
“HO PRESO UN COLTELLO DALLA CUCINA E L’HO NASCOSTO NELLA FELPA. L’HO ESTRATTO QUANDO CLARIS MI È VENUTO INCONTRO CON UNA CATENA” – LA CONFESSIONE DI JACOPO DE SIMONE, IL KILLER DI RICCARDO CLARIS, IL TIFOSO DELL’ATALANTA 26ENNE UCCISO A BERGAMO CON UNA COLTELLATA ALLA SCHIENA – L’OMICIDIO SAREBBE AVVENUTO AL CULMINE DI UNA RISSA SCOPPIATA PER UN CORO PRO-INTER INTONATO DA DE SIMONE – MA PER IL LEGALE DELL’ASSASSINO, NON SI TRATTEREBBE DI UNO SCONTRO TRA TIFOSERIE…
Estratto dell’articolo di Giuliana Ubbiali per www.corriere.it
Una cancelliera del tribunale esce insieme alla figlia con la cartella in spalla e i capelli raccolti in una treccia. Anni fa, «i gemellini», come li ricordano in via Borfuro, dopo la scuola raggiungevano i genitori Francesca e Claudio, cancellieri anche loro. Jacopo De Simone, uno dei gemelli che il 22 giugno compiranno 19 anni, ha percorso quegli stessi corridoi ammanettato e scortato da tre agenti della polizia penitenziaria del carcere di Brescia.
Ora è qui per l’omicidio di Riccardo Claris, 26 anni, morto con una coltellata nella schiena, domenica notte, al culmine di una tensione tra due gruppi di giovani iniziata da un coretto interista di De Simone al bar. Infatti, il pm Guido Schininà contesta i futili motivi.
[…] Con la precedente confessione ai carabinieri e al pm, un’ora è bastata per rispondere a tutte le domande, affiancato dall’avvocato Luca Bosisio, alla presenza di Schininà, oltre che del comandante del Nucleo operativo e radiomobile di Bergamo, il tenente Antonio Caccavella, e di un maresciallo. […]
«Non è assolutamente uno scontro tra tifoserie», ha puntualizzato l’avvocato Bosisio, per correggere il tiro dopo «aver letto cose che riguardano dei fatti che rischiano di trascinare problemi di altra natura, anche di ordine pubblico». Il legale, di solito refrattario alle dichiarazioni, insiste sul punto: «Questo fatto non c’entra niente con il mondo ultras. Jacopo, così come suo fratello, non andava allo stadio da quando era bambino, non ha mai frequentato la curva dell’Inter, è andato qualche volta a San Siro ma non c’entra niente con i tifosi».
Nemmeno gli amici, dell’una e dell’altra parte, sostengono che si siano scontrati due gruppi ultrà. Il canticchiare secondo alcuni spocchioso di De Simone nel Reef bar di Borgo Santa Caterina, dopo aver saputo della vittoria dell’Inter contro il Verona, ha innescato la miccia di un incendio alimentato probabilmente anche da altri fattori giovanili. Nell’altro gruppetto c’era anche Claris, atalantino della Curva.
È confermato dalle telecamere che quando De Simone e gli amici se ne vanno verso casa, in via dei Ghirardelli, una decina degli altri ragazzi li segue. Cosa succede dopo dipende anche dalla percezione che De Simone ha dei fatti. Che gli altri cercassero lui emerge da alcuni racconti, sia dei suoi amici che di quelli di Claris. L’interista era «quello con la felpa bianca».
Un suo amico rimasto indietro racconta di aver incrociato i rivali e averli sentiti dire, andando oltre: «Non è quello con la felpa bianca». De Simone la indossa ancora quando scende sotto casa, con gli atalantini in strada. Sostiene di aver preso il coltello di ceramica dal cassetto della cucina e averlo infilato nella tasca della felpa.
L’ha estratto, sostiene, quando Claris «mi è venuto incontro con una catena». Lo colpisce «davanti», ha sostenuto nell’interrogatorio, senza saper argomentare all’obiezione che la ferita è nella schiena. Al di là dei dettagli, che anche l’autopsia di oggi può contribuire a chiarire, su di lui pesa un macigno: aver usato quel coltello. «Volevo difendere mio fratello che credevo fosse in balia dei tifosi, la mia famiglia, la mia casa», è la sua giustificazione. […]
Non è chiaro dove fosse quando il figlio Jacopo ha accoltellato Claris. Il ragazzo non torna subito a casa, fa il giro dell’isolato passando dalla parte opposta rispetto al capannello degli amici e della fidanzata di Claris, disperati con lui morente. […]