persone che chiedono il suicidio assistito

SMETTO (DI VIVERE) QUANDO VOGLIO – LA REGIONE MARCHE HA DATO L’OK AL SUICIDIO ASSISTITO PER UN TETRAPLEGICO 44ENNE, DAL 2014 BLOCCATO IN UN LETTO DOPO UN INCIDENTE STRADALE. DA ANNI L’UOMO LOTTA PER POTER PORRE FINE ALLA SUA VITA INSIEME ALL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI: L’ALTERNATIVA ERA LA SVIZZERA, MA L’UOMO È RIUSCITO A FARSI DARE IL VIA LIBERA, DIVENTANDO IL SECONDO ITALIANO A ESSERE AUTORIZZATO A TOGLIERSI LA VITA. LO FARÀ DA SOLO, CIRCONDATO DAI SUOI CARI, ASSUMENDO UN BARBITURICO COMMERCIALIZZATO COME…

Filippo Fiorini per “la Stampa”

 

PERSONE CHE CHIEDONO IL SUICIDIO ASSISTITO

«Silenzio elettrico cerebrale»: questo è il nome clinico della morte che Antonio, meccanico marchigiano di 44 anni, bloccato a letto dal 2014, ha scelto per concludere una vita che gli è diventata insopportabile. Lo potrà fare autonomamente, quando vuole, somministrandosi in casa il tiopentone sodico, un barbiturico commercializzato come Pentothal, che lo addormenterà in un paio di secondi, senza dolore, e lo trasformerà nel secondo cittadino italiano ad aver ottenuto legalmente l'autorizzazione al suicidio, dopo il suo conterraneo noto pubblicamente con lo pseudonimo di Mario.

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A compiere l'ultimo passo della procedura è stata l'Azienda Sanitaria delle Marche (Asur), che si era prima opposta alla richiesta di Antonio, ma ha poi acconsentito dopo che gli avvocati dell'Associazione Luca Coscioni hanno litigato per due anni in ogni sede, ottenendo infine un'ordinanza del tribunale di Fermo e tenendo in stand-by un piano B che al querelante non piaceva: andare in Svizzera e ricorrere all'eutanasia.

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«Stavo per rivolgermi nuovamente alla struttura elvetica che avevo contattato prima di questo percorso. Ma oggi, alla notizia della conferma del farmaco e delle modalità che potrò seguire, sono felice di poter avere vicino i miei cari, a casa mia, fino all'ultimo momento. Inizio ora a predisporre ogni cosa al fine di procedere in tempi brevi con il suicidio assistito», ha detto il diretto interessato, la cui vera identità viene protetta per motivi di privacy e la cui vita è cambiata radicalmente nel 2014.

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Motociclista, snowboarder, appassionato di macchine e di meccanica al punto da farne una professione, nel settembre di quell'anno Antonio si trovava in Sicilia per una trasferta di lavoro. In un grave incidente stradale, riportò la frattura delle vertebre cervicali C6 e C7: sono le ultime due del collo e da allora non muove più le braccia, le gambe e il torso.

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La diagnosi definitiva la ricevette nel gennaio 2015, quando fu dimesso da un centro di riabilitazione d'eccellenza a Imola, in cui aveva trascorso sei mesi e con le parole «tetraplegia spastica» gli dissero che quella sarebbe stata per sempre la sua condizione.

 

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Da allora, nonostante la vicinanza dei genitori e dei due fratelli, ha maturato la decisione di morire. Date le difficoltà normative che deve affrontare chi si trova in una situazione analoga, la sua prima scelta era stata quella di recarsi in Svizzera, dove l'eutanasia è legale e, col tempo, era anche arrivato a mettere da parte i soldi. Il problema, è che in quel caso chi lo avesse accompagnato sarebbe stato penalmente responsabile in Italia. Le battaglie che l'Associazione Luca Coscioni porta avanti nel nostro Paese su questo tema, l'hanno quindi convinto nel 2020 a farsi avanti e cercare il loro aiuto.

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Non essendoci una legge per il suicidio assistito, ma solo giurisprudenza (la sentenza della Corte costituzionale 242/2019, detta anche Cappato/Dj Fabo), Antonio aveva chiesto all'azienda sanitaria di attivare sia la procedura per il fine vita, sia quella della sedazione profonda. La Asur Marche, però, non aveva nemmeno verificato lo stato di insopportabile sofferenza fisica, di malattia irreversibile, di dipendenza dalle macchine per sopravvivere e la capacità di discernimento necessarie ad ottenere un'approvazione, respingendo semplicemente la domanda.

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La reazione di Antonio e della Luca Coscioni si è svolta su più fronti: diffide all'Asur, al ministero della Giustizia, a quello della Sanità (per conoscenza recapitate anche a Palazzo Chigi) e querela per omissione di atti d'ufficio depositata in Procura a Fermo, fino ad ottenere nel gennaio di quest' anno una sentenza favorevole dal tribunale di questa città.

 

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Il copione è simile a quello visto nel caso di Federico Carboni. Conosciuto da vivo con il nome di Mario, il 16 giugno scorso, Carboni è stato il primo italiano a morire attraverso il suicidio assistito, dopo una battaglia condotta anche in quel caso contro la sanità marchigiana, perché era di Ancona. Prima che le istituzioni regionali rispettassero la sua sentenza, Antonio ha dovuto mandare un'altra diffida e subire un ricovero in rianimazione per Covid, che ha reso ancora più difficile una situazione già scomoda. L'11 agosto, tuttavia, ha visto riconosciuta la proposta per morire dignitosamente che ha elaborato insieme al dottor Mario Riccio, lo stesso che ha assistito il precursore in tema di fine vita, Piergiorgio Welby: 20 mg/kg di sonnifero, circondato dall'affetto dei suoi cari, quando vorrà.

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