
OCCHIO, MALOCCHIO, PREZZEMOLO E FINOCCHIO: DALLA SUPERSTIZIONE NON SI SCAPPA – PER EDUARDO DE FILIPPO “ESSERE SUPERSTIZIOSI È DA IGNORANTI, MA NON ESSERLO PORTA MALE” – NAPOLEONE TENEVA CON SÉ UNO SCARABEO EGIZIO E UNA CIOCCA DI CAPELLI DI GIUSEPPINA – I RITI DI TRUMAN CAPOTE: MAI TRE CICCHE DI SIGARETTA NEL POSACENERE E MAI IN AEREO SE CI SONO DUE SUORE – HITLER AVEVA ORRORE DEL NUMERO 7, AUDREY HEPBURN UNA FASCINAZIONE PER IL NUMERO 55 – MARIA CALLAS SI RIFIUTATA DI CANTARE SE VEDEVA SPETTATRICI VESTITE DI VIOLA – TOTÒ CONFESSÒ A ORIANA FALLACI: “QUANDO È MARTEDÌ E VENERDÌ, 13 O 17, MI CHIUDO IN CASA” – VIDEO
Estratto dell’articolo di Paolo Di Stefano per “Sette – Corriere della Sera”
Il repertorio di frasi celebri sulla superstizione è ricchissimo.Ma la battuta più famosa è quella di Eduardo De Filippo, perché contiene una doppia lettura del fenomeno, sociologica e psicologica, oltre a presentarsi come un concentrato di cinismo e di autoironia: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male».
Di superstiziosi “non ignoranti” è pieno il mondo ed è piena la storia. Ricordo che Sebastiano Vassalli, appena sentiva il nome di un collega scrittore (uno in particolare), non resisteva all'impulso di portarsi le mani verso il basso con tanto di corna. Eppure, né il suo carattere né, tanto meno, la sua scrittura avevano nulla di misterico o di irrazionale, se non il fatto che narravano l'irrazionalità della storia.
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Fu Manzoni a interrogarsi, nella Storia della Colonna Infame, sul margine reale di libertà di cui disponevano i giudici che condannarono a furor di popolo due presunti untori cedendo alla superstizione collettiva e al bisogno di un capro espiatorio. È evidente che quando la scaramanzia si diffonde può avere conseguenze distruttive, mentre è più innocente lo scongiuro individuale.
Del quale lo stesso Manzoni che censurava duramente la credulità popolare attribuiva alla sua tabacchiera facoltà propiziatorie nell'esercizio della scrittura. Una fedeltà testimoniata dal ritratto di Francesco Hayez, in cui don Lisander tiene in mano quella scatoletta di corno quasi fosse il suo romanzo.
A proposito di oggettistica, ci si stupisce sempre quando si pensa che Napoleone, l'imperatore e generale massimo tutt'altro che “ignorante”, aveva le sue manie scaramantiche, chissà quanto documentate o leggendarie
pare che dai tempi della campagna d'Egitto non si separasse mai dall'effigie antica di uno scarabeo, il kheperer, che tradizionalmente proteggeva dalla malasorte i faraoni; altri sostengono che il suo vero talismano era invece una ciocca di capelli di Giuseppina; narrano infine che diffidasse delle nuove divise e tendesse a indossare le uniformi con cui aveva vinto già qualche battaglia.
In un popolare film del 1983 la paura del maleficio faceva dire a Lino Banfi, immerso nell'acqua schiumosa di una vasca da bagno, la nota tiritera in rima pugliese: «Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, ego me baptizo contro il malocchio. E con il peperoncino, e un po' di insaléta, mi protegge la Madonna dell'Incoronéta. Con l'olio, il sale, e l'aceto, mi protegge la Madonna dello Sterpeto. Corrrno di bue, latte screméto, proteggi questa chésa dall'innominéto».
lino banfi occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio
Quanto a sortilegi meridionali, una novella di Pirandello uscita nel 1911 sul Corriere, La patente, diventata una commedia in atto unico ci riporta al nome di Eduardo che ne sarà interprete a teatro. E a questo punto è inevitabile ricordare un altro grande scaramantico dello spettacolo, Totò, che nel 1954 interpreterà lo stesso racconto pirandelliano al cinema in un film a episodi di Luigi Zampa, Questa è la vita.
