UNA FOTO STORICA, UNA MORTE ASSURDA - LA MORTE DI PEDRIZZETTI, AUTORE DELLA FOTO SIMBOLO DEL ’77, CADUTO NEL VUOTO PER MONTARE LE LUCI DI NATALE

1. FOTOGRAFÒ IL TERRORISMO - PRECIPITA DAL 7°PIANO MONTANDO LE LUCI DI NATALE
Cinzia Bovio per ‘La Stampa'

Un ultimo disperato gesto d'amore. È precipitata nel vuoto insieme al marito nel tentativo di salvarlo. Un volo dal settimo piano che è stato fatale a Raffaella Mattia e Paolo Pedrizzetti, entrambi di 66 anni, caduti dal balcone di casa mentre stavano montando le luminarie di Natale.

La tragedia è avvenuta ad Arona, nel Novarese, ieri alle tre del pomeriggio. Secondo un testimone, la coppia stava decorando la ringhiera del balcone di un appartamento di viale Berrini: improvvisamente, la scala ha ceduto facendo barcollare il marito mentre la donna, cercando disperatamente di trattenerlo, è volata giù con lui nel cortile precipitando per circa 25 metri.

Una scena terribile quella che si sono trovati davanti i primi soccorritori: i corpi dei due coniugi esanimi a terra. I carabinieri di Arona hanno raccolto diverse testimonianze che concordano sulla dinamica dell'incidente.

Un tonfo, poi il silenzio. Anche gli inquilini del condominio hanno sentito le urla, avvertite da tutti nel sottostante parcheggio di piazza Barberi. Proprio da qui, alcuni testimoni hanno assistito del tutto impotenti alla tragedia. Una fatalità, ormai senza dubbi.

Il condominio si trova nel centro della città, a pochi passi dal municipio. Raffaella Mattia e Paolo Pedrizzetti erano una coppia molto affiatata, sposati da 45 anni. Professionisti di successo, lavoravano insieme al figlio Davide in uno studio associato in via Colonna a Milano.

Pedrizzetti era molto conosciuto nell'ambiente da quando, nel 1978, aveva intrapreso l'attività di product designer con Davide Mercatali. Più recentemente, aveva messo un po' da parte il lavoro, per dedicarsi alla famiglia e alla sua adorata nipotina. Con la moglie, era molto presente nella vita pubblica di Arona ed era politicamente impegnato.

Nel 2007, l'architetto è stato fra i fondatori del circolo cittadino del Pd e fino a quest'anno membro del direttivo locale e del coordinamento provinciale. Alle ultime primarie, aveva sostenuto la mozione Cuperlo in alcune assemblee della zona.

Ma la figura di Paolo Pedrizzetti è rimasta per sempre legata a quella foto-icona che l'architetto, allora fotografo dilettante, scattò il 14 maggio 1977 in via De Amicis a Milano, al termine di un corteo di protesta: un dimostrante con il volto coperto che punta la pistola contro un carabiniere. Quello scatto, studiato anche da Umberto Eco, diventò un simbolo degli anni di piombo.

Pedrizzetti era uno dei cinque fotografi presenti quel giorno in quella via. Dopo quello scatto, fu costretto a scappare nell'androne e poi sulle scale fino all'ultimo piano di un palazzo. Questa volta, proprio dall'ultimo piano, non è riuscito a fuggire al suo destino. Un destino che lo ha legato indissolubilmente alla donna sposata quarantacinque anni fa, quando erano appena ventenni, prima di quel flash.


2. GLI ANNI DI PIOMBO RACCHIUSI IN UNO SCATTO
Michele Brambilla per ‘La Stampa'

Ci sono a volte modi inconsueti per scrivere una pagina di storia. Paolo Pedrizzetti la scrisse scattando una fotografia: ritrae un giovane che - il volto coperto dal passamontagna, le gambe divaricate per mantenere l'equilibrio - spara impugnando una pistola con entrambe le mani. Quella foto ha fatto il giro del mondo: è l'immagine simbolo degli anni di piombo.

Pedrizzetti la scattò il 14 maggio 1977 in via De Amicis a Milano, durante una manifestazione organizzata per protestare contro l'arresto di due avvocati di Soccorso Rosso. Nel corso di quella manifestazione rimase ucciso un vicebrigadiere della polizia, Antonio Custra (chiamato per anni, erroneamente, Antonino Custrà), che aveva ventidue anni e una moglie incinta, e che fu uno dei quarantadue morti ammazzati di quel terribile Settantasette, costellato di 2.128 attentati politici.

Il ragazzo che si vede nella foto non è l'assassino. Il suo nome è Giuseppe Memeo, allora aveva diciotto anni ed era al battesimo del fuoco. L'assassino di Custra è Mario Ferrandi detto «coniglio», smascherato solo dodici anni più tardi dal ritrovamento di altre fotografie, scattate da un altro dilettante che come Pedrizzetti si trovava in via De Amicis.

È il fotografo che si vede, appoggiato a un albero, nella foto di Pedrizzetti. Si chiama Antonio Conti, parente di Oreste Scalzone: per dodici anni aveva tenuto il rullino nascosto in casa per paura di ritorsioni. Fu il giudice Salvini, il 31 ottobre 1989, a ritrovare durante una perquisizione a casa di Conti i negativi che permisero l'esatta ricostruzione dei fatti.

Ma se dal punto di vista delle indagini le fotografie decisive furono quelle di Conti, lo scatto passato alla storia fu appunto quello di Pedrizzetti. Quell'immagine fece infatti finalmente cadere l'ipocrisia - largamente favorita da una classe giornalistica pavida e conformista - che dipingeva i manifestanti sempre come «bravi ragazzi», e la polizia sempre come «assassini». Anche quando morì Custra il primo tam tam che partì da via De Amicis, e che raggiunse molte redazioni di giornali, diceva che il povero vicebrigadiere era caduto per una pallottola esplosa dai suoi colleghi.

Fu grazie al coraggio di Pedrizzetti che quella versione truffaldina degli scontri andò in crisi. Quel giorno, in via De Amicis, i fotografi dilettanti erano cinque: Paola Sarcini, Dino Fracchia e Marco Bini, oltre a Pedrizzetti e Conti. Tutti e cinque vennero subito individuati dagli estremisti di Autonomia Operaia e minacciati. Ma Pedrizzetti consegnò ugualmente il rullino alla polizia e ai giornali.

Lo portò anche alla cronaca del Corriere della Sera, dove però fu rifiutato. Perché? Al Corriere vecchi colleghi giurano che fu per un disguido e non per una scelta politica. Sta di fatto che i nuovi editori - i Rizzoli, subentrati l'anno prima a Giulia Maria Crespi - ordinarono un'inchiesta interna che finì con la rimozione del capocronista e del suo vice, Salvatore Conoscente e Giancarlo Pertegato. Nuovo capocronista diventò Enzo Passanisi, un conservatore. Poco dopo i Rizzoli sostituirono anche il direttore Piero Ottone con Franco Di Bella. La foto di Pedrizzetti segnò così simbolicamente la fine, per il Corriere e per tutto il giornalismo italiano, della sbornia post-sessantottina, anche se altre tempeste erano in arrivo.

 

 

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