giovanni falcone toto toto' salvatore riina strage di capaci

“ERA DIFFICILE ESSERE GIOVANNI FALCONE PRIMA CHE LO TRASFORMASSERO IN UN SANTINO” - FILIPPO FACCI: “LA SUA PRESENZA NON PIACEVA NEPPURE AI VICINI DI CASA: ALCUNI CONDÒMINI AVEVANO SCRITTO AL GIORNALE DI SICILIA NEL TIMORE CHE UN ATTENTATO POTESSE TIRARLI IN MEZZO. MAGISTRATURA DEMOCRATICA DECISE CHE IL NUOVO CONSIGLIERE ISTRUTTORE DI PALERMO DOVEVA ESSERE ANTONINO MELI ANZICHÉ LUI, E LE INDAGINI DI MAFIA PRESERO AD ADDORMENTARSI. ERA ISOLATO, SNOBBATO DALLA SINISTRA TOGATA E DA UNA PARTE DEI MODERATI, DA UNA SFILZA DI GIORNALISTI INFAMI. E C’E’ CHI LO ACCUSO’ DI…”

Filippo Facci per “Libero quotidiano”

FRANCESCA MORVILLO GIOVANNI FALCONE

 

Ha scritto Ilda Boccassini, collega molto legata a Giovanni Falcone: «Quel 23 maggio mi trovavo in una stanza del San Raffaele al capezzale di mio padre... Terminato l'orario di visita, mi ero diretta verso le auto di servizio che mi aspettavano.

 

L'espressione cupa, immobile, sui volti degli uomini scorta, non lasciava dubbi: era successo qualcosa di grave... Nessuno di loro proferì parola e dentro di me cominciò a salire un'ansia difficile da descrivere... riuscii a pronunciare solo una frase che non avrei mai voluto sentirmi pronunciare: «È successo qualcosa a Falcone?». Dallo sguardo che si scambiarono i due poliziotti capii di non essermi sbagliata».

GIOVANNI FALCONE

 

Ha scritto Pietro Grasso, amico di Falcone e giudice del Maxiprocesso in primo grado: «Il suono dei passi degli agenti della scorta mi rimbomba ancora nelle tempie... Dalla radio della polizia arrivavano notizie confuse... Ma era evidente chi fosse stato colpito. Mi precipitai all'ospedale... Fu l'espressione del volto di Paolo Borsellino a dirmi che non c'era più niente da fare».

 

STRAGE DI CAPACI

La morte del magistrato non era ancora stata ufficializzata quando squillò il cellulare di Claudio Petruccioli, pidiessino, braccio destro di Achille Occhetto: a chiamarlo era il sottosegretario Dc Nino Cristofori che voleva parlargli con urgenza. Ha raccontato Petruccioli: «Trovai Cristofori pallidissimo, prostrato. Quel che mi disse non lo dimenticherò mai. Lui - e il suo capo, Andreotti - interpretavano la strage di Capaci come un attacco per sbarrargli la strada del Quirinale. Mi impressionò che la terribile analisi fosse svolta a caldo, con certezza assoluta e una sorta di rassegnazione».

 

giovanni falcone

Per uccidere Falcone usarono qualcosa come 500 chili di tritolo. Il giudice aveva voluto guidare l'auto di persona e l'autista perciò era sul sedile posteriore. Giunti vicini allo svincolo per Capaci, a 600 metri da Palermo, l'autista ricordò a Falcone che poi avrebbe dovuto ridargli le chiavi, e il giudice, sovrappensiero, le estrasse dal cruscotto e fece rallentare l'auto, traendo in inganno gli attentatori che azionarono il telecomando in anticipo.

 

La Fiat Croma bianca perciò si schiantò a circa 90 all'ora contro il muro d'asfalto che si era alzato davanti per l'esplosione. Si era creata una voragine di quindici metri per quattro coi guardail piegati che sembravano artigli. L'auto della scorta che si trovava sotto la carica esplosiva fu scaraventata a 62 metri dal cratere, e a bordo c'erano Rocco Di Cillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani, tutti morti. Accanto a Falcone c'era la moglie Francesca Morvillo.

strage di capaci

 

L'autista, unico incredibilmente sopravvissuto, si chiama Giuseppe Costanza. A bordo doveva esserci anche l'amico giudice Pietro Grasso, che spesso approfittava del volo di sicurezza di Falcone per tornare a Palermo: ma la sera prima aveva trovato un ultimo posto sul volo Alitalia, e aveva preso quello».