La storia mette in scena una delle figure-chiave verso la quale si mobilita lo scongiuro propiziatorio: è il personaggio dello iettatore. Che nel racconto di Pirandello, con il nome di Rosario Chiarchiaro fa della sua cattiva fama lo strumento della vendetta. Decide di indossare una maschera funebre per estorcere una tassa anti-jella ai cittadini creduloni.
In virtù di questa sua procedura, Rosario chiederà al giudice una «patente» che lo autorizzi a esercitare legalmente il mestiere di jettatore.
Tornando al principe De Curtis, mai dimenticarsi che a Oriana Fallaci confessò allegramente di essere, oltre che religiosissimo, «maledettamente superstizioso»: «Io» disse «quando è martedì e venerdì, 13 o 17, può cadere il mondo: mi chiudo in casa».
Ed elencava (senza preoccuparsi di essere politicamente corretto) una sfilza di spauracchi da cui difendersi: il 13, il 17, il gatto nero, una coppia di monache, una gobba, la civetta, il sale che cade, l'olio che si versa, lo specchio che si rompe, il viola… Qui si aprono due filoni importanti legati alla scaramanzia: il vasto campo della numerologia e quello dei colori.
Il numero contiene in sé un lato oscuro in cui si sono imbattuti uniformemente, nel bene e nel male, gli spiriti peggiori e i più sublimi. Il Führer aveva orrore del 7, tant'è vero che nel 1946 uscì da Mondadori un libro semiserio di Manuel Penella De Silva intitolato proprio Il numero 7 superstizione di Hitler.
Viceversa, Audrey Hepburn aveva una fascinazione per il numero 55, al punto da pretenderlo sempre per il suo camerino, anche durante la lavorazione di Vacanze romane e Colazione da Tiffany.
E poi c'è la cosiddetta Maledizione della Nona, secondo la quale diversi musicisti sarebbero morti durante o subito dopo la composizione della nona sinfonia, tra cui Beethoven, Schubert, Dvorak.
Si racconta che, dopo aver finito l'ottava, Gustav Mahler volle aggirare il fatale destino scrivendo quell'autentico capolavoro che era ed è Das Lied von der Erde (la canzone della terra) senza però attribuirgli l'etichetta di “sinfonia”. Secondo Arnold Schönberg: «quelli che hanno scritto una Nona Sinfonia si sono spinti troppo vicini all'Aldilà».
Anche Truman Capote, l'autore di A sangue freddo, aveva le sue ossessioni numerologiche: «Non posso permettere» ammetteva «che rimangano tre mozziconi di sigaretta in un posacenere». Piuttosto se ne infilava uno in tasca. Ma non solo: «Non volerò mai su un aereo con due suore».
Nel filone cromatico, spicca la “sfiga” legata al colore viola nel mondo dello spettacolo: si racconta che in un teatro giapponese Maria Callas si sia rifiutata di cantare dopo aver adocchiato in prima fila una spettatrice viola-vestita.
Ma a parte il classico «merda!» che precede l'entrata in scena, gli scongiuri degli attori e degli artisti non si contano: ognuno ha il suo gesto, la sua parola-talismano, il suo oggetto apotropaico.
Non diversamente dagli sportivi.
Chi ha dimenticato il sale che il vecchio Trap, da allenatore, spargeva intorno a sé durante le partite? Giovanni Arpino, in una delle sue «lettere scontrose», ricordava che Omar Sivori, ancora juventino, quando scendeva in campo a Torino e prima dell'inizio della partita, per scaramanzia, calciava «mollemente» la palla nella rete avversaria ancora vuota.
E se qualcuno pensasse che sono gesti scaramantici che attengono alle culture meridionali, prenda Johan Cruyff, bandiera del calcio razionalistico del Nord, quello olandese: ebbene, il capitano della squadra più straordinariamente moderna degli Anni 70, l'Aiax, prima del fischio d'inizio usava avvicinarsi al suo portiere, Gert Bals, per dargli un pugnetto gentile sul ventre e dopo un po' andava a sputare la chewing-gum nella metà campo avversaria.
Ma il concentrato massimo di tic e manie lo offre (lo offriva) il grande Rafa Nadal, con i suoi allineamenti perfetti di bottiglie e soprattutto con il rituale che precedeva la battuta del servizio nei 25 secondi consentiti dal regolamento: un tocco posteriore ai pantaloncini, un tocco sulla spalla sinistra, poi sulla destra, poi sul naso, sui capelli sopra l'orecchio sinistro, di nuovo sul naso, sui capelli sopra l'orecchio destro, il polsino sulla fronte, magari la guancia. Più che scaramanzia, una follia.