salvo toto riina

PRIMA DI RIFILARCI IL LIBRO APOLOGETICO SULLA SUA “FAMILY”, SALVO RIINA RACCONTAVA IN TUTT'ALTRO MODO (MA SOLO NELLE INTERCETTAZIONI) COS’ERA DAVVERO IL SUO MONDO - ECCO COSA DICEVA DELLE GUERRE DI MAFIA, DI SUO PADRE E DELLE STRAGI DEL 1992

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Salvo Palazzolo per “la Repubblica”

 

«Io vengo dalla scuola di Corleone», dice nella premessa. «Oh, mio padre di Corleone è, mia madre di Corleone, che scuola posso avere? ». E inizia il suo lungo racconto: «Di uomini che hanno fatto la storia della Sicilia… linea dura, ne pagano le conseguenze, però sono stati uomini, alla fin fine. E io… sulla mia pelle brucia ancora di più». Eccole, le vere parole di Giuseppe Salvatore Riina detto Salvo, il figlio del capo di Cosa nostra. Le parole che si è ben guardato dal pronunciare a Porta a Porta durante l’intervista con Bruno Vespa, le parole che non ha scritto nel suo libro.

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Le vere parole di Salvo Riina sono in un altro libro, conservato negli archivi polverosi del palazzo di giustizia di Palermo. Si trova in cima a uno scaffale, «Riina + 23» è scritto sulla copertina, di certo titolo meno accattivante di quello dato dalle edizioni “Anordest”. Ma è in queste 1.129 pagine che ci sono le parole autentiche del giovane Riina, le parole che pronunciò dal 2000 al 2002, quando non sospettava di essere intercettato (a casa e in auto) dalla squadra mobile su ordine del pm Maurizio de Lucia, e parlava in libertà mentre organizzava la sua cosca.

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L’INIZIO DELLA GUERRA

Capitolo uno: “Totuccio si fumò a tutti, li scannò”. Ovvero, la guerra di mafia. Non poteva che iniziare con le gesta criminali di suo padre, Totuccio Riina. Perché quelle parole che proponeva ogni giorno ai giovani adepti del suo clan erano delle vere e proprie lezioni di mafia. E la storia bisogna conoscerla. Salvo Riina la conosce alla perfezione, nonostante in tv abbia recitato tutt’altra parte.

 

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Racconta: «C’era quel cornuto, Di Cristina, che era malantrinu e spiuni… era uno della Cupola, un pezzo storico alleato di quelli, i Badalamenti, minchia, Totuccio si fumò a tutti, li scannò ». Correva il 1978: così partì la guerra di mafia scatenata dai corleonesi, era l’inizio della loro inarrestabile ascesa. L’inizio della carneficina. «E chi doveva vincere? — dice Salvo Riina — in Sicilia, in tutta l’Italia chi sono quelli che hanno vinto sempre? I corleonesi. E allora, chi doveva vincere?».

 

I RIBELLI

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È davvero un libro istruttivo quello che nessun editore ha ancora pubblicato, conservato nei sotterranei del palazzo di giustizia di Palermo. Riina junior racconta la verità anche su un’altra guerra di mafia, quella del 1990, quella scatenata contro gli stiddari, i ribelli di Cosa nostra. Capitolo due. “Quando gli hanno sminchiato le corna agli stiddari che c’erano in tutta la Sicilia”. Da Gela a Marsala, da Riesi a Palma di Montechiaro, un racconto terribile. «Ci fu un’estate di vampe — spiega il giovane boss con grande naturalezza — Ferro e fuoco. Qualche sessantacinque morti ci furono qua, solo in un’estate».

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E giù con il suo racconto sugli stiddari: «Che razza — dice — qua ci vuole il revolver sempre messo dietro, ma non il revolver quello normale, qua ci vuole il 357, che con ogni revolverata ci ‘ a scippari u craniu». Totò Riina ordinò un vero e proprio sterminio. Anche questo racconta il figlio: «Ci fu un’estate che le revolverate… non si sapeva più chi le doveva ammazzare prima le persone». E ancora: «Minchia, appena ne sono morti due di quello, partiamo, tre morti di quell’altro… Appena gli hanno ammazzato a quelli tre, gliene andavano ad ammazzare altri cinque. Pure a Marsala gli ha dato vastunate… era una fazione di boss perdenti… si erano messi in testa che loro dovevano rivoltare il mondo».

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BUSINESS E STRAGI

Capitolo quattro: “I piccioli”: «Se tu pensi quello che ha fatto mio padre di pizzo, oggi noialtri neanche possiamo fare l’uno per cento. Capitolo cinque: “I cornuti”, ovvero i collaboratori di giustizia. «Quando arriva un cornuto di questi e ci leva tutto il benessere, ci fa sequestrare beni immobili, materie prime e soldi». Capitolo sei, il cuore del libro: “Le stragi Falcone e Borsellino”. «Un colonnello deve sempre decidere lui e avere sempre la responsabilità lui. Deve pigliare una decisione, e la decisione fu quella: “Abbattiamoli” E sono stati abbattuti ».

 

RITRATTO DI FAMIGLIA

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Ma non è solo un libro di sangue e complotti quello che il giovane Riina ha inconsapevolmente scritto, firmando la sua condanna a 8 anni per associazione mafiosa. Ci sono anche i dialoghi in famiglia, pure questi ben lontani dalla descrizione proposta a Porta a Porta.

 

È il capitolo finale di questo libro verità: la scena è ambientata nella sala colloqui del carcere dov’è detenuto il primogenito di casa Riina, Gianni. Sei dicembre 2000. Ninetta Bagarella si rivolge ai figli maschi: «Siete stati sempre catu e corda… ma quello che ti tirava era sempre Gianni». E Salvo: «Papà diceva che lui era il più…».

 

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La mamma chiosa: «Il più agguerrito». E non a caso il quarantenne Gianni Riina è già all’ergastolo da vent’anni, condannato per quattro omicidi. «Tu facevi il trend », dice Salvo al fratello. E la sorella Maria Concetta corregge: «Il trainer, non il trend ». Gianni ricorda una frase del padre: «Una volta mi ha detto una cosa che non ho mai dimenticato: “Tu hai sempre ragione per me, perciò, quale problema c’è”». Quella era un’investitura. Che anche Salvo Riina rivendicava: «Vedi che io vengo dalla scuola corleonese ». E la madre certificò: «Sangue puro».

 

 

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