1. SFIDUCIATO DAI SOCI ITALIANI (MEDIOBANCA, INTESA, GENERALI HANNO CEDUTO A TELEFONICA), ANZICHÉ RASSEGNARE LE DIMISSIONI, BEBÈ BERNABÈ STAMATTINA SI È SEDUTO DAVANTI ALLE COMMISSIONI INDUSTRIA E LAVORI PUBBLICI AL SENATO PER PIGOLARE: “ABBIAMO AVUTO CONOSCENZA IERI DALLA LETTURA DEI COMUNICATI STAMPA DELLA RECENTE MODIFICA DELL’ACCORDO PARASOCIALE TRA GLI AZIONISTI DI TELCO” 2. VOLETE RIDERE (O PIANGERE)? CHI SONO LE BANCHE CHE HANO RIFINANZIATO PER 700 MILIONI DI EURO L’AUMENTO DEGLI SPAGNOLI IN TELECOM? BANCA INTESA E MEDIOBANCA! 3. LA GRANDE IPOCRISIA DELLA SINISTRA E DELLA CAMUSSO: CHIEDA INFORMAZIONI A D’ALEMA 4. BERNABÈ-PRESS: TUTTI I GIORNALONI A PARLARE DEL PASSATO, DEI COLANINNO E DEI TRONCHETTI, MA CHI HA GOVERNATO TELECOM DAL 3 DICEMBRE 2007, CIOÈ DA BEN SEI ANNI?

1. ANZICHÉ RASSEGNARE LE DIMISSIONI, BERNABÈ SI PRESENTA DAVANTI ALLE COMMISSIONI INDUSTRIA E LAVORI PUBBLICI AL SENATO E PIGOLA: "ABBIAMO AVUTO CONOSCENZA IERI DALLA LETTURA DEI COMUNICATI STAMPA DELLA RECENTE MODIFICA DELL'ACCORDO PARASOCIALE TRA GLI AZIONISTI DI TELCO"
La Stampa.it

«Abbiamo avuto conoscenza ieri dalla lettura dei comunicati stampa della recente modifica dell'accordo parasociale tra gli azionisti di Telco». Lo ha detto il presidente di Telecom Franco Bernabè in una audizione davanti le commissioni Industria e Lavori pubblici al Senato.

Per Bernabè, «In queste condizioni esiste un concreto rischio di downgrade del debito di Telecom Italia, con inevitabili riflessi negativi sulla capacità di investimento nel medio termine». -Per evitare il downgrade ,Telecom Italia «deve fare un aumento di capitale».

«Una ulteriore alternativa (al downgrade, ndr) è rappresentata da un aumento di capitale di Telecom Italia, aperto a soci attuali o nuovi, nella prospettiva delle potenzialità di sviluppo dei mercati in cui opera il gruppo e del valore che può essere creato dal progetto di societarizzazione».

In pratica, un aumento di capitale «aperto a soci attuali o nuovi» consentirebbe di ridare solidità finanziaria al Gruppo. Secondo Bernabè , Telecom Italia «conferma il proprio impegno a procedere nel confronto con l'Autorità e la Cdp» sullo scorporo della rete, «ma l'esito finale dell'operazione non è scontato e, in ogni caso, richiede tempi molto lunghi».

Preoccupazione esprime la Cgil, secondo la quale «si tratta di una svendita». Intervistata dal Gr3 Rai, la leader della Cgil Susanna Camusso parla di «un'azienda importante svenduta ad un operatore telefonico straniero che è pieno di debiti, che è conflittuale rispetto agli asset sudamericani di Telecom -che invece erano un punto di profitto positivo-, e soprattutto perché saremo l'unico Paese europeo che non ha più la proprietà della rete e non ha più una grande azienda di telecomunicazioni, che sono condizioni invece necessarie per l'innovazione, i sistemi informativi, l'agenda digitale, cose che ci verranno sottratte con il rischio di un impoverimento immediato di una nostra importante azienda e con una prospettiva di ulteriore impoverimento per la tenuta competitiva per il nostro Paese».

Per Camusso «Telecom è un'impresa molto importante per dimensioni, che ha già pagato un altissimo prezzo occupazionale al modo in cui furono fatte le privatizzazioni, - continua Camusso- e che vedrebbe di nuovo grandemente a rischio l'occupazione, le professionalità e le prospettive dei lavoratori; quindi è inconcepibile che un'azienda così importante venga venduta in una notte senza che ci siano garanzie su occupazione, investimenti, sviluppo e prospettive».

