È MORTO A 91 ANNI IL GRANDE FOTOGRAFO MIMMO JODICE – NATO A NAPOLI, NEL RIONE SANITÀ, SI AVVICINÒ ALLA FOTOGRAFIA NEGLI ANNI '50 DA AUTODIDATTA. DAGLI ANNI SESSANTA COLLABORÒ CON ANDY WARHOL, JOSEPH BEUYS, SOL LEWITT, PISTOLETTO E KOUNELLIS – HA SVILUPPATO UNO STILE IMPRONTATO A UNA RICERCA DI LUCE E DI OMBRA CHE SI TRADUCE IN IMMAGINI DISCIPLINATE E RIGOROSE, PRIVILEGIANDO IL BIANCO E NERO – DAL 1970 AL 1994 INSEGNÒ FOTOGRAFIA ALL'ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI, DOVE FONDÒ LA PRIMA CATTEDRA ITALIANA DELLA DISCIPLINA – IL RICORDO DI STEFANO BOERI: “PERDIAMO NON SOLO UNO STRAORDINARIO SGARDO SUL MONDO MA UN INTERO MONDO IN UNO SGUARDO CELESTE”
Estratto dell’articolo di Stefano Bucci per il “Corriere della Sera”
Domenico (Mimmo) Jodice, scomparso ieri a 91 anni a Napoli, la sua Napoli dove era nato il 29 marzo 1934 e che aveva raccontato nella sua dimensione più nascosta, ma anche più affascinante, è stato sicuramente uno dei grandi maestri della fotografia italiana e internazionale.
Anche al di là e oltre Napoli, riuscendo a catturare con il suo bianco e nero irripetibile emozioni profonde capaci di svelare la complessità dell’animo umano e del paesaggio, confermando la dimensione universale della fotografia. [...]
Dopo essersi laureato in architettura e aver iniziato la sua attività come fotografo negli anni Cinquanta, Jodice ha subito mostrato un’intensa capacità di catturare dettagli invisibili al primo sguardo, di penetrare nelle atmosfere silenziose di luoghi e persone. Luoghi e persone che diventano una sorta di soggetto affettivo, ma anche un simbolo di complessità e contraddizioni che egli interpreta attraverso un’estetica sobria, spesso sublimemente minimale, che tende alla contemplazione.
Perché la fotografia di Jodice non è mai fredda, ma sempre vibrante di una profonda umanità, capace di ritrarre il passato, il presente, l’effimero, il duraturo, con una sensibilità unica e irripetibile.
Nel corso degli anni, Jodice ha sviluppato uno stile riconoscibile, improntato a una ricerca di luce e di ombra che si traduce in immagini disciplinate e rigorose, privilegiando sempre e comunque il bianco e nero. Immagini che evocano un senso di mistero e meditazione ( Nudi stroboscopici , 1966; Taglio , 1978; Vera fotografia , 1979; Eden , 1995; Transiti , 2008). [...]
La fotografia di Mimmo Jodice è sempre rimasta, in fondo, un atto di scoperta e di poesia, in cui ogni immagine diventa un frammento di tempo sospeso, un’autentica meditazione sull’esistenza. Una scoperta e una poesia che richiamano di volta in volta l’antica scultura greca e romana ( Busto di Artemide , 1985; Compagno Ulisse , 1992), le rovine di Giovan Battista Piranesi, le nature morte di Giorgio Morandi, le piazze di Giorgio de Chirico, gli scenari urbani di Mario Sironi, il surrealismo senza tempo di René Magritte.
POST DI STEFANO BOERI SULLA MORTE DI MIMMO JODICE
E che nel caso del progetto Identificazione (1978) porterà Jodice a «ri-fotografare» non le immagini ma anche le estetiche di altri grandi della fotografia: Richard Avedon, Bill Brandt, Walker Evans, André Kertész, Ralph Gibson, Christian Vogt.
Jodice ha così trasformato la rappresentazione delle città (di Napoli come di Roma e Parigi) al pari di quella della memoria e dell’emozione. La sua attenzione si è rivolta anche alle culture di diverse parti del mondo, partecipando a mostre e progetti internazionali, e contribuendo a un dialogo tra le diverse tradizioni visive.
La sua capacità di leggere lo spazio e di trasformarlo in un’immagine poetica ha fatto sì che le sue fotografie siano considerate opere d’arte visiva, capaci di suscitare emozioni profonde e di invitare alla riflessione.
Negli ultimi anni, Mimmo Jodice ha continuato a innovare, integrando tecniche e prospettive nuove, pur mantenendo saldo il suo approccio contemplativo. Concentrando la sua ricerca sulla sperimentazione di progetti site-specific , di installazioni e di lavori di grande formato, che coinvolgono lo spettatore in un’esperienza immersiva e sensoriale.
Mentre la sua arte si è fatta sempre più essenziale, con un ritorno alla purezza delle forme e dei chiaroscuri, come a voler sottolineare la necessità di ritrovare un senso di spiritualità e di connessione con il mondo, in un’epoca di trasformazioni profonde. Utilizzando la camera oscura, sono parole sue, per «forzare i limiti del linguaggio fotografico, stravolgere le regole convenzionali e arrivare a una dimensione autonoma».
MIMMO JODICE WARHOL
MIMMO JODICE 2
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Mimmo Jodice Pierfrancesco Agnese
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