta replicando con la fondazione Mps, che ha il 33,4% ed è al rinnovo dei vertici che scadono il 3 agosto. Il neo sindaco Bruno Valentini, da due mesi in sella, sta componendo il procedimento di nomina per i 4 posti sui 14 della nuova Deputazione generale.

Sarà lui il primo "elettore" della futura fondazione, anche se l'ente è screditato dalle collusioni con il passato vertice della banca guidato da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. Il sindaco ha indicato priorità molto chiare, per riportare in auge la fondazione (o quel che ne rimane) e farle svolgere un ruolo forte di socio strategico - magari insieme a chi farà il prossimo aumento - e di mediatore tra Siena e la sua banca.

«Il management deve mettersi a servizio dei soci ed essere misurato in base al valore creato - ha detto Valentini - Il presidente Profumo è un grande personaggio che tende ad avere un rapporto diretto con la città: mi fa piacere che si senta cittadino a Siena, ma la mediazione bancaterritorio deve lasciarla al Comune, ora non più commissariato, e alla Fondazione».

Valentini ha suggerito di studiare il modello di governance duale, per circoscrivere i soci strategici, fondazione compresa, fuori dalla gestione, e ha chiesto alle autorità di aiutare banca e fondazione a individuare i nuovi azionisti. Per ora le autorità tacciono, ma dietro le quinte risulta siano molto attente e operose, intanto per mitigare i vincoli "letali" della Commissione Ue.

Nella capacità di interlocuzione tra autorità, Fondazione e management del Monte si gioca la delicatissima fase al via, decisiva per capire dopo mezzo millennio di attività se la banca di Siena potrà restare autonoma. Sullo sfondo, la vicina conclusione di un'inchiesta giudiziaria lunga e vasta, che produrrà un dossier di migliaia di pagine per descrivere i passaggi che dall'acquisizione di Antonveneta hanno portato alle ricapitalizzazioni in parte fasulle per pagare cash i 17 miliardi versati da Mps agli spagnoli (8 di finanziamenti accesi dalla padovana), e tutta la malagestione seguita, incetta di Btp e derivati Alexandria e Santorini compresi.

Dagli sviluppi giudiziari la banca potrebbe ricevere positive notizie, avendo chiesto risarcimenti per complessivi 1.200 milioni a Mussari, Vigni, Nomura e Deutsche Bank.

 

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