Camusso conclude rivolgendosi direttamente all'esecutivo, a cui chiede un intervento: «la cosa più grave -sostiene la leader Cgil- è che il governo non esercita la sua funzione di golden share: le privatizzazioni furono fatte male ma mi pare che si continui a perseverare nell'errore». Per Camusso vicende come Telecom e Alitalia neutralizzano gli sforzi del governo nell'attrazione degli investimenti stranieri: «questi non sono investimenti, sono cessioni e svendite di importanti parti del sistema delle reti italiano», sottolinea Camusso


2. BERNABÈ IN TRINCEA: "HANNO PRESO TELCO NON ANCORA TELECOM"
Francesco Spini per "La Stampa"

«Lo spagnolo? Purtroppo è tra le poche lingue che non parlo». La battuta è di Franco Bernabè, il presidente di Telecom Italia che da ieri deve scegliere: uscire dall'angolo o uscire dalla partita. Il suo mantra lo recita davanti ai cronisti che lo intercettano al termine del direttivo dell'Assonime: «Telecom - dice - non è diventata spagnola. Cambia l'assetto azionario di Telco, non di Telecom». Sottigliezze lessicali, visto che col 22,4% di Telecom, la scatola dei «grandi soci» dal 2007 fa il bello e il cattivo tempo. Ma per Bernabè è cominciata l'ultima battaglia nella Telecom che aveva lasciato nel '99 e ripreso un'era geologica dopo, nel 2007.

La prima volta provò a resistere all'Opa di Colaninno e della Razza Padana. Gli andò male. Il 3 ottobre proverà ad alzare un altro muro contro Cesar Alierta, il gran capo di Telefonica. Il 3 ottobre, se altro non interverrà prima, c'è un consiglio d'amministrazione all'Ok Corral.

C'è da approvare un piano industriale che punta a far di Telecom una holding a capo di divisioni di business societarizzate, tra cui la rete, il cui scorporo - mal sopportato da Telefonica - torna nelle nebbie dell'incertezza. Ma ancora prima del piano, al cda Bernabè potrebbe porre la vera questione: l'aumento di capitale. Quei 3 miliardi almeno che, come sostiene, servirebbero da un lato a evitare la retrocessione a «spazzatura» del debito di Telecom, dall'altro a rilanciare gli investimenti sulla banda larga, altro perno del piano industriale. Sarà dura.

I soci di Telco hanno ricevuto assicurazioni da Madrid soprattutto sul fronte investimenti. Per dire: ieri l'ad di uno dei soci destinati ad uscire, Alberto Nagel di Mediobanca, ai suoi interlocutori parlava con soddisfazione del «forte impegno di Telefonica per uno sviluppo finanziario e industriale del gruppo». Dunque con Telco decisa a non mettere a rischio l'operazione chiusa, il cda facilmente direbbe di no all'aumento. Con l'ipotesi che a quel punto Bernabè, come ha già ipotizzato la stampa spagnola, saluti tutti, sconfitto come Leonida alle Termopili, ma con ricca buonuscita. Dopotutto sul primo argomento, quello delle agenzie di rating, alcuni analisti intravedono rischi limitati dall'eventualità di una bocciatura (peraltro probabile).

Primo perché il mercato, dopo l'operazione Telefonica considera pressoché certa la vendita, con relativo spezzatino, di Tim Brasil (+10% alla Borsa di San Paolo), anche su richiesta dell'Antitrust brasiliano.

Prospettiva che può portare nelle casse di Telecom anche 9 miliardi, riducendo il debito a livelli accettabili (2,1 volte l'Ebitda) e che rende meno allarmante l'azione delle agenzie di rating. Tanto più se fossero venduti anche gli immobili (1,5 miliardi), le torri (1 miliardo) e forse Sparkle (1 miliardo). In più, a quietare i timori sul rating, c'è il fatto che la maggior parte del debito sarebbe nelle mani di investitori istituzionali liberi da obblighi statutari di vendita quanto i titoli diventano «junk».

Ma anche se Bernabè la spuntasse in cda, si scontrerebbe con altri tipi di problemi. Primo: sarebbe assai arduo farsi approvare un aumento in assemblea, dove servono i due terzi di voti a favore. Secondo: Bernabè potrebbe trovare un soggetto pronto a entrare in Telecom con un aumento riservato.

