L’ISLAM CHE ODIA L’ISIS - LA RICCA DUBAI, CON LA TESTA NEL CORANO E IL CUORE NEL PORTAFOGLIO, INIZIA A TREMARE PER LA RIVOLUZIONE PROLETARIA DEL CALIFFO: “DOBBIAMO FERMARLI: VOGLIONO CONQUISTARE ANCHE I NOSTRI FIGLI”

Articolo di Thomas L.Friedman per “The New York Times” pubblicato da “la Repubblica” (Traduzione Emilia Benghi)

il mondo secondo l'isis  2il mondo secondo l'isis 2

 

L’attentato suicida dell’11 settembre condotto da 19 giovani, in maggioranza sauditi, in nome dell’Islam, accese nel mondo arabo sunnita un dibattito sulla religione e su come le società di quel mondo potessero aver prodotto dei fanatici suicidi del genere. Ma il dibattito fu ben presto soffocato dal rifiuto della realtà e dalla fallimentare invasione americana dell’Iraq.

 

Stando a quello che si sente dire qui a Dubai, uno dei grandi crocevia del mondo arabomusulmano, è chiaro che l’ascesa del Califfato dello Stato Islamico in Iraq e Siria e il trattamento barbaro da esso riservato agli oppositori — sunniti o sciiti moderati, cristiani, altre minoranze, e le donne — ha riacceso l’importante dibattito sull’identità.

 

isis in siriaisis in siria

Perché? Il motivo è che lo Stato Islamico, o Is, è un fenomeno interno; non ha l’obiettivo di colpire nemici lontani, ma di diffondersi e imporre senza mezzi termini la sua visione della società islamica; sta attirando giovani musulmani da ogni dove, Occidente incluso; ideologicamente si presenta come una mutazione violenta dell’Islam wahabita puritano, non pluralista, che è la tendenza predominante in Arabia Saudita, trasmesso attraverso Twitter e Facebook — i genitori qui lo sanno bene — direttamente ai ragazzi.

Per questo il fenomeno impone un inevitabile e doloroso guardarsi allo specchio.

 

«Non possiamo più evitare lo scontro — siamo su un treno in corsa verso un precipizio», dice Abdullah Hamidaddin, consulente del Centro di Studi Al-Mesbar, con sede a Dubai, che segue i movimenti islamisti e opera per promuovere una cultura maggiormente pluralista.

nazisis  nazisis

 

Ciò che più colpisce, però è che Al-Mesbar non considera l’Is un semplice problema religioso, da contrastare con una narrazione islamica più inclusiva, ma lo ritiene il prodotto di tutti i problemi che all’improvviso affliggono la regione: sottosviluppo, settarismo, istruzione arretrata, repressione sessuale, assenza di rispetto per le donne, mancanza di pluralismo in ogni riflessione intellettuale. Rasha al-Aqeedi è una redattrice irachena di Mosul che lavora per Al-Mesbar.

 

È rimasta in contatto con varie persone a Mosul da quando l’Is ha conquistato la città. Mi ha raccontato che la popolazione sunnita locale «ora si è ripresa dallo shock. Prima dicevano “l’Islam è perfetto e il resto del mondo ci dà la caccia e ci odia”. Ora la gente inizia a leggere i libri su cui si basa l’Is. Certi a Mosul stanno prendendo i seria considerazione l’ipotesi di diventare atei».

 

Ha poi aggiunto: «Quando un ragazzo che ha fatto solo le elementari si arruola nell’Is e viene a dire a un docente universitario cosa deve insegnare e gli impone di indossare una veste lunga, si può immaginare lo shock. Sento gente dire: “Non vado in moschea a pregare finché ci sono loro. Non rappresentano l’Islam. Rappresentano il vecchio Islam che non è mai cambiato”».

 

abu bakr al baghdadiabu bakr al baghdadi

Accanto ai fanatici religiosi, nell’Is si contano anche molti avventurieri e giovani impoveriti, attratti semplicemente dal fatto di poter spadroneggiare sugli altri. Molti dei sunniti che sono corsi ad arruolarsi nell’Is a Mosul provenivano dalla vicina città di Tel Afar, molto più povera, i cui cittadini sono sempre stati snobbati dai sunniti di Mosul.

 

«Li vedi questi ragazzi? Fumano. Bevono. Sono tatuati», dice Aqeedi. Uno di loro che si era arruolato nell’Is si è avvicinato a una mia conoscente, che già si vela il capo con l’hijab — ma non il viso, e le ha detto di indossare il burqa e di coprirsi completamente. “Se non lo fai, ti faccio picchiare da una delle donne dei campi che la gente come te ha sempre deriso”».

 

È una questione di potere, l’Islam radicale è solo la copertura. «Chi è attratto dalla religione moderata è già di per se moderato», sostiene Hamidaddin. «Quelli che si danno alle ideologie religiose estremiste e radicali lo fanno perché il contesto socioeconomico distorto in cui vivono provoca un’attrazione verso le soluzioni olistiche e drastiche» (È uno dei motivi per cui i musulmani pakistani tendono ad essere più radicali dei musulmani indiani).

 

dubaidubai

«Si, la riforma religiosa sarebbe d’aiuto», aggiunge Hamidaddin. Ma «è il totale deteriorarsi della situazione economica, politica e di sicurezza in Iraq e in Siria che ha richiesto una interpretazione del mondo netta, senza sfumature. Servono politiche governative adatte a contrastarla».

 

Maqsoud Kruse dirige il Centro Internazionale Hedayah per contrastare l’estremismo violento, ospitato dagli Emirati Arabi Uniti. È giunto alla conclusione che per sconfiggere l’Is «sarà necessario investire a lungo termine per istruire i cittadini arabi e dare loro gli strumenti per competere e prosperare nella modernità. Solo la gente di qui può farlo, perché la sfida riguarda il governo, la scuola e il ruolo genitoriale.

turisti sotto vetro a dubaituristi sotto vetro a dubai

 

«Quel terrorista suicida può decidere di non premere il bottone e il nostro compito è capire come aiutarlo a decidere di desistere, renderlo o renderla più consapevole, cosciente e razionale, invece di farsi trascinare», dice Kruse. «Tutto sta nel preparare e sostenere i nostri giovani perché non abbiano a dire “ho la verità in tasca”». Bisogna che abbiano «la capacità di smontare le idee ed essere immuni e reattivi» all’estremismo. Sta tutto nel «portarli a fermarsi a riflettere» — prima di agire.

 

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