
“HA FATTO SALTARE IN ARIA MIO FIGLIO, LA RITROVO LIBERA E VICINA DI CASA" – LO SFOGO DI SARA SCARPULLA, MAMMA DEL BIOLOGO MATTEO VINCI UCCISO 7 ANNI FA A LIMBADI CON UN'AUTOBOMBA, PER UNA CONTESA TRA VICINI PER UN TERRENO, FRA VIBO VALENTIA E LA PIANA DI GIOIA TAURO, FEUDO STORICO DELLA ‘NDRANGHETA - LA CASSAZIONE HA ANNULLATO L'ERGASTOLO E ORDINATO LA SCARCERAZIONE DI ROSA MANCUSO, SORELLA, FIGLIA E NIPOTE DI BOSS, RITENUTA LA MANDANTE DELL’OMICIDIO – “DIETRO CASA CE LI HO, COME FACCIO A VIVERE? NON DORMO PIU’” – QUANDO L'EX SENATORE DI FDI GIANCARLO PITTELLI, CONDANNATO PER ESSERSI MESSO A SERVIZIO DEL BOSS LUIGI MANCUSO, LO DEFINÌ “IL PIÙ GRANDE DI TUTTI”
Alessia Candito per “la Repubblica” - Estratti
Trenta metri, sessanta passi, forse neanche il tempo di avere paura. Tanto dista la casa di Sara Scarpulla da quella di Rosa Mancuso. All'anagrafe entrambe sono Rosaria, ma diverso è il soprannome, opposta la vita. La prima è la madre di Matteo Vinci, la seconda è quella che per i pm ha ordinato di ucciderlo, facendolo saltare in aria con un'autobomba in pieno giorno.
Questione di terra, di roba, di alberi che la matriarca della famiglia Mancuso voleva e lui si rifiutava di cedere. Succedeva nel 2018 a Limbadi, piccolo centro di tremila anime, a cavallo fra Vibo Valentia e la Piana di Gioia Tauro, che dei Mancuso, uno più potenti e feroci casati di 'ndrangheta, è feudo storico.
Ed è lì che Rosaria, sorella, figlia e nipote di boss, adesso può tornare. Dopo due ergastoli incassati in primo grado e in appello come mandante dell'omicidio di Matteo Vinci, la Cassazione ha annullato la condanna e ordinato la scarcerazione e un nuovo processo d'appello.
«Dietro casa ce li ho, come faccio a vivere? Se esco dal cancello sul retro, dal lato dell'orto li vedo, se vado in campagna sono nel podere accanto», si lamenta Sara Scarpulla.
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«Ogni udienza è una guerra. È sempre stato così. Per anni ho combattuto con otto avvocati, che per difendere lei, accusavano noi. E io passi indietro non ne faccio. Però è trentasette anni che combatto», dice Sara che snocciola come grani di rosario dispetti, minacce, agguati, danneggiamenti, denunce tanto pretestuose, quanto dispendiose. «Ciccio, mio marito, un anno fa è stato citato in giudizio dalla famiglia Mancuso per invasione di terreno. Quasi non cammina più, come avrebbe dovuto fare?».
Ma è stato necessario contattare un legale, acquisire le carte, affrontare il giudizio. E significa «spese, energie, ansie». Altri grani del quotidiano rosario di Sara Scarpulla. «Anche chi sta vicino a noi viene colpito». Un bracciante che lavorava per lei e la sua famiglia — racconta — è stato minacciato e costretto ad andare via.
«Eppure — dice e sembra non capacitarsi — l'aggravante mafiosa è caduta in appello. Eppure hanno confermato l'ergastolo per il genero, ma non per lei. È lei che si chiama Mancuso».
E di quell'eredità la matriarca va fiera. «Sai come si presenta qui in paese? "Io sono la Mbrogghia"». Era il soprannome del padre, il boss Ciccio, espressione più feroce e tribale di un clan che con le sue costole riesce a impersonare tutte le anime della 'ndrangheta. Quella di Luigi Mancuso — «il più grande di tutti» secondo l'ex senatore di FdI Giancarlo Pittelli, condannato per essersi messo al suo servizio — che controlla la politica, si mischia con la massoneria, gestisce affari miliardari.
Quella che muove coca e appalti, riesce a convincere due emissari kazaki a presentarsi a Lamezia Terme per discutere di un contrabbando di petrolio. E quella degli Mbrogghia, che il proprio potere l'ha costruito su violenza, terra e sangue.
«Io so chi sono loro, lo sa tutto il paese — dice Scarpulla — però adesso che è uscita, di lei non si parla. Anche le mie amiche adesso mi evitano».
Perché lei Rosaria Mancuso l'ha sempre affrontata, non ha subito in silenzio, e la matriarca lo sa. «Doveva toccare a lei», l'hanno sentita masticare a mezza bocca gli investigatori quando è stata arrestata per l'omicidio Vinci. Sara Scarpulla da anni è stata costretta a vivere protetta da una vigilanza leggera. «Ma è come vivere seduti su una bomba. Devi stare attenta a tutto, valutare tutto. Una cosa è certa: io — sottolinea — da qui non me ne vado, so che qualcosa succederà, ma non mi muovo».
C'è Matteo — spiega — che deve avere giustizia. «Spero che questo nuovo processo si chiuda con una condanna. Ma la Cassazione ha rimesso tutto in discussione. E io non dormo più. Per me non chiedo niente: voglio solo che i responsabili dell'omicidio di mio figlio paghino».