RIGOR MERKEL – PERCHÈ AI TEDESCHI PIACE LA DEFLAZIONE: QUASI 5MILA MILIARDI DELLE FAMIGLIE SONO INVESTITI A RENDIMENTO ZERO - IL RISCHIO DI MAXI PERDITE CON UN’INFLAZIONE AL 2%

Federico Fubini per “la Repubblica

 

MERKEL E DRAGHI MERKEL E DRAGHI

Una settimana fa, la Bundesbank è rimasta sola fra diciotto banche centrali a votare contro il taglio dei tassi della Banca centrale europea. E questa settimana il governo di Berlino ha fatto sapere che non sosterrà l’altra iniziativa dell’Eurotower, l’acquisto di prestiti alle imprese per abbassare il costo del debito. I tedeschi (seguiti dai francesi) non offriranno le garanzie che la Bce chiede per incamerare nel proprio bilancio la categoria di credito leggermente meno sicura: quello offerto alle imprese solide nei Paesi fragili, per esempio l’Italia.

 

DRAGHI MERKELDRAGHI MERKEL

Questa posizione della Germania è chiara da tempo. I leader e l’opinione pubblica sono refrattari ad accollarsi il rischio del debito di Paesi che, secondo loro, hanno infranto le regole dell’unione monetaria. In più, temono che le scelte della Bce producano prima o poi un’inflazione fuori controllo, anch’essa in violazione al patto in base al quale i tedeschi hanno accettato l’euro.

 

Meno discusso in Germania è il lato opposto di questa lettura dei fatti. I tedeschi hanno pagato per gli errori degli altri, tanto quanto gli altri hanno pagato per gli errori tedeschi. E la resistenza della Bundesbank a qualunque misura che allontani la minaccia della deflazione dalla zona euro non sembra un tentativo di far valere le regole; al contrario, contro di esse, somiglia a un modo di difendere il risparmio oggi malamente investito in Germania, scaricandone i costi sotto forma di deflazione sul resto del continente.

angela merkel 3angela merkel 3

 

Un’occhiata ai dati della Banca dei regolamenti internazionali e ai conti finanziari pubblicati da Eurostat permette di ricostruire i fatti in una luce diversa da quella delle narrazioni politiche possibili. Lo stesso vale per il poco che si conosce dei bilanci della Bce.

 

È noto per esempio che i pacchetti di aiuti versati a Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna hanno aiutato anche le banche tedesche a uscire senza danni dal crollo di quelle economie. Secondo la Bri, gli istituti di credito tedeschi avevano sviluppato un’esposizione quasi fuori controllo: al picco, 315 miliardi di dollari in Spagna, 240 miliardi in Irlanda, 51 in Portogallo e 41 in Grecia.

 

deutsche bundesbankdeutsche bundesbank

Quelle posizioni sono state ridotte a poco, senza che un solo euro andasse perso, solo grazie ai salvataggi europei. E dei circa 300 miliardi versati dai Paesi della zona euro ai quattro colpiti dalla crisi, il 70% del denaro non è venuto da Berlino ma dal resto dell’area. Senza quell’aiuto le banche tedesche avrebbero perso centinaia di miliardi e i contribuenti avrebbero dovuto ricapitalizzarle con salvataggi di Stato.

 

Di tutto ciò i leader a Berlino parlano poco, così come quelli a Roma non ricordano i loro errori nell’affrontare la crisi. Il risultato è che da entrambe la parti gli elettori non capiscono cosa accade e spostano le responsabilità sempre fuori dai propri confini. È probabilmente per lo stesso motivo che non viene mai citata la contabilità degli interventi della Bce.

 

Nel 2001 l’Eurotower entrò sul mercato per comprare più o meno 100 miliardi di euro di titoli di Stato italiani e così contenere gli spread. Poiché il rendimento allora era del 5% circa e la Bce tiene quei titoli a scadenza, oggi il guadagno è stato di circa 5 miliardi; di questi intorno a un miliardo e mezzo spetta ai contribuenti tedeschi, dato che la Bundesbank partecipa al 30% nel capitale della Bce, e stime simili valgono anche per gli interventi su Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda. Quegli aiuti della Bce vengono vissuti dagli elettori in Germania come una tassa a loro danno, anche se sono stati un affare per il bilancio pubblico di Berlino.

 

BUNDESBANKBUNDESBANK

L’equivoco è comprensibile, dipende dall’omertà dei politici. Ancora meno discusso è il tema oggi più urgente: l’interazione fra i rischi di deflazione in Europa e il modo in cui viene gestita in Germania una massa di risparmio delle famiglie da quasi 5.000 miliardi di euro.

 

Su questo fronte gli errori sono evidenti. Il Paese più forte d’Europa ha reagito alla crisi rimpatriando riserve che prima investiva all’estero. La Bri mostra che dal 2008 al 2014 le banche tedesche hanno quasi dimezzato la loro esposizione al resto del mondo, riducendola di duemila miliardi di dollari.

 

Qualcosa di simile devono aver fatto le famiglie e i risultati si vedono. Ai conti finanziari di Eurostat del 2012 (i più recenti), le famiglie tedesche hanno 4.700 miliardi di euro, ma in gran parte sono investiti a rendimento pressoché nullo. Per l’80% sono collocati in depositi bancari, fondi pensione o bond a cedola minima. Meno di un decimo dei risparmi tedeschi va in investimenti produttivi come titoli azionari.

 

BUNDESBANKBUNDESBANK

In queste condizioni, le famiglie in Germania non sono in grado di sopportare finanziariamente nessuna forma di inflazione. Neanche minima, neanche normale. Il carovita infatti erode il valore reale dei risparmi, se questi non rendono. E con rendimenti quasi zero sui risparmi, per gli elettori tedeschi un carovita all’obiettivo ufficiale europeo del 2% comporterebbe una perdita di potere d’acquisto in termini reali di quasi 100 miliardi di euro: una sorta di patrimoniale pari al 3% del Pil tedesco ogni anno.

 

Non è dunque difficile capire perché la Bundesbank si oppone alle misure della Bce volte a tenere l’inflazione al 2%, com’è suo dovere. Ma un precetto di base in Germania è che chi investe male deve perdere i suoi soldi, perché ciò gli insegnerà a non investirli male anche domani. Alle banche tedesche in Spagna o Grecia non è successo: forse è per questo che il resto d’Europa oggi ne paga le conseguenze

 

 

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