LA RIVINCITA DI SCARONI – NON SOLO I SOCI ESTERI DELL’ENI BOCCIANO IN ASSEMBLEA LA CLAUSOLA DI ONORABILITA’, MA RENZI GLI AVREBBE PROPOSTO DI ASSUMERE UN POSTO IN EUROPA O UN RUOLO DI “SUPERCONSULENTE” DEL GOVERNO SULLE POLITICHE ENERGETICHE (URGE INTERVENTO DI “REPUBBLICA”)

1. IL MERCATO STA CON SCARONI - I SOCI (ESTERI) ENI BOCCIANO LA CLAUSOLA MANETTARA DELL'INELEGGIBILITÀ
Da "Il Foglio"

Il pragmatismo del mercato batte il populismo del Tesoro. L'assemblea dell'Eni, che ieri sera ha approvato la nomina di Emma Marcegaglia a presidente del gruppo, ha bocciato l'introduzione nello statuto della "clausola di onorabilità" richiesta dal ministero dell'Economia in nome di una demagogia forcaiola. Gli azionisti - sembra soprattutto i fondi stranieri - hanno fatto mancare la maggioranza dei due terzi necessaria per sancire l'ineleggibilità e la decadenza automatica degli amministratori privi dei requisiti di onorabilità pretesi dal governo.

E' una piccola rivincita per Paolo Scaroni il quale infatti ha commentato: "Avevo già detto che nessuna società al mondo ha una clausola di questo tipo e siccome il mondo sono i nostri azionisti, si sono espressi". Ma, al di là della reazione dell'ex amministratore delegato, che proprio a causa di questo vincolo è uscito dalla corsa per il rinnovo, a tirare un sospiro di sollievo sono tutti i soci del Cane a sei zampe e, indirettamente, delle altre società pubbliche italiane (che nelle scorse settimane avevano trovato l'autorevole sponda del Wall Street Journal).

La clausola di onorabilità non è solo un'intrusione pericolosa nella vita di una società: lo è particolarmente nel nostro paese, che certo non è famoso per l'equilibrio e il rigore della magistratura. L'Eni non è il giocattolo del ministero dell'Economia, ma un'azienda privata, sul mercato, che appartiene ai sottoscrittori delle sue quote: se questi vogliono affidarne la guida a individui con un identikit diverso da quello tracciato dall'esecutivo, quest'ultimo (al di là dell'utilizzare diversamente i suoi diritti di voto) dovrà renzianamente farsene una ragione.

2.ENI, NON PASSA LA LINEA ANTI-INDAGATI
Roberto Giovannini per "La Stampa"

Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non se l'aspettavano la «sorpresa» dagli azionisti dell'Eni, riuniti in assemblea per approvare il bilancio ed eleggere presidente Emma Marcegaglia.

I soci del gruppo petrolifero non hanno infatti approvato la modifica allo Statuto che introduceva stringenti requisiti di onorabilità per gli amministratori, come indicato dalla direttiva varata dall'ex ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni e appoggiata con forza da Renzi.

Per la precisione, non è stato raggiunto il quorum dei due terzi di voti favorevoli: il quasi 30% detenuto dal Tesoro direttamente o tramite Cdp non è bastato, mentre ha votato contro il 39% degli azionisti. Al ministro dell'Economia Padoan non è rimasto che fare buon viso a cattivo gioco: «siamo soddisfatti comunque di aver presentato le regole, ma rispettiamo il voto dell'assemblea», ha commentato.

La norma bocciata prevedeva l'ineleggibilità o la decadenza degli amministratori anche nel caso di semplice rinvio a giudizio per una serie di reati, tra cui le norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa, delitti contro la pubblica amministrazione, il patrimonio e in materia tributaria.

Una direttiva contro cui l'ormai ex ad Paolo Scaroni si era fortemente battuto, spiegando che si trattava di una regola che non esiste in nessun paese. Scaroni addirittura aveva commissionato un parere a Guido Rossi, che l'ha definiva in contrasto con la Costituzione e le regole europee perché viola la presunzione di innocenza. Altrove non c'è, aveva detto Renzi, «ma abbiamo ragione noi a volerlo».

