CHE MI VENGA UN GOLPE! NEI GIORNI DELLA CRISI I TELEFONI DI ROMA CENTRO RESTANO MUTI

Sergio Rizzo per il Corriere.it

Non ci mancava che il telefono isolato. Fatto che per qualcuno potrebbe anche essere un segno del destino. I maniaci del complotto, poi, ci andrebbero di sicuro a nozze. Ma nemmeno il più bravo degli sceneggiatori noir avrebbe saputo trovare migliore espediente per aggiungere un pizzico di suspence alla telenovela nella quale siamo immersi. È la notte di mercoledì.

Due giorni prima è scoppiata come una bomba sui mercati la notizia che la compagnia spagnola Telefonica potrà ingoiare Telecom Italia: la politica insorge, affermando che mai e poi mai la nazione rinuncerà a un asset strategico come la rete sulla quale passano tutte le comunicazioni, anche quelle più riservate.

Ma nel pomeriggio di quel 25 settembre un ordigno ancora più potente è esploso nel Palazzo: i 188 parlamentari del Pdl hanno annunciato le dimissioni di massa dopo il 4 ottobre, data del voto in giunta sulla presumibile decadenza da senatore di Silvio Berlusconi. Come fosse un segnale, improvvisamente i telefoni ammutoliscono. Internet non dà più segni di vita. La mattina seguente i commercianti scopriranno che i Pos attraverso cui avvengono i pagamenti con bancomat e carte di credito non funzionano.

Il 187 è sommerso dalle telefonate. La causa del guasto, spiegano a Telecom, è un devastante incendio ai cavi elettrici dell'alta tensione della municipalizzata romana Acea, che si è sviluppato in una galleria sotto corso Vittorio Emanuele, nel pieno centro di Roma propagandosi anche alle linee del telefono che correvano parallele.

Ed è proprio questo che rende il blackout imprevisto qualcosa di assolutamente emblematico della situazione di stallo che vive la politica italiana e insieme del trauma della grande compagnia telefonica: la quale probabilmente già giovedì potrebbe trovarsi senza presidente, visto che le dimissioni di Franco Bernabé sono considerate a questo punto scontate.

Perché la zona è quella del Pantheon, a ridosso del Senato: il luogo dove si dovrebbe consumare la vicenda che da due mesi, quando la Cassazione ha reso definitiva la condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale, tiene con il fiato sospeso la politica italiana. Non si tratta di un pezzo di città qualunque, ma quello dove c'è il cuore del potere, oltre a un flusso immane di turisti (abituati, per inciso, a pagare anche un caffè con la carta di credito).

Il problema all'inizio sembra facilmente risolvibile: dal 187 arrivano rassicurazioni che si tornerà alla normalità nella giornata di giovedì. Ma la faccenda si rivela evidentemente più complicata del previsto. Anche perché sono saltate migliaia di linee telefoniche. Per fortuna ci sono i cellulari. Passa anche venerdì, e al 187 dicono che difficilmente le linee potranno essere ripristinate prima di sabato sera. La domenica mattina, infatti, i telefoni sono ancora muti.

Sono trascorsi quattro giorni e qualche negozio ha già esposto un avviso con la scritta: «Tutte le operazioni che prevedono la connessione telefonica non sono al momento disponibili per un guasto». Il 187 continua a non dare molte speranze. La data per il ripristino totale delle linee viene addirittura spostata al martedì. Con un brivido che corre lungo la schiena quando l'interlocutore sottolinea come la domenica sia un giorno festivo. «Che vuol dire, oggi riparano a ritmo ridotto?»; «Non sappiamo...». Falso allarme. Alla Telecom dicono hanno lavorato senza sosta, giorno e notte.

E meno male che qualche ora più tardi i responsabili della rete fissa, interpellati, fanno sapere che «alcune utenze sono già rientrate, dovremo concludere tra stasera e domani mattina». Non senza la precisazione che i tecnici della compagnia telefonica hanno iniziato a operare «non appena i vigili del fuoco ci hanno autorizzato a entrare nella galleria incendiata».

Cose che capitano, certo. Se poi le proporzioni del guaio sono così grosse... L'incendio ha mandato in fumo più di tremila linee telefoniche, da riattivare una per una. Il ritmo è di cento l'ora: a metà pomeriggio di ieri ne mancavano ancora 1.200. E che dire della sfortuna per cui un cavo dell'Acea va a fuoco, di notte, nello stesso condotto?

Teniamo conto di tutto. Ma che i telefoni di una porzione tanto nevralgica della capitale d'Italia siano rimasti isolati così a lungo, non può essere considerato un fatto normale. A meno di non volerlo interpretare come un altro piccolo sintomo di un Paese che rischia di andare in tilt.

 

 

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