
CON LA SCUSA DELLA PARITÀ, I LAVORATORI CHE SI SENTONO “DISCRIMINATI” POTRANNO FARSI GLI AFFARI DEI COLLEGHI – DAL LUGLIO 2026 LE AZIENDE ITALIANE SARANNO OBBLIGATE A RISPETTARE LA DIRETTIVA EUROPEA CHE PERMETTE AI DIPENDENTI DI CONOSCERE LO STIPENDIO MEDIO PERCEPITO DAI COLLEGHI DI PARI MANSIONE – UN ATTO GIURIDICO CHE HA L’OBIETTIVO DI COMBATTERE ATTRAVERSO LA TRASPARENZA IL “GENDER PAY GAP”, OVVERO IL DIVARIO SALARIALE TRA UOMINI E DONNE, CHE IN ITALIA È DEL 15,9% NEL SETTORE PRIVATO E DEL 5,2% IN QUELLO PUBBLICO…
Estratto dell’articolo di Massimiliano Jattoni Dall’Asén per il “Corriere della Sera”
gender pay gap - divario salariale tra uomini e donne
In Europa, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini: il «gender pay gap», ovvero il divario medio per ora lavorata, è ancora del 13%. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, le donne guadagnano il 15,9% in meno rispetto agli uomini nel settore privato; mentre nel pubblico le cose vanno un po’ meglio con un divario che si attesta al 5,2%.
In media, una dipendente italiana guadagna 6 mila euro in meno di un collega uomo. Una delle cause di tutto questo? L’opacità salariale, che rende difficile sapere quanto vengono retribuiti i colleghi di sesso opposto e, dunque, pretendere un adeguamento.
gender pay gap - divario salariale tra uomini e donne
Per superare questo squilibrio, due anni fa ha visto la luce la Direttiva europea 2023/970, che impone alle aziende maggiore trasparenza e permette ai lavoratori di conoscere lo stipendio medio percepito dai colleghi di pari mansione (non è possibile, invece, sapere lo stipendio di un collega specifico).
L’obiettivo della Direttiva è, ovviamente, garantire la parità negli stipendi tra uomini e donne, mirando a ridurre il divario retributivo di genere attraverso misure che promuovano la trasparenza salariale […]
gender pay gap - divario salariale tra uomini e donne
L’Italia non ha ancora recepito la direttiva, ma le imprese hanno tempo fino al 7 giugno 2026 per adeguarsi ed evitare le sanzioni. Diversamente, saranno chiamate a dimostrare di non aver attuato discriminazioni salariali.
Nel nostro Paese, attualmente vige il «segreto salariale», ovvero la riservatezza che il datore di lavoro è tenuto a rispettare sui dati che compaiono nella busta paga. Come sappiamo, il cedolino contiene infatti una serie di informazioni sensibili che, ovviamente, continueranno a non essere divulgate anche in futuro.
Lo stipendio rientra nei dati sensibili e, dunque, è stato finora soggetto al «segreto». Con la Direttiva Ue questa segretezza viene vietata, riconoscendo alle lavoratrici e ai lavoratori, così come ai loro rappresentanti, il diritto di ricevere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi medi applicati per la stessa mansione o, comunque, per un impiego di pari valore.
La normativa ha previsto anche la tempistica della risposta da parte del datore, che deve arrivare al dipendente entro e non oltre due mesi dalla data in cui ha presentato la richiesta[…]
Ma non è finita qui. Sempre secondo la Direttiva Ue, nei contratti non sono più ammesse clausole che vietino ai dipendenti di parlare liberamente di quanto guadagnano. Inoltre, il datore di lavoro è tenuto a ricordare almeno una volta all’anno a tutti i suoi dipendenti che possono esercitare questo diritto alla trasparenza.
Questa decisione dell’Europa potrà influire anche sui colloqui di lavoro. Prima dell’assunzione, infatti, il datore di lavoro avrà l’obbligo di informare il candidato sulla retribuzione iniziale relativa alla posizione, mentre non potrà indagare sullo stipendio percepito dal candidato nel lavoro precedente. […]