covid ripresa

CALMA O FRENESIA, COSA CI ASPETTA DOPO LA PANDEMIA? LA PRIMA IPOTESI E' LO "SLOWDOWN", CIOÈ IL RALLENTAMENTO, CHE PERMETTERÀ DI TUTELARE L'AMBIENTE, RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE E STABILIZZARE L’ECONOMIA; OPPURE UNA NUOVA ACCELERAZIONE CON LA GENERAZIONE Z E I MILLENNIALS A TRAINARE LA RIPRESA - L’ITALIA? VIENE DESCRITTA COME IN PREDA A UNA FORMA DI LETARGIA E DI PASSIVITÀ CASALINGA (ANNAMO BENE)

Massimiliano Panarari per "La Stampa"

 

Schiacciati come ancora siamo dalla paura e dall'inquietudine, risulta difficile riuscire ad alzare lo sguardo. E provare, così, a immaginare il volto della società post-pandemica. Qualcuno, però, fortunatamente, tenta di farlo.

 

rallentare

Due delle possibili vie dell'avvenire post-pandemico vengono delineate da altrettanti libri freschi di stampa. Il geografo sociale dell'Università di Oxford Danny Dorling nel suo Rallentare (Raffaello Cortina, pp. 470, 26; trad. di Giancarlo Carlotti) fa coincidere il futuro con una tendenza generalizzata allo slowdown (il «rallentamento», per l'appunto), a cui ha impresso un'ulteriore, decisiva spinta l'emergenza sanitaria.

 

E che, tuttavia, come mostra dati alla mano, era in corso già da qualche tempo, archiviando sempre maggiormente quell'idea costitutiva del mondo occidentale rappresentata dal progresso che il Covid-19 sembra avere (purtroppo) sepolto in modo irreversibile per tantissimi.

 

L'era della decelerazione è iniziata, in molti ambiti cruciali - dalla natalità alla produttività, sino alla stessa innovazione tecnologica - già durante gli Anni Settanta. Nondimeno, secondo lo studioso, non tutto il male vien per nuocere. Anzi, a suo avviso, si tratterebbe di un bene a tutti gli effetti, poiché la fine della «Grande accelerazione» e la deglobalizzazione sancite in via definitiva dal virus consentiranno di tutelare l'ambiente, ridurre le disuguaglianze e stabilizzare l'economia su scala planetaria.

 

IL MOVIMENTO DEL MONDO

O forse no, dal momento che sono utopie, direbbe un intellettuale assai global come Parag Khanna. Nel saggio Il movimento del mondo (Fazi, pp. 450, 20; trad. di Franco Motta) lo specialista di geopolitica torna a teorizzare una forma di «pragmatismo tecnocratico» - dal merkelismo alla città-Stato di Singapore, dove risiede - quale soluzione più adeguata anche per il Villaggio (che tornerà a essere) globale postpandemico.

 

In primis, perché molto più capace del sovranismo di affrontare le transizioni in corso, intensificate dalla pandemia. Lo studioso sostiene, infatti, che vivremo un'autentica accelerazione e un balzo in avanti della mondializzazione, precisamente quali reazioni allo stop forzato inflitto dalla pandemia.

 

La mobilità - e lo dimostrano le migrazioni - costituisce una forza irrefrenabile (come pure un diritto) dell'umanità. In particolare per la generazione Z e quella dei millennials, al centro della «guerra per i giovani talenti», come pure - in parecchi altri casi - delle dinamiche di un mercato del lavoro che deprime le ambizioni giovanili.

 

riaperture

In esse Khanna ripone molta fiducia, pur sottolineando quelli che avverte come rischi per il funzionamento dei sistemi liberali, tra cui il serpeggiare della tentazione (che vede incarnata da Greta Thunberg) all'«ecoautoritarismo millennial».

 

Tra la prospettiva di un «Commonwealth europeo» e un «nomadismo» destinato ad accentuarsi, il coronavirus accelererà l'avvento della «Civiltà 3.0». Se la «Civiltà 1.0» era quella agraria e nomade, e la «Civiltà 2.0» quella sedentaria e industriale, la «Civilizzazione 3.0» si rivela quella della mobilità e della sostenibilità, caratterizzata dalla presenza delle «popolazioni quantiche» (ovvero, composte da individui che «stanno diventando come particelle della fisica quantistica, con velocità e posizione in flusso continuo»). Generando, così, rinnovati equilibri di potere e squilibri nei rapporti di forza tra i soggetti sociali.

 

riaperture ristoranti 1

Come già con riferimento alla globalizzazione - e come avviene per ogni processo storico e collettivo -, risulta quindi possibile individuare dei «perdenti», che si vanno ad affiancare alla tragica contabilità del dolore dei milioni di persone scomparse a causa del coronavirus.

 

Ma anche dei «vincenti» e dei gruppi che, sotto vari aspetti, sono riusciti a adattarsi al nuovo terribile habitat pandemico, mantenendo o perfino massimizzando la loro posizione sociale.

 

mood dell'accucciamento 12

Un'altra motivazione che dovrebbe rilanciare l'azione perequativa e correttiva dello Stato e dell'intervento pubblico che, nei Paesi meno solidi economicamente o più indebitati, si trova però a fare i conti con limiti pesanti (e gravi vincoli futuri).

 

Questioni che si riflettono sui ceti e gli individui più penalizzati dalle restrizioni sanitarie, amplificando così ulteriormente quelle disuguaglianze sociali che stanno esplodendo a livelli incommensurabili, dopo decenni di loro incremento esponenziale.

 

mood dell'accucciamento 13

C'è chi fa allora osservare che alcuni settori delle nazioni occidentali danno quasi l'impressione di non essere così desiderosi di lasciarsi alle spalle questo «stadio-Covid». È il caso, a proposito dell'Italia, di un osservatore di lungo corso della società nazionale, Giuseppe De Rita, il quale sottolinea da tempo come una parte dei nostri connazionali si sia fatta prendere da una forma di letargia e di passività casalinga, spinta dalle molteplici varianti della paura (quella di morire di virus, ma anche, più recentemente, di vaccinazione).

 

MARIO DRAGHI

E, per questo, stigmatizza (un atteggiamento, invece, duro a morire) la diffusa attesa salvifica nei confronti di qualcuno - da ultimo, il premier Mario Draghi - che possa risolvere «magicamente» e da solo tutti i problemi.

 

Un «warning» preoccupato, lanciato anche dal settimanale The Economist. Mentre dovrebbe essere pure la società civile a dare adeguati segnali di vitalità e di voglia di reagire, come mostrano Paesi quali gli Stati Uniti e Israele.

 

mascherine a londra

Anche perché il genere umano, racconta lo storico Philipp Blom nel suo libro Il gran teatro del mondo (Marsilio, pp. 140, 16; trad. di Francesco Peri), ha affrontato molteplici disastri, e ogni volta ha saputo produrre un immaginario nuovo per venire a patti con l'imprevedibilità della natura.

 

E per poter così scommettere, ancora e sempre, su una visione del futuro. Sapendo, come scrive il famoso giornalista scientifico lord Matt Ridley ne L'evoluzione di tutte le cose (Liberilibri, pp. 404, euro 24), che è l'interazione dei piccoli cambiamenti quotidiani di ciascuno di noi a mutare la società. In barba ai complottismi e ai grandi disegni calati dall'alto.

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