
“COLPIRE UN GIORNALISTA SIGNIFICA COLPIRE IL DIRITTO DEI CITTADINI A SAPERE” - LIRIO ABBATE, CHE NEL 2007 SI RITROVÒ UN ORDIGNO ESPLOSIVO SOTTO L’AUTO A PALERMO, VERGA UN ARTICOLO IN DIFESA DEL GIORNALISMO D’INCHIESTA DOPO LA BOMBA CHE HA DISTRUTTO LE AUTO DI RANUCCI E DELLA FIGLIA: “C’È UNA ZONA GRIGIA DOVE ILLEGALITÀ, POTERE E COMPLICITÀ TROVANO TERRENO FERTILE. È LÌ CHE RANUCCI, E COME LUI TANTI ALTRI CRONISTI CON LA SCHIENA DRITTA, SONO PERCEPITI COME MINACCIA” - E SAVIANO SCHIAFFEGGIA I DETRATTORI DI “REPORT”: “ATTI PARTORITI SEMPRE DOPO CAMPAGNE DI FANGO”
RANUCCI: SAVIANO, 'ATTI PARTORITI DOPO CAMPAGNE DI FANGO, RESISTERE'
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(Adnkronos) - "Solidarietà a Sigfrido Ranucci, questi atti sono partoriti sempre dopo campagne di fango. Resistere". Così Roberto Saviano commenta su Instagram, l'attentato commesso ai danni del giornalista di 'Report'.
"Quello che è accaduto stanotte a @sigfridoranucci - scrive Saviano nel post - non riguarda solo lui, ma il clima che stiamo accettando. Quando si decide che un giornalista può diventare un bersaglio, significa che qualcuno vuole stabilire che certi argomenti non si devono toccare".
"La delegittimazione - che è cosa ben diversa dalla critica - mira ad attaccare non le idee o il lavoro, ma la persona. E quando si trasforma qualcuno in un bersaglio pubblico - prosegue il giornalista e scrittore - prima o poi qualcuno penserà di poter colpire anche fuori dallo schermo. A Sigfrido - conclude - va la mia solidarietà. Continuare a raccontare, oggi, è già un atto di resistenza civile".
LA BOMBA PER RANUCCI È UNA MINACCIA A TUTTO IL GIORNALISMO D’INCHIESTA
Estratto dell’articolo di Lirio Abbate per www.repubblica.it
C’è una linea che non dovrebbe mai essere superata in una democrazia. Una linea che separa il dissenso dal ricatto, la critica dall’intimidazione, la libertà dall’imposizione del silenzio. Quella linea è stata infranta con il fragore dell’esplosione che ha distrutto due auto di Sigfrido Ranucci, davanti alla sua abitazione.
Un ordigno carico di un messaggio preciso che vorrebbe imporre lo stop al racconto e alle notizie documentate. Una minaccia che non parla solo a lui. Parla a tutti noi. Parla ai giornalisti, ai cittadini, a chi ancora crede che il dovere dell’informazione sia quello di illuminare le zone d’ombra dove crescono le consorterie criminali e gli affari sporchi del potere.
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Siamo davanti a un salto di qualità nel linguaggio della sopraffazione. Non è più solo la delegittimazione quotidiana, il fango mediatico, la macchina orchestrata per screditare.
Qui siamo al ritorno dell’esplosivo. Alla logica del terrore. A un messaggio mafioso che non ha bisogno di firma, perché chi deve capire ha già capito.
Succede tutto nel giorno dell’anniversario dell’assassinio di Daphne Caruana Galizia. Coincidenza? Forse. Ma come ogni coincidenza, anche questa ha un sapore amaro. […]
Il bersaglio è Sigfrido Ranucci, certo. Ma è anche il mestiere che incarna: il giornalismo d’inchiesta. Il giornalismo che fa domande scomode, che non si accontenta dei comunicati stampa, che apre i fascicoli chiusi e legge tra le righe dei poteri.
È un attacco al servizio pubblico. E, di riflesso, è un attacco alla democrazia.
Colpire un giornalista significa colpire il diritto dei cittadini a sapere, a capire, a scegliere con consapevolezza. Chi incendia, chi minaccia, chi fa esplodere, non vuole solo spaventare: vuole imporre l’oscurità. Far tornare il buio su quelle trame che la stampa libera tenta ogni giorno di portare alla luce.
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La zona grigia
[…] C’è una zona grigia, più viva che mai, dove illegalità, potere e complicità trovano ancora terreno fertile. È lì che il giornalista diventa un nemico da zittire.
È lì che Ranucci, e come lui tanti altri cronisti con la schiena dritta, sono percepiti come minaccia. Non perché mentono. Ma perché raccontano. Perché documentano. Perché mostrano, nomi alla mano, volti, documenti, intrecci.
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La libertà d’informazione, oggi, è sotto attacco non solo con le bombe, ma anche con le querele temerarie, con l’isolamento istituzionale, con la campagna di delegittimazione sistematica. Non è un caso. È un disegno.
Chi vuole far tacere i giornalisti, chi li vuole intimiditi o “collaborativi”, non teme solo la notizia. Teme il giornalismo come presidio etico, come funzione democratica, come strumento di controllo. Teme che qualcuno spieghi ai cittadini dove finiscono i loro soldi, chi decide davvero, quali poteri si muovono nell’ombra. Teme la verità, in una parola.
La comunità silenziosa
Non c’è solo Ranucci. Ci sono decine di giornalisti minacciati ogni anno in Italia. Molti sono giovani, sconosciuti, precari. Lavorano da soli, senza tutele, spesso in piccoli centri, dove mafie, camorre e poteri locali sono radicati come alberi antichi. Subiscono intimidazioni, aggressioni, lettere anonime, minacce ai figli. Eppure resistono. E continuano a raccontare.
Sono la parte più preziosa dell’informazione italiana. Sono l’eredità viva degli undici giornalisti uccisi da mafie e terrorismo nel nostro Paese. Un’eredità che non si celebra solo nei convegni, ma si difende ogni giorno garantendo tutele, risorse, protezione.
Una reazione che non può attendere
Non può bastare la solidarietà. Serve una reazione vera, urgente, all’altezza del pericolo. Lo Stato ha il dovere, oggi più che mai, di mostrare che chi tocca un giornalista, tocca un pezzo della Repubblica. […]
Serve che i mandanti e gli esecutori dell’attentato a Ranucci siano individuati, processati, condannati. Serve che il Parlamento metta mano alle leggi che ancora oggi permettono a criminali e potenti di zittire l’informazione a colpi di carte bollate. Serve che il servizio pubblico sia difeso come un bene comune e non come un fastidio da depotenziare.
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[…] un’informazione libera è la prima barriera contro l’arbitrio e l’abuso. E allora, al fianco di Ranucci, ci siamo tutti. Con lui, con ogni cronista che non ha smesso di fare domande, anche quando il mondo intorno preferisce non sentire.
Perché la libertà, quella vera, comincia proprio lì: dove qualcuno sceglie di raccontare ciò che altri vorrebbero tenere nascosto. Anche a costo della propria vita. E non c’è bomba che possa cambiare questo.
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lirio abbate foto di bacco
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I DIARI DEL BOSS LIRIO ABBATE