 

I SEGNALI IGNORATI

Secondo un collaboratore di Giustizia, la decisione di uccidere Falcone fu presa nel corso di un summit mafioso tenutosi nel novembre 1991 a Castelvetrano (Trapani) dove si programmò anche la morte di Claudio Martelli, Maurizio Costanzo e altri giornalisti. Presenti all'incontro sarebbero stati Totò Riina, Matteo Messina Denaro e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

 

claudio martelli giovanni falcone 5

Un primo programma prevedeva di ammazzare Falcone già alla fine di febbraio, a Roma, ma il piano andò a monte per ragioni quasi risibili: l'esecuzione era prevista in un ristorante che il giudice frequentava spesso, ma i killer sbagliarono piatto: confusero il locale «il Matriciano» nel quartiere Prati con «la Carbonara» a Campo de' Fiori, dove Falcone pure andava. L'agguato sfumò.

 

Dirà il pentito Giovanni Brusca, l'uomo che azionò il telecomando che fece saltare lo svincolo di Capaci: «Riina disse che dovevano morire tutti, che i politicanti lo stavano tradendo. Fece i nomi di Falcone, di Borsellino, di Lima, di Mannino, di Martelli... Disse «gli dobbiamo rompere le corna». Tutti ascoltavano in silenzio...Siamo a ottobre-novembre 1991»

giovanni falcone ospite del maurizio costanzo show

 

Dirà ancora Brusca: «Andreotti per ripulire la sua immagine ci provocò danni immensi... si doveva fare il nuovo presidente della Repubblica e si parlava di lui come uno dei candidati più forti. Noi volevamo che l'attentato avvenisse prima della nomina... Riina disse: «Glielo faccio fare io il presidente della Repubblica...». Nel pomeriggio di quel giorno, il Guardasigilli Claudio Martelli stava parlando delle candidature per il Quirinale proprio con Andreotti.

 

giovanni falcone paolo borsellino

Martelli lo definirà «il giorno più brutto della mia vita». Cosa Nostra, invece, avrebbe dovuto definirlo il suo peggior affare: perché Falcone, col Maxiprocesso ai boss condotto miracolosamente sino in fondo da magistratura e istituzioni, aveva anche disvelato l'identità unitaria e criminale di Cosa Nostra, l'aveva umiliata, rinchiusa in gabbie inquadrate dalle tv, fatta impazzire di rabbia e infine condannata al suicidio: perché le violentissime reazioni che ne erano seguite e che ancora ne seguiranno - la morte di Falcone tra queste terrorizzeranno dapprima un Paese smarrito, certo, ma nel tempo si riveleranno gli spasmi nervosi seguiti alla decapitazione della testa mafiosa, sradicheranno Cosa Nostra dalla mentalità fatalistica di chi per decenni ci aveva convissuto, e di chi ora, finalmente, assieme alle nuove generazioni, giungerà a odiarla per quel suo volto rivelato e repellente, inguardabile, crudele e spaventato nella sua agonia.

 

claudio martelli giovanni falcone 4

Tutto ormai appariva chiaro nelle sue corrette proporzioni, deprivato delle urla indignate e spagnolesche di certa cialtroneria antimafia: c'era stato un collegamento tra cosa Nostra e un potere politico soprattutto andreottiano, c'era stata una conclamata mafiosità dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nessuno metteva più in dubbio che l'omicidio del democristiano Salvo Lima fosse stato un messaggio preciso, benché dapprima rimosso o non ben decifrato.

