
ALL YOU NEED IS POD - SEMPRE PIÙ AZIENDE, EDITORI E GRANDI GRUPPI STANNO ENTRANDO NEL MERCATO DEI PODCAST – IN ITALIA, IL MERCATO VALE ANCORA POCO (CIRCA 20 MILIONI L’ANNO), MA IL BASSO COSTO DI PRODUZIONE E L’ALTA VISIBILITÀ GENERATA RENDONO IL FORMAT APPETIBILE COME STRUMENTO DI COMUNICAZIONE E FIDELIZZAZIONE DELLA CLIENTELA - LA PIATTAFORMA PIÙ IMPORTANTE DI DISTRIBUZIONE DÈ SPOTIFY, CON CIRCA IL 70% DEI PODCAST, SEGUITA DA APPLE COL 13% E DA AMAZON COL 3%...
1 - ORMAI TUTTI PAZZI PER I PODCAST
Claudio Plazzotta per "Italia Oggi"
Ci sono le grandi piattaforme come Spotify, Audible, Spreaker, Apple Music, Amazon Music (che anche se ha Audible fa comunque dei podcast pure per conto suo), Storytel o la nuova RaiPlay Sound che commissionano in Italia alcuni podcast, di solito a tema crime, Gen Z o sport, e li pagano mediamente 20 mila euro. Spotify, ad esempio, ne commissiona poche decine all'anno, e versa ai produttori un range tra i 10 e i 50 mila euro a podcast.
Poi ci sono i grandi editori, che hanno ricche collane di podcast, molti gratuiti, e provano a trasformare questa attività in un business collaterale: ad esempio Gedi con la neonata One Podcast, o il Corriere Daily podcast, le radio di Mediaset con la evoluzione di United music che sarà presentata al Festiva di Sanremo.
Ci sono anche le aziende, col branded content, o grandi gruppi (in genere bancari) che poi aprono vere e proprie piattaforme di distribuzione, tipo Intesa Sanpaolo on air, tra le più attive nella realizzazione di podcast come strumento di comunicazione e fidelizzazione della clientela. E ovviamente, sulla Penisola, stanno crescendo tante società e brand specializzati nella produzione di podcast, attività che è il loro vero core business.
Nomi come Dopcast, Chora, Kidney Bingos, Will Media, Storie libere, Piano P, Sirene Records, Voisland, per citarne solo alcuni. Ma, pur in presenza di ascolti in crescita (nel 2021 quasi 14 milioni di italiani hanno dichiarato di aver ascoltato un podcast) e di un gran battage mediatico su questa nuova forma di comunicazione (11 mila nuovi titoli all'anno, ormai se non fai un podcast non sei nessuno), va comunque sottolineato che il mercato tricolore dei podcast, al momento, vale ancora molto poco: 20 milioni di euro all'anno, stando larghi.
Per ora non è un business in sé, poiché i numeri sono molto piccoli: le società di produzione fatturano, in genere, solo qualche centinaio di migliaia di euro all'anno. E tante aziende si avvicinano al mezzo di comunicazione podcast soprattutto perché costa poco: se per un video da quattro minuti è necessario sborsare, poniamo, 100 euro, infatti, per una intera una serie di otto puntate da 25 minuti in podcast ne bastano 16.
Questo è il rapporto, un sesto. E il podcast consente di conoscere esattamente chi lo scarica, chi ascolta le puntate, quanto le ascolta, con un profilo perfetto del target. In generale, secondo gli esperti e gli imprenditori del settore, non pare esserci grande futuro per la distribuzione dei podcast a pagamento: la gente, ormai, tende a considerare questa forma di comunicazione liberamente disponibile e gratuita.
Funzioneranno molto di più i podcast sponsorizzati, usufruibili gratis ma realizzati con criteri giornalistici di qualità e non smaccatamente pubblicitari. Sul mercato italiano la piattaforma più importante di distribuzione dei podcast è Spotify, che intercetta circa il 70% dei podcast, seguita da Apple col 13% e da Amazon col 3%.
2 - PODCAST, LA SFIDA È A RADIO E TV
Claudio Plazzotta per "Italia Oggi"
Come spiegato nel precedente servizio, il mercato dei podcast in Italia è ancora piccolo (20 milioni di euro di ricavi), con operatori di dimensioni modeste (le società di produzione fatturano quasi sempre meno di un milione e di euro) che perlopiù si appoggiano a Spotify, e aziende che però sono sempre maggiormente interessate al branded content in audio.
Prima cosa da chiarire: per il momento Spotify accoglie gratuitamente tutti i podcast sulla propria piattaforma, non li remunera (a differenza di quanto fa con la musica in streaming) ma lascia agli editori del podcast la possibilità di raccogliere la pubblicità in pre-roll, mid-roll e post-roll. Nel novembre del 2020, tuttavia, Spotify ha acquisito la società Megaphone, che darà agli editori ancora più possibilità di monetizzare gli ascolti dei loro podcast grazie al programmatic e ad altre evoluzioni del web advertising.
Seconda cosa da sottolineare è che piattaforme alla Spotify puntano tutto sul modello di business in abbonamento. Non solo un abbonamento generico a tutto quanto è disponibile in streaming su Spotify, ma pure a singoli abbonamenti, poco costosi, per singoli contenuti, tipo un programma quotidiano in podcast.
E questo, in tendenza, potrebbe portare a ingaggiare in esclusiva grandi personaggi (già sta avvenendo negli Stati Uniti, con Spotify che ha firmato un contratto di esclusiva da 100 milioni di dollari con l'intrattenitore Joe Rogan), strappandoli dalle radio o dalla tv e senza più condividerli con nessuno (un po' come Netflix che a un certo punto ha deciso che i suoi prodotti originali sarebbero stati distribuiti solo su Netflix). Se le piattaforme di podcast decidessero di passare all'attacco e di conquistare il mercato a botte di esclusive, sarebbero guai per tutti.
giuseppe cruciani de la zanzara
In Italia, per esempio, alcuni mesi fa c'è stata una approfondita analisi sulla opportunità, da parte di Spotify, di ingaggiare Giuseppe Cruciani in esclusiva, strappandolo a Radio 24 e trasferendo tutto il circo de La Zanzara sulla piattaforma in streaming. Poi, però, non se ne è fatto nulla: in primis per i problemi tecnici di Spotify, che non è ancora in grado di gestire una diretta audio e video (e senza l'interazione col pubblico il programma di Cruciani perde di senso), e poi anche perché, dal punto di vista pubblicitario, le prospettive di raccolta non erano sufficienti.
«Noi da novembre del 2021 abbiamo messo sulle piattaforme digitali il podcast dello Zoo di 105, e ci siamo resi conto di quanto queste operazioni allarghino il pubblico. Ma