Ma se acquistasse più del 10% (inevitabile, parlando di aumenti da almeno 3 miliardi) permetterebbe a Telefonica di svincolarsi dalla clausola con cui si impegna a non acquistare altri titoli Telecom. Bernabè, insomma, potrebbe aizzare un difficile scontro tra titani o semplicemente, con un normale aumento, cercare una diluizione di Telco, dando vita a una public company. Ma tutto, anche questa volta, rema contro di lui.


3. TELCO TUTTA AGLI SPAGNOLI GIÀ DAL PROSSIMO ANNO
Francesco Spini per "La Stampa"

Scacco in tre mosse. E Telecom Italia finisce in mano agli spagnoli di Telefonica. Due aumenti di capitale - col primo, già fatto, è già al 66% di Telco, il secondo dopo le autorizzazione dell'antitrust brasiliano, la innalzerà al 70% - e un'opzione per compararsi dai soci italiani il restante 30% di Telco, la scatola che controlla il 22,4% di Telecom.

Insomma: all'ultimo giro di trattative coi soci italiani di Telco - Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca - Telefonica gioca le carte vincenti e si prepara, nel giro di un anno, a espugnare il nostro ex telefono di Stato. Da Madrid tranquillizzano un Paese in subbuglio, dicendo che «Telefonica rinnova il suo impegno nel contribuire allo sviluppo di Telecom Italia nel suo mercato domestico, con sinergia e la condivisione delle migliori procedure». Si vedrà.

Intanto gli spagnoli hanno messo sul tavolo circa 841 milioni, tra aumenti di capitale e parziale rimborso del debito di Telco alle banche. Il primo effetto c'è già stato. Alle sette della mattina presso lo studio Chiomenti il consiglio di Telco e a seguire l'assemblea hanno varato il primo aumento di capitale da 324 milioni, finalizzato a rimborsare i debiti di Telco con le banche.

Il residuo, fino a 700 milioni, sarà rifinanziato da Intesa Sanpaolo e Mediobanca. Sottoscrivendolo all'istante, Telefonica si è già portata al 66% della scatola. Ha sottoscritto azioni di tipo C, prive del diritto di voto, a 1,09 euro che potranno essere convertite in titoli con diritti di governance quando arriveranno le autorizzazioni regolamentari e antitrust in primis da Brasile e Argentina. E comunque non prima del 2014.

E anche quando avrà più del 50% (al massimo 64,9%) dei diritti di voto, secondo gli accordi, i soci italiani manterranno il diritto di nominare i primi due nomi della lista per il cda Telecom (presidente e ad) più la metà degli altri candidati di competenza di Telco. In questa prima fase, Telefonica acquisterà con uno scambio in carta da 400 milioni, una parte del prestito soci, fino ad averne il 70%. Nel 2014, una volta ottenute le autorizzazioni dagli antitrust brasiliano e argentino, il gruppo guidato da Cesar Alierta potrà quindi salire al 70% con un aumento da 117 milioni alle stesse condizioni della prima ricapitalizzazione. Poi potrà completare l'opera, acquistando le azioni degli italiani, ciascuna per almeno 1,1 euro.

Liquidare i soci italiani di Telco costerà circa un miliardo di euro. Questi potranno comunque richiedere la scissione di Telco (e ricevere azioni Telecom Italia) in due finestre: tra il 15 e il 30 giugno 2014 e tra il 1° e 15 febbraio 2015. E la Borsa? Il titolo Telecom si muove in Altalena: parte forte, indietreggia e finisce comunque al rialzo: +1,69% a 0,60 euro. soci italiani plaudono e vedono la fine di un incubo. Mediobanca (+3,6% ieriin Borsa), che aveva già svalutato a mercato se ne esce con un utile di 60 milioni.

La svalutazione della quota per Generali (+1,4%, dopo che l'ad Mario Greco, dopo l'operazione, guarda «con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente») sarà di circa 65 milioni, mentre per Intesa si ipotizza una minusvalenza di circa 40 milioni di euro.

Nel frattempo i sindacati sono sul piede di guerra. In un comunicato Cgil e Slc parlano di «operazione dai contorni inquietanti» chiedendo al governo la convocazione di azionisti e parti sociali. Secondo Michele Azzola, della Cgil, sarebbero a rischio fino a 16 mila posti di lavoro.

 

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