Solo che a Renzi alla fine hanno dato torto gli azionisti. A cominciare dai fondi d'investimento, allergici a tutto ciò che appare come una forma di ingerenza da parte dello Stato in una società quotata.

Ma da un'assemblea altrimenti tranquilla - oggi sarà nominato dal Cda il nuovo Ad, Claudio Descalzi, mentre Scaroni ha respinto ancora una volta tutte le obiezioni sul comportamento dell'Eni in Nigeria o in campo ambientale - esce un'altra notizia non esaltante.

Parliamo del mega-giacimento in Kazakhstan del Kashagan, che come ha ammesso Scaroni «è il problema numero uno dell'Eni oggi, così come lo era nel 2005». In Kazakhstan l'Eni (che opera in un consorzio) ha investito la bellezza di 8,2 miliardi di dollari, ma ci sono due problemi.

Primo, le linee che portano gas dall'isola artificiale nel Caspio a terra sono risultate fessurate, e perdono: intervenire si può, ma al consorzio servirà tempo e un po' di denaro per sostituire le linee danneggiate. «I problemi tecnici sono all'esame, ho fiducia che nel 2015 il problema verrà risolto».

Secondo, il governo kazako accusa il consorzio Kashagan di aver danneggiato l'ambiente, e ha erogato una multa di ben 800 milioni di dollari. «Abbiamo fatto ricorso perché riteniamo di esserci comportati in modo corretto. Vedremo» conclude Scaroni.


3. BRUXELLES O PALAZZO CHIGI. IL FUTURO DELL'EX AD
SARÀ ANCORA NELL'ENERGIA
[r. gi.] per La Stampa

Chi lo conosce bene, nel suo ultimo giorno da superboiardo di Stato dopo 12 anni alla guida di Enel ed Eni, dice che Paolo Scaroni era decisamente abbacchiato. Non è un segreto per nessuno che il 68enne manager vicentino le ha davvero tentate tutte per restare almeno con la carica onorifica di Presidente del colosso petrolifero del «Cane a sei zampe».

Ma non c'è stato nulla da fare: troppo difficile scalare il Mortirolo della furia rottamatrice del nuovo presidente del Consiglio, decimata la rete di potenti sostenitori e amici che lo hanno fatto sempre confermare, che governasse il centrosinistra o che comandasse Berlusconi. E certamente non ha giovato la condanna (in qualità di amministratore delegato dell'epoca dell'azienda elettrica) al processo Enel Bis per la centrale a carbone di Porto Tolle.

Nel corso della sua ultima assemblea degli azionisti, tenutasi ieri nel grattacielo dell'Eur in Piazza Enrico Mattei, Scaroni ha accuratamente evitato ogni possibilità di incidente: niente discorso di congedo agli azionisti, cancellata anche la programmata conferenza stampa, ridotto a un paio di battute e qualche stretta di mano il previsto saluto con i giornalisti.

Entrando in assemblea, però, come detto era abbastanza leggibile sul suo volto una certa tristezza. Nelle risposte alle domande degli azionisti, dopo la pausa per il pranzo, è sembrato più in palla. E quando è arrivato il «no» alla clausola di onorabilità degli amministratori, voluta da Renzi e da lui totalmente osteggiata, il suo volto si è illuminato di soddisfazione. Al termine dei lavori, in sala stampa, soltanto un commento sulle sue intenzioni per il futuro: «Adesso? Adesso mi riposo. Continuate a seguire Descalzi e l'Eni, che se lo meritano».

Ovviamente non è così: Paolo Scaroni non ha nessuna intenzione di «riposarsi». Ed è a caccia di un nuovo, «pesante» ruolo nel mondo dell'energia: in Europa, oppure in Italia. Nei giorni scorsi, con una lettera al «Financial Times», il manager aveva esposto le debolezze della politica energetica dell'Unione europea, frammentata tra più commissari e invece bisognosa di «qualcuno capace di guidare la macchina, qualcuno che si assuma la responsabilità di decidere».

Una poltrona di «supercommissario all'Energia» disegnata su misura per lui. Ma i bene informati giurano che c'è un'altra ghiotta opportunità per Paolo Scaroni, e proprio a Palazzo Chigi: Matteo Renzi gli avrebbe proposto di assumere un ruolo di «superconsulente» del governo sulle politiche energetiche.

 

 

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