“LASCIO L’UNIVERSITÀ, TROPPI ORTICELLI E SERVILISMI” – IL LINGUISTA ENRICO TESTA DICE ADDIO IN ANTICIPO ALL’INSEGNAMENTO UNIVERSITARIO A GENOVA: “NEL SETTORE UMANISTICO, C’È STATA UNA RINCORSA PATETICA ALL’ATTUALITÀ, AGLI ARGOMENTI DI ‘MODA’, QUANDO GLI STUDENTI NON CONOSCONO, NON DICO ROCCO SCOTELLARO O SILVIO D’ARZO, MA NEMMENO UN POETA COME VITTORIO SERENI? È IL TEMPO DEL PROFESSORE-BUROCRATE, UNA NUOVA FIGURA DI DOCENTE SERVILE E CONFORMISTA” – L’ATTACCO AGLI ATENEI WOKE: “C’E’ UNA GRAN VOGA DI STUDI POST-COLONIALI E A QUANTO S’ISPIRA ALL’ANTIOCCIDENTALISMO. TUTTO QUESTO È MOLTO ‘PROGRESSISTA’ MA ANCHE SERVILE PERCHÉ S’ADEGUA A PAROLE D’ORDINE CHE NON AMMETTONO REPLICHE E CHE SANCISCONO IL DISTACCO DALLA FUNZIONE PRIMARIA DELL’UNIVERSITÀ: L’ESERCIZIO DELLO SPIRITO CRITICO. DA QUI UN IBRIDO DI PROGRESSISMO E CONFORMISMO”
Estratto dell’articolo di Paolo Di Stefano per il “Corriere della Sera”
Leggendo Pronomi , il suo nuovo libro (edito da Einaudi), si capisce perché Enrico Testa — storico della lingua, saggista, poeta, traduttore — ha deciso di lasciare in anticipo l’insegnamento universitario a Genova […] Sfiducia nella burocrazia crescente, nell’idea di produttività, nella corsa forsennata ai «temi che piacciono». A noi parla di «incompatibilità ambientale» […]
Che cosa è cambiato negli ultimi anni?
«Molto. Intanto, nel settore umanistico, c’è stata una rincorsa un po’ patetica all’attualità, agli argomenti di “moda”. Penso invece che l’università debba restare un passo indietro, che non è ritardo ma pausa di riflessione e d’analisi. Mi chiedo: che senso ha oggi, in tempi di media onnipresenti, proporre agli studenti un giallista sulla cresta dell’onda o le opere di un autore di fumetti?
Quando, per restare al Novecento, non conoscono, non dico Rocco Scotellaro o Silvio D’Arzo, ma nemmeno un poeta come Vittorio Sereni? Va bene che antropologicamente “tutto è cultura” ma questo principio andrebbe graduato in una qualche scala di valori. Non è più opportuno, per l’Università, fornire le basi critiche dell’analisi e della storia e poi far conoscere agli studenti ciò che sta al di fuori del loro raggio d’azione? Senza perdersi in esercizi un po’ ruffiani […]».
Altri mutamenti?
«La crescita, nella ricerca, di una specializzazione che conosce solo il suo orticello d’elezione; la compulsione alla velocità “performante” in ogni campo senza dialogo e riflessioni supplementari e conseguentemente in maniera sempre più dirigistica; e la mitologia della produttività. Diventata la conoscenza una raccolta quantitativa di dati […]».
E il servilismo degli spiriti «progressisti»?
«È il tempo del professore-burocrate, una nuova figura di docente dall’atteggiamento servile e conformista: colui che fa carriera e viene premiato […] perché si dedica a compilare moduli, stilare progetti, scovare fondi […]».
A cosa allude?
«Alla gran voga degli studi post-coloniali e a quanto s’ispira all’antioccidentalismo. Tutto questo è molto “progressista” ma anche molto servile; proprio perché s’adegua a parole d’ordine che non ammettono repliche e che sanciscono il distacco dalla funzione primaria dell’università: l’esercizio dello spirito critico. Da qui un ibrido singolare di progressismo e conformismo. Che si riflette anche nei comportamenti. […]». […]


