
NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….
s.e. martin briens, monique veaute e simon garcia ©cosimotrimboli
Foto per gentile concessione di Cosimo Trimboli
Articolo da www.ansa.it - Estratto
L’ambasciatore di Francia in Italia Martin Briens ha conferito a Monique Veaute, vicepresidente di Romaeuropa Festival, l'onorificenza di Commandeur de l'ordre des arts et des lettres (Commendatore dell'ordine delle Arti e delle Lettere), la più alta nell'ordine di Arts et lettres. La cerimonia si è svolta a Villa Medici alla presenza del direttore Sam Stourdzè.
monique veaute gianni letta ©cosimotrimboli
Le radici di Romaeuropa Festival di cui Monique Veaute è stata per molti anni direttrice artistica affondano proprio nella sede dell'Accademia di Francia a Roma, dove tutto ebbe inizio con l'idea di rendere la capitale italiana un palcoscenico mondiale di contemporaneità.
monique veaute dago (2) ©cosimotrimboli
DAGOREPORT
C’è stato un momento storico per la città di Roma, un cambio di rotta. Un momento in cui la cultura scappò dai luoghi deputati che allietavano i maestrini del pensiero ed invase le piazze e le strade.
Una novità totale, che cambiò il volto di una città che era soffocata dalla violenza, dagli scontri politici, dai morti nelle strade, dagli attentati, dalla criminalità delle Brigate Rosse che toccò l’abominio con l’assassino di Aldo Moro.
sala villa medici ©cosimotrimboli
Era il 1978 e Renato Nicolini, Assessore alla Cultura, pensò a una risposta a tutto ciò. Era l’Estate Romana, una intuizione allegra e festosa, una vera opposizione culturale alla cappa di inquietudine e repressione che circolava alla fine dei settanta.
L’’effimero’, così lo etichettarono, contro il terrorismo e la violenza. Dalle parti delle Botteghe Oscure il genio situazionista, effimero e trasversale di Renato Nicolini, venne condannato con il termine regressivo di “riflusso” o “disimpegno”.
giovanna melandri monique veaute (1) ©cosimotrimboli
Fatto fuori dall’idiozia cieca dei suoi stessi compagni del Pci romano, il tumulto messo in scena da Nicolini, la vita della città ripiombò in uno stato di inerzia e di afasia cultural-politica.
Tutto finito in quelle palle di vetro con la neve, epitome del Kitsch turistico? Nonostante le trinariciute e opportunistiche polemiche contro l'effimero nicoliniano, che tanto disimpegnato non doveva essere se ci sono festival e rassegne ovunque e tutti i giorni.
dago anna federici ©cosimotrimboli
A prendere il testimone dell’eredità di Nicolini, nel 1984 sbucò a sorpresa una vispa ragazza francese, giunta a Roma per lavorare a Villa Medici. Come il “meraviglioso urbano” predicato da Nicolini, miscelando il nuovo e la tradizione, Monique Veaute si rivelò scopritore di formidabili realtà artistiche del tutto ignote al suolo patrio, abilissima catalizzatrice di genialità e differenze, coinvolgendo artisti, intellettuali, attrici e attori.
Un’irruzione, tramite spettacoli affascinanti e a volte anche disturbanti per i neuroni addormentati dei romani, che spazzarono via le modalità stantie e provinciali. Il tratto dominante del progetto di Veaute nella sede dell'Accademia di Francia a Roma è una febbrile ansia di novità, di rottura di schemi tradizionali, di slanci rinnovatori.
Il lavoro si materializzò con il Festival di Villa Medici che, da luogo di riflessione chiuso, si allargò nella forma popolare e aperta. Il sogno di Nicolini realizzato e nuovo: la cultura come una arbasiniana “gita a Chiasso” per scoprire le nuove ed elettrizzanti avanguardie artistiche che scodellava la scena internazionale.
La risposta dei pigri romani arrivò e fu sorprendente constatare che, grazie alla sapienza e alla tenacia visionaria di Monique, la città di Roma è tornata di nuovo metà culturale internazionale. Un’utopia divenuta realtà con l’erede del Festival di Villa Medici: il Romaeuropa Festival.