 

Giovanni Falcone, banalmente, aveva sempre avuto ragione e questo in Italia non è ritenuto perdonabile: «Per essere credibili», si chiese durante una trasmissione televisiva, «bisogna essere ammazzati in questo Paese?».

giovanni falcone

 

QUELLE MALDICENZE

Era ormai isolato, snobbato dalla sinistra togata e da una parte dei moderati, da una sfilza di giornalisti infami, da una società civile immatura o indifferente e purtroppo anche da qualche amico vero. C'era stato il sottovalutato attentato dell'Addaura del 21 giugno 1989, con l'esplosivo ritrovato sotto la sua casa al mare mentre il magistrato stava aspettando due colleghi svizzeri impegnati in un'inchiesta sul narcotraffico.

 

La vicenda, snobbata per decenni, sarà oggetto un regolare processo giunto in Cassazione il 19 ottobre 2004: ottantanove pagine che confermeranno pesanti condanne per Totò Riina, Salvatore Biondino e Antonino Madonia, e che pure sanciranno che i servizi segreti di Stato - sempre tirati in ballo, in Italia - non c'entravano un accidente, perché la responsabilità fu di Cosa nostra e basta.

 

giovanni falcone

Altre pagine della sentenza metteranno nero su bianco «l'infame linciaggio» subito da Falcone, che in buona sostanza in quel 1989 fu accusato di essersi piazzato la bomba da solo. Si citano con nomi e cognomi esponenti della Rete di Orlando oltre a magistrati e alti esponenti dei carabinieri. Fu il Gerardo Chiaromonte, apprezzato parlamentare comunista e defunto presidente dell'Antimafia, a scrivere che «i seguaci di Leoluca Orlando sostennero che era stato lo stesso Falcone a organizzare il tutto per farsi pubblicità».

 

Era veramente difficile essere Giovanni Falcone prima che lo trasformassero in un santino da parabrezza. La sua presenza non piaceva neppure ai vicini di casa: alcuni condòmini avevano scritto al Giornale di Sicilia nel timore che un attentato potesse tirarli in mezzo. Magistratura democratica decise che il nuovo consigliere istruttore di Palermo doveva essere Antonino Meli anziché lui, e le indagini di mafia presero ad addormentarsi.

 

Falcone scrisse al Csm: «Quello che paventavo è purtroppo avvenuto... il gruppo antimafia è ormai in stato di stallo. Paolo Borsellino ha dimostrato il suo senso dello Stato e il suo coraggio denunciando pubblicamente omissioni e inerzie nella repressione del fenomeno mafioso... L'unica via praticabile è quella di cambiare immediatamente ufficio».

ilda boccassini giovanni falcone

 

Al giudice più competente in tema di mafia non passavano più inchieste in tema di mafia. Ecco perché il 13 marzo 1991 accettò di trasferirsi a Roma per dirigere l'ufficio degli Affari penali del ministero della Giustizia, portandosi dietro Pietro Grasso come vicecapo di gabinetto, uomo che il guardasigilli Claudio Martelli avrebbe anche voluto per comandare quella procura palermitana che invece fu occupata da Gian Carlo Caselli.

 

Fu in quell'ufficio che Falcone concepì una struttura investigativa sovraordinata alle singole Procure, così da assicurare, attraverso un Procuratore Nazionale, un coordinamento delle indagini. La Superprocura antimafia nascerà grazie ad un decreto del 20 novembre 1991 che tuttavia non consentirà a lui, Falcone, di raccogliere il frutto delle sue intuizioni: il fuoco di sbarramento che gli organizzarono contro fu inspiegabile e al limite del demenziale. Tutti contro, a partire dall'Associazione nazionale magistrati.

 

GIOVANNI FALCONE GIUSEPPE AYALA

La colpa di Falcone era di flirtare con la politica. Il gruppo del Pds votò un emendamento ad hoc per escludere Falcone dalla carica di superprocuratore. Magistratura democratica definì la nuova Direzione nazionale antimafia «una grave lesione alle prerogative del Parlamento e all'indipendenza della Magistratura. Il bollettino della corrente, a pagina 155, parlava di «ristrutturazione neoautoritaria». I mesi che precedettero la strage di Capaci, per Falcone, furono orribili per lui quanto vergognosi per altri.

giovanni falcone e paolo borsellino

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?