“DI PASOLINI RESTA SOLO L’ASSENZA, OGNI PAROLA CHE VOGLIA RESTITUIRNE LA SEMPLICE OMBRA È ORMAI ARBITRARIA” – FULVIO ABBATE: “DI LUI DOVREMMO RAGIONARE COME SE STESSIMO TRATTANDO DI UN ‘GETTONE TELEFONICO’: FORME, LUOGHI, OGGETTI, AZIONI, PERFINO POLITICHE, DESUETE, IMPOSSIBILI DA RESTITUIRE NELLA LORO ESATTA PIENEZZA” – “AMAVA DISTINGUERSI DA OGNI ALTRO SCRITTORE, PRATICANDO IL MOLTEPLICE, E SEMPRE CON MOLTO CORAGGIO. DA POETA, DA INTELLETTUALE, DA CRITICO DELLA SOCIETÀ E DEI COSTUMI, PIÙ ADATTO AL CANTO POPOLARE, A ‘FARE ALL’AMORE’, A INNALZARE IL PIACERE DEL SESSO, AD AFFERMARE PERFINO LA GIOIA OMOSESSUALE”
Estratto dell’articolo di Fulvio Abbate per https://www.unita.it/
pier paolo pasolini il decameron
Di Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, cineasta, critico letterario, semiologo civile, intellettuale (anzi, “intelletuale”, così come scrisse un anonimo segretario di sezione friulana sulla sua tessera di militante comunista del 1947), polemista “corsaro” e “luterano”, […] dovremmo ragionare come se stessimo trattando di un “gettone telefonico”: forme, luoghi, oggetti, azioni, perfino politiche, desuete, impossibili da restituire nella loro esatta pienezza.
[…] Pasolini affermava il bisogno di coscienza in un Paese, l’Italia e il suo Appennino, che fino al momento aveva conosciuto, con D’Annunzio, soprattutto un canto, sì, civile, declamato tuttavia all’ombra del Vittoriano, con voce nazionalistica, propria della destra.
Pasolini sollevava invece la bandiera, lo “straccetto rosso”, sempre parole sue, dei partigiani. Volendo essere cronologicamente più esatti, andrebbe aggiunto che Pasolini, oltre a scrivere versi e romanzi, realizzava film destinati a fare scandalo, compilando da un certo punto della sua storia non meno militante, in nome di una disperata vitalità articoli, fondi ed elzeviri di sostanza critica, politica, antropologica, nel senso più assoluto della parola, dove esprimere una propria elegia poetica; pronta, appunto, a farsi invettiva, denuncia, consegnando con parola e corpo alla lotta, per nulla temendo di contraddirsi.
[…] Amava distinguersi da ogni altro scrittore, Pasolini, praticando il molteplice, e sempre con molto coraggio, con “disperata vitalità”, parole sue, ripeto. Da poeta, da intellettuale, da critico della società e dei costumi del Paese che lo aveva visto nascere, da persona che sogni un mondo liberato dai limiti dell’esistente, forse anche posseduto dall’incanto primario di un’arcadia medievale, così come i suoi tesori monumentali, più adatto perfino, sia detto con retorica, al canto popolare, a “fare all’amore”, a innalzare il piacere del sesso, ad affermare perfino la gioia omosessuale; così avanti lettera.
Bisogna poi aggiungere, soprattutto per coloro che di lui tutto ignorano, o nel migliore dei casi sono appassionati unicamente al mistero sulla sua morte, del suo assassinio senza mai vera luce, che Pasolini era altrettanto capace di spiegare i nodi della storia con grazia gentile, in grado di raccontare ai ragazzi, perfino ai giovani “fascisti”, verso quale punto di non ritorno antropologico correva l’Italia già contadina.
Ora, volendo illustrare in quale momento della storia, geneticamente, biograficamente parlando, ha inizio il racconto politico ed espressivo che riguardi la sua persona, occorre aggiungere che Pasolini era nato a Bologna il 5 di marzo del 1922, oltre cento anni esatti fa.
LA CASA DOVE VISSE PASOLINI A VIA FONTEIANA, MONTEVERDE, ROMA
Il bambino, l’adolescente Pier Paolo, il ragazzo, l’uomo, il futuro letterato, quindi, per privilegio anagrafico ha attraversato la dittatura fascista, i giorni e gli affanni della guerra, lo spirito della Resistenza al nazi-fascismo, poi, davanti alle macerie perfino morali del dopoguerra, ormai quasi trentenne, da marxista, c’è subito modo di scorgerlo seduto dietro la sua piccola scrivania economica, in un povero e minuscolo appartamento romano, in via Fonteiana, poeticamente a ragionare sulla luce, le ombre, gli inganni, l’infranto della società.
Tutto ciò avveniva nell’esatto istante stesso in cui il mondo abbandonava il paesaggio domestico delle piccine pentole d’alluminio per abbracciare un tempo d’acciaio inox.
Sono già gli anni Sessanta, quando i giovani scelsero di scendere nelle piazze della propria rivolta per finalmente esistere in quanto tali, inventando sé stessi come categoria perfino politica, accompagnati dai gruppi musicali che ne cantavano la ribellione, meglio, la “contestazione”, come si diceva allora.
I giovani “contestano” i vecchi, i “matusa”, nasce perfino una rivista, un rotocalco con quel loro nome, Giovani, ogni settimana con un manifesto diverso, ora i Beatles ora i Rolling Stones, ora Don Backy o Celentano. Ma non vorrei semplificare e soprattutto correre troppo, resti l’immagine ormai desueta del gettone telefonico a restituire l’enigma dell’irriproducibilità del suo tempo storico.
Come restituire adesso quel tempo che sembrava destinato a mostrarsi infinito? Nessuna Intelligenza artificiale potrà mai riuscire nell’impresa. Via Fonteiana, vista con gli occhi del presente, è una strada per ceti medi. Era invece il 1955 quando lo scrittore e sua madre Susanna Colussi, insegnante, presero a cercare un affitto, qualcosa di “decoroso”.
LA CASA DOVE VISSE PASOLINI A VIA CARINI, MONTEVERDE, ROMA
Lo trovarono appunto al civico 86, fra piazza Ottavilla e piazza Fonteiana, poco prima della discesa ulteriore di via Abate Ugone, la borgata di Donna Olimpia, dove, fra l’altro, ha luogo Ragazzi di vita.
Un parallelepipedo intonacato d’ocra, senza particolari segni di estro architettonico, eppure dall’ingresso spazioso, luminoso, nel quale la famiglia Pasolini poté prendere subito posto.
[…] Appena due stanze, cucina, bagno e un balcone stretto che s’affaccia su via Innocenzo X, le mattonelle celesti adorate dai piastrellisti degli anni Cinquanta, gli infissi degli stessi tempi, un’aria immanente di “smorzo”, per intendere un deposito di materiali edilizi di risulta dove i poveri cercano cemento e laterizi modesti per risparmiare sui costi.
LA CASA DOVE VISSE PASOLINI A VIA EUFRATE, EUR , ROMA
Giù nell’atrio, i proprietari del palazzo, in occasione del trentesimo anniversario della scomparsa dello scrittore, nel novembre del 2005, hanno voluto fissare una targa di marmo; serve a ricordare che dal 1955 al 1959 Pier Paolo Pasolini ha abitato in quel palazzo, seguono i versi “Com’era nuovo nel sole Monteverde Vecchio!” Già utilizzati per la targa apposta dal Comune di Roma in via Giacinto Carini, la seconda e più nota residenza monteverdina dello scrittore.
Perfetti, certo, eppure, se solo i titolari del condominio fossero andati a cercare fra le Ceneri, scritte proprio in quel luogo o comunque lì ultimate, sarebbero saltate fuori altre parole, dove la strada trova sé stessa e il proprio magnificat: “Ed ecco la mia casa, nella luce marina/ di via Fonteiana in cuore alla mattina”.
[…]
C’è un bar, in via Giacinto Carini, lo stesso che lo scrittore così scopriva nel 1960: “Col sole, sedute ai tavolinetti di metallo di un baretto – senza consumare niente – ci sono sei o sette ragazze: loro e il sole. Il baretto è all’angolo tra Via Fratelli Bonnet e Via Carini, accanto alla fermata dell’autobus: quindi qualcuno passa, e le vede…”.
Ancora adesso, nella tarda mattinata, il sole si imbatte nell’esistenza di quel bar. Di Pasolini resta solo l’assenza, ogni parola che voglia restituirne la semplice ombra è ormai arbitraria, così come sollevare la bandiera che gli era cara, così come ritrovare tra vecchie lire un gettone telefonico. Forse è il caso di lasciare Pasolini alla sua ombra, alle sue ceneri.
pasolini moravia morante
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orson welles e pier paolo pasolini
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pier paolo pasolini (2)
casa romana di pasolini via tagliere
pier paolo pasolini e italo calvino al caffe rosati
orson welles e pier paolo pasolini
pasolini con la callas e ninetto davoli
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Orson Welles Pier Paolo Pasolini il produttore Bini
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pasolini con la callas sul set di medea
PIER PAOLO PASOLINI E WALTER VELTRONI NEL 1975