L’INTERVENTO DI MONIQUE VEAUTE
Grazie, Signor Ambasciatore, grazie caro Sam (Stourdzé), per aver accettato entrambi di consegnarmi questa medaglia/onorificenza. Riceverla qui, a Villa Medici, è una scelta tutt’altro che casuale: è profondamente significativa per me. Sia il Festival che la Fondazione sono nati proprio qui, esattamente quarant’anni fa.
Questa medaglia rappresenta il riconoscimento del lavoro straordinario e dell’energia incredibile di tutti coloro che hanno portato avanti questo progetto fino a oggi. È a loro che desidero dedicarla.
Parlo ovviamente dello staff del Festival, di tutti coloro che ne hanno fatto parte nel corso degli anni, delle varie edizioni. Un pensiero speciale va anche al personale di Villa Medici, che ha svolto un ruolo importantissimo nei primi tempi e che ci ha aiutato con generosità e convinzione.
È proprio della nascita di questa “utopia divenuta realtà” che vorrei parlarvi.
Era l’inverno del 1984. Mi trovavo di fronte al grande portone della Villa quando si aprì la piccola porta incastonata in quel massiccio portale. Bisognava chinare il capo per entrare.
Quel gesto, quel primo impatto, per me fu subito un messaggio chiaro: bisognava inchinarsi dinanzi alla maestosità dell’Accademia di Francia.
Ma quell’impressione iniziale svanì rapidamente grazie all’accoglienza calorosa del Direttore Jean-Marie Drot, da poco nominato successore di Balthus. Mi aveva invitata a Villa Medici per dirigere il Festival di musica contemporanea: una scelta comprensibile, essendo io produttrice a France Musique e da tempo impegnata nella promozione di compositori come Boulez, Xenakis e molti altri, alcuni dei quali erano stati borsisti proprio qui, a Villa Medici.
Fin dal suo arrivo, Jean-Marie Drot decise di aprire le porte dell’Accademia di Francia agli italiani, in particolare ai romani. Era rimasto sorpreso nello scoprire che, fino a quel momento, solo i cittadini francesi potevano accedere a Villa Medici, e soltanto previa esibizione del passaporto.
Oggi può sembrare incredibile, ma allora quella scelta rappresentò un vero e proprio scossone: spezzava una tradizione secolare e il silenzio ovattato della Villa fu presto sostituito dal fermento della città.
Jean-Marie era profondamente convinto che la sua missione fosse quella di risvegliare la “bella addormentata” – così amava definire la Villa – attraverso una serie di riforme. Con questo spirito iniziammo a delineare i primi tratti di una nuova programmazione culturale.
Il nostro intento si riallacciava a un’altra missione che, già negli anni Settanta, André Malraux – allora ministro della Cultura francese – aveva affidato a Villa Medici: accanto all’ospitalità riservata ai borsisti, promuovere un’attività culturale internazionale capace di abbracciare tutte le forme d’arte – dalla musica al teatro, dalla danza alle arti visive, dal cinema ai dibattiti.
I principi fondanti erano chiari: offrire un luogo di incontro e di dialogo interculturale; considerare gli artisti e le loro opere come espressione della complessità del mondo; non cedere mai alla semplificazione; resistere alla mediocrità; privilegiare l’eccellenza, la sperimentazione e soprattutto la libertà di pensiero. Concepire la cultura come legame sociale ci sembrava – e ci sembra tuttora – un valore imprescindibile.
Nel 1985 prese forma l’idea del nostro festival.
Fu proprio in quell’anno che incontrai Renato Nicolini, Fabrizio Grifasi e Roberto D’Agostino, che mi misero in contatto con gli artisti della scena underground romana, molti dei quali sarebbero poi diventati i primi italiani invitati al Festival (Giorgio Barberio Corsetti, Mario Martone).
Il primo problema da risolvere per dar vita al progetto, come spesso accade, era legato al suo finanziamento. A renderlo possibile fu Giovanni Pieraccini.
Quando Pieraccini incontrò il direttore Jean-Marie Drot, fu un autentico colpo di fulmine: nacque subito una sintonia profonda. Pieraccini, più volte ministro e all’epoca Presidente di Assitalia, si offrì immediatamente come sponsor della futura manifestazione. Grande appassionato d’arte, collezionista raffinato e amante della musica, si rivelò un alleato prezioso.
piero maccarinelli, monique veaute e roberto cicutto ©cosimotrimboli
Fu così che nacque l’Associazione Amici di Villa Medici: Pieraccini ne divenne Presidente, Drot Vicepresidente e io ebbi l’onore di assumere la direzione artistica. Tra i primi soci figuravano nomi illustri del panorama culturale italiano: registi come Gillo Pontecorvo, Carlo Lizzani e Mario Monicelli; pittori come Achille Perilli e Giuseppe Antonio Carmassi; intellettuali del calibro di Alberto Moravia e Maria Antonietta Macciocchi; musicisti come Goffredo Petrassi. E molti altri ancora.
monique veaute, franco bernabe' e gianni letta ©cosimotrimboli
Nell’estate del 1986 presentammo la prima edizione del Festival di Villa Medici.
Fu un successo immediato.
Quell’esperienza attirò l’attenzione e la curiosità di altre accademie straniere presenti a Roma. In particolare, Villa Massimo, l’Accademia Ungherese, quella di Spagna e la British School. Con il passare degli anni, il Festival si ampliò, diventando un progetto condiviso: sempre più istituzioni si unirono a noi, contribuendo a trasformarlo in un appuntamento culturale di respiro internazionale.
junior jaures, monique veaute e vincenzo arena ©cosimotrimboli
Sono passati 40 anni. Richiederebbe molto tempo raccontare tutte le battaglie, quelle perse e ancor più quelle vinte. Scelgo quindi di soffermarmi su due date fondamentali: il 1990 e il 1996.
1990.
La nostra apertura alle altre accademie rese necessario un cambiamento nel nome del Festival. Non potevamo più chiamarlo “Festival di Villa Medici” perché le altre istituzioni non si riconoscevano in quella denominazione. Ci fu una discussione ampia, ma sorprendentemente rapida: eravamo tutti profondamente convinti dell’identità europea del progetto.
henrike naumann, monique veaute e ada urbani ©cosimotrimboli
E così nacque Romaeuropa.
Nel 1990 l’associazione divenne ufficialmente una Fondazione, ancora una volta grazie a Giovanni Pieraccini. Pur essendo di diritto privato, fu riconosciuta dal Ministero della Cultura. Creammo un consiglio di amministrazione coerente con i nostri intenti originari, che ancora oggi ne guida le scelte mantenendo quella visione.
Nello specifico, volevamo marcare il carattere internazionale ed europeo del Festival: per questo cinque Paesi sono rappresentati tuttora all’interno del CDA – Germania, Spagna, Francia, Fiandre, Gran Bretagna. Naturalmente a questi si aggiungono rappresentanti di istituzioni nazionali, come il Ministero della Cultura e il Comune di Roma, e importanti esponenti del mondo culturale. Un consiglio di 25 persone, eccezionale e attento che di anno in anno ha svolto un ruolo fondamentale e coraggioso, soprattutto nei momenti più complicati della nostra storia.
monique veaute martin briens (5) ©cosimotrimboli
Il 1990 fu anche un anno di riflessione profonda sull’influenza dell’attualità sulla nostra programmazione culturale. Ricordo bene gli eventi di quel periodo: era passato appena un anno dalla caduta del Muro di Berlino, si cominciavano a percepire con chiarezza gli effetti del crollo del comunismo; l’Italia sottoscriveva l’Accordo di Schengen, aderendo al sistema che garantisce la libera circolazione delle persone; Nelson Mandela veniva finalmente liberato.
monique veaute franco bernabe gianni letta ©cosimotrimboli
Anche oggi, credo si possa affermare che la libertà resti uno dei nostri valori fondanti.
In quel clima, il nostro lavoro era animato da una visione ottimista: credevamo con forza nella centralità della democrazia, nella ricchezza della cultura occidentale nella sua pluralità, e nell’importanza di valorizzare il dialogo tra le discipline dell’economia, società civile e cultura.
Difendere questi principi significa elaborare proposte costruttive, affrontare temi cruciali come i confini, l’identità e la memoria, accettare lo sguardo dell’altro, presentare altre civiltà e culture senza negare episodi brutali della storia, ma offrendo chiavi di lettura capaci di stimolare l’intelligenza e il pensiero critico.
monique veaute silvio orlando ©cosimotrimboli
Penso, ad esempio, alla risposta luminosa di Felwine Sarr, accademico e scrittore senegalese, che nel suo manifesto Abitare il mondo propone una visione propositiva, evitando sterili lamentele o condanne. Oppure a Milo Rau, che con il suo Antigone in Amazzonia ci offre un’interessante interpretazione del conflitto tra le popolazioni indigene e il governo brasiliano, trasformando il mito classico in uno strumento di riflessione contemporanea.
Dicevo, due date.
monique veute e andrea penna ©cosimotrimboli
Il 1996 fu un altro anno di cambiamenti per Romaeuropa. Fu una svolta radicale: il Festival lasciò Villa Medici. Gli archeologi e i restauratori iniziarono gli scavi nella piazza, alla ricerca dei tesori (es. cisterna) nascosti della Villa. Fu una sorta di “migrazione urbana”: ci trasferimmo nella città, e probabilmente, era scritto nel nostro destino.
Il Festival non perse il suo legame con la Villa, ma si è inserito nella vita di Roma diventando un’istituzione cittadina.
Oggi la Fondazione e il suo Festival sono profondamente cambiati – come è giusto che sia. La società è mutata, e noi con essa. Internet ha trasformato tutto. Nuove generazioni, nuovi stili, nuove competenze, nuove persone si sono armoniosamente integrate con lo staff storico, dando vita a un gruppo di lavoro straordinario, esemplare nella dedizione e nella professionalità.
La direzione artistica di Fabrizio Grifasi ha portato il Festival ben oltre le aspettative iniziali, tenendo fede però, e questo per me è ciò che conta di più, allo spirito originario della manifestazione.
Grazie. Un caloroso ringraziamento va anche al Presidente Guido Fabiani, Antonio Causi, Claudia Ada, Lorenza Anouk, Dominique Fabienne Sonia Fabio e Maddalena senza di loro la vita sarebbe stata più grigia
Un’ultima parola desidero dedicarla al miglior direttore che Villa Medici abbia mai conosciuto: Sam Stourdzè. Grazie a lui l’Accademia si dimostra un ponte tra culture offrendo continue occasioni d’incontro tra Roma, Parigi e il resto del mondo. Nuovi incontri e nuove opportunità per gli artisti in residenza a Villa Medici, i borsisti tra cui quest’anno figura anche una chef, che questa sera conosceremo attraverso le sue creazioni.
Fabrizio Grifasi - ©cosimotrimboli
sam stourdze monique veaute ©cosimotrimboli
manique veaute e stefano lado ©cosimotrimboli
monique veaute dago (1) ©cosimotrimboli
silvia scozzese e ilaria podda - ©cosimotrimboli
monique veaute dago ©cosimotrimboli
martin briens sam stourdze monique veaute ©cosimotrimboli
monique veaute (6) ©cosimotrimboli
silvio orlando ©cosimotrimboli
monique veaute e silvia scozzese ©cosimotrimboli
sam stourdze monique veaute martin briens ©cosimotrimboli
MONIQUE VEAUTE
Anna Beatrice Federici e Dago - onorificenza Commandeur de l ordre des arts et des lettres - villa medici
monique veaute marco causi
monique veaute martin briens ©cosimotrimboli
sam stourdze monique veaute martin briens (1) ©cosimotrimboli
monique veaute francesco giambrone ©cosimotrimboli
monique veaute (7) ©cosimotrimboli
fabrizio grifasi dago ©cosimotrimboli
martin briens monique veatue ©cosimotrimboli
monique veaute gianni letta (1)©cosimotrimboli
monique veaute (3) ©cosimotrimboli
franco bernabe giovanna melandri ©cosimotrimboli
silvio orlando martin briens ©cosimotrimboli
Martin Briens e Monique Veaute - onorificenza Commandeur de l ordre des arts et des lettres - villa medici
Monique Veaute - onorificenza Commandeur de l ordre des arts et des lettres - villa medici
Monique Veaute
Monique Veaute
Monique Veaute
Monique Veaute
MONIQUE VEAUTE
monique veaute marco causi
piero maccarinelli monique veaute foto di luciano di bacco
monique veaute e anna federici
giovanna melandri e monique veaute
monique veaute
monique veaute e roberto dagostino
raffaele pe, monique veaute e francesco giambrone ©cosimotrimboli