
BURIONI, ME COJONI! “DA GIOVANE AVEVO UNA BAND. MI SPACCIAVO PER ITALOAMERICANO: JOE PANCRAZI. IL GRUPPO CAMBIAVA NOME OGNI VOLTA: ‘TAZIO E GLI AUTOVELOX’, ‘MANLIO E GLI IMMUNODEPRESSI’” – IL VIROLOGO STAR RACCONTA LA PASSIONE PER LA MUSICA E IL SOGNO DI DIVENTARE MUSICISTA PRIMA DI INTRAPRENDERE LA CARRIERA DA MEDICO: “VOLEVO ANDARE AL CONSERVATORIO, MA MIO PADRE MI DISSE: 'SEI SICURO DI AVERE IL TALENTO NECESSARIO?', CI RIMASI MALISSIMO. POI MI ISCRISSI A MEDICINA. SENZA ALCUNA VOCAZIONE” – “ALL'UNIVERSITÀ VINSI UNA BORSA DI STUDIO NEGLI STATI UNITI, SCELSI PHILADELPHIA, PERCHÉ LÀ DIRIGEVA RICCARDO MUTI. IN PENNSYLVANIA CAPII CHE..."
Estratto dell'articolo di Maurizio Crosetti per “la Repubblica”
La casa del professor Burioni non è piena di provette, gel e mascherine ma è stracolma di musica. Pareti di vinili, ripiani di cd e scaffali di spartiti fanno da cornice a un pianoforte a coda lunga, nero (cfr. Paolo Conte, Aguaplano) che troneggia al centro di un salotto bianco. Il professore è stato a un centimetro dal passarci la vita. E invece.
E invece, come andò?
«Io volevo fare il musicista, lo avevo deciso a otto anni, ascoltando canzoni con la mia radio "Telefunken Bajazzo". Ce l'ho ancora, l'ho fatta rimettere a posto e funziona. Poi ho studiato pianoforte fino al cosiddetto "compimento minore", e un giorno dissi a mio padre Gaetano: "Papà, voglio andare al Conservatorio"».
E lui?
«Mi prese da parte, e mi fece la domanda per la quale gli sarò sempre grato: "Roberto — mi chiese — sei proprio sicuro di avere il talento necessario?"».
Lei lo era, immaginiamo.
«Certo che sì. Ci restai malissimo, litigai con papà com'era giusto, poi mi iscrissi a medicina a Roma. Senza alcuna vocazione».
Torniamo al bambino con la radio.
«A quell'età ci si ammala spesso, e nelle lunghe giornate a letto con la febbre seguivo i palinsesti musicali pubblicati da Sorrisi e Canzoni Tivù. Mi piaceva tanto anche la classica. La mia mamma, colpita da tanta passione, mi iscrisse a un corso di pianoforte al mio paese, Fermignano, provincia di Pesaro e Urbino. Così conobbi il maestro Giorgio Giovannini, che mi aprì la mente spiegandomi che la musica è bella tutta, dal ballo liscio fino a Beethoven».
roberto burioni sul red carpet al festival del cinema di venezia 1
Il piccolo genio non c'era, par di capire.
«Non ero Mozart, però mi accorgevo che al pianoforte me la cavavo, mentre invece ero negato per lo sport. All'Università Cattolica vinsi una borsa di studio negli Stati Uniti, era il terzo anno e scelsi Philadelphia, perché là dirigeva Riccardo Muti. Erano gli anni dell'Aids, e in Pennsylvania capii che la ricerca e la virologia erano la mia strada. Mentre a Roma avevo smesso di suonare di colpo, in America comprai una chitarra "Ovation" e mi misi a strimpellare. Conobbi il jazz, e l'amore trionfò».
E quando tornò in Italia?
«Lì viene il bello. Ripresi il pianoforte e formai una band con i miei amici Marcello alla chitarra, Camillo al basso e Pietro alla batteria. Mi spacciavo per italoamericano, avevo anche un nome d'arte: Joe Pancrazi. Suonavamo negli alberghi, alle feste, cambiando il nome del complesso ogni volta: una sera eravamo "Tazio e gli Autovelox", la sera dopo "Manlio e gli Immunodepressi". A quel tempo impazzavano i Duran Duran, così noi diventammo i "Durex Durex". Tutto gratis o per beneficenza. La nostra meglio gioventù fu un divertimento pazzo e senza fine».
Il repertorio?
«Ma tutto! Peppino di Capri, Fred Bongusto, Bruno Martino. E quando suonavamo soltanto io e Marcello, eravamo "Il maestro Lucchetti e la sua orchestra di ritmi moderni", ovvero il sottoscritto».
[…] Le dispiace che non sia diventata la sua vita?
«No, perché oggi non avrei lo stesso rapporto con la musica: sarebbe un mestiere, con gli alti e i bassi che questo comporta, quando ti tocca fare anche quello che magari non sempre ti entusiasma». […]