CAMORRA CAPITALE - A ROMA SESSANTUNO ARRESTI PER DROGA E USURA: C’È ANCHE UN EX ESTREMISTA NERO - IL PROCURATORE PIGNATONE: ‘’NELLA CAPITALE NON C’È UN’UNICA MAFIA. QUI LE COSCHE CONVIVONO’’
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Sessantuno ordini d’arresto per smantellare «un sistema organizzato di criminalità importato dall’interno delle viscere dell’ hinterland camorristico», scrive il giudice delle indagini preliminari. È la conclusione di un’operazione condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri per una lunga teoria di reati: traffico di droga, estorsioni, rapine, usura, riciclaggio, intestazione fittizia di beni.
E associazione mafiosa; la terza svelata a Roma nel giro di due mesi, tra retate e condanne di primo grado. Dopo Mafia capitale e i clan di Ostia, ecco la camorra autoctona riunita intorno a Domenico Pagnozzi detto «Mimì ‘o professore» o «Occhi di ghiaccio», già legato al gruppo di Michele Senese, (da pochi giorni costretto al carcere duro), considerato il capo dei «napoletani di Roma» che gestiscono il malaffare lungo la via Tuscolana e una vasta area a sud della città.
All’improvviso, tra un blitz e una sentenza, la capitale d’Italia sembra divenuta capitale anche del crimine di stampo mafioso, quasi più di Palermo o Reggio Calabria. «Ma qui non c’è un’unica mafia — spiega il procuratore Giuseppe Pignatone, che proprio in quelle due città del Sud ha speso un’intera carriera prima di approdare a Roma —, a differenza di quanto accade con Cosa nostra e la ‘ndrangheta, né un’organizzazione egemone come in Campania.
Questa città è molto grande, complessa, con una ricchezza notevole, e offre possibilità di grandi investimenti. Anche illegali. Per questo è un terreno fertile per organizzazioni criminali diverse fra loro che, scopriamo attraverso le indagini, hanno le caratteristiche dell’associazione mafiosa disegnata dal codice penale».
L’ultimo gruppo sgominato — quello guidato da Pagnozzi con la collaborazione di un manipolo di fedelissimi di origine campana come lui e un ex estremista nero romano, particolare che di questi tempi ricorre spesso — comprava e vendeva stupefacenti, praticava l’usura e gestiva le slot machines in molti locali «avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo», indirizzata «verso i terzi e nei confronti degli stessi associati», nonché «della condizione di assoggettamento e di omertà».
Napoletani trapiantati a Roma, eredi dell’antica faida tra cutoliani e Nuova famiglia, sbarcati a Roma con l’obbligo di soggiorno trasformato in occasione di affari, capaci di adattarsi alle caratteristiche della metropoli.
«Qui non pagano»
Viaggiando in macchina dalle parti della Tuscolana, uno degli organizzatori specializzato nel «recupero crediti» (leggi estorsioni, secondo l’accusa), spiegava a un amico: «Tutta roba nostra qua... Ma tengono una brutta usanza... certa gente... Non pagano i magazzini... non vonno pagà ».
La frase intercettata dalla microspia significa, nell’interpretazione dei magistrati, che a Roma il «pizzo» non funziona, a differenza che a Napoli dove i commercianti sono abituati alla tassa imposta dalla camorra. A Roma no, quindi meglio dedicarsi all’usura. Svelata, fra l’altro, dal titolare di un night club estromesso dalla gestione del locale dopo che il «creditore» si era rivolto agli uomini del clan per rientrare dei soldi prestati «a strozzo». Il night è stato sequestrato dai carabinieri insieme a beni mobili e immobili per un valore complessivo di dieci milioni di euro.
Lo stesso personaggio che si rammaricava dell’assenza del racket, a proposito del rientro dei prestiti usurai diceva in un’altra intercettazione: «Devono posare i soldi, che oggi non li sconta nessuno... La mattina stanno dormendo e io vado a prenderli alle sei di mattina da dentro al letto». Nonostante ciò, riferiscono gli investigatori, Pagnozzi rimproverare ai suoi uomini atteggiamenti troppo deboli con i debitori: «Li state facendo diventare viziosi. Questo non ve li ha dati... e non sapete neanche quando ve li dà (i soldi, ndr )... Subito… tra due ore... due ore di tempo si devono togliere il pensiero... Non si può pazziare sopra ‘ste cose».
Mafie diverse tra loro
Il sistema mafioso sarebbe dimostrato da diversi «dati sintomatici», tra i quali «l’esistenza di una struttura gerarchica con evidente differenziazione dei ruoli e compiti; la disponibilità di mezzi e locali, alcuni idonei a custodire la sostanza stupefacente; l’utilizzo di un predefinito linguaggio convenzionale; l’esistenza di più maglie telefoniche per le conversazioni riservate; l’assistenza economica e legale a favore dei sodali tratti in arresto e dei loro familiari». Al punto che un giorno Pagnozzi esplose: «Co’ tutte ‘ste mogli di ‘sti carcerati non ce la faccio più... Cose da pazzi...».
Come spiega il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino, anche lui con lunghi trascorsi in Sicilia e Calabria, questa nuova associazione camorristica «è radicata in una zona di Roma e ha rapporti con altri gruppi criminali, mafiosi e non. Per il traffico di droga e altre attività». La differenza con la mafia di Ostia è «che lì c’è un legame più stretto con il territorio, dove si esercita un controllo quasi totale, secondo i canoni tradizionali».
L’organizzazione chiamata Mafia capitale invece, «non ha un territorio di riferimento, e ha costruito il proprio potere attraverso le relazioni allacciate nel mondo criminale, imprenditoriale e politico. O si fa quello che dice il capo, oppure ci possono essere conseguenze, attraverso la violenza o l’estromissione dagli affari». Sono strutture diverse, chiarisce il magistrato, ma tutte con la medesima caratteristica del «condizionamento, dell’assoggettamento e dell’intimidazione che deriva dal vincolo associativo». Sono le mafie di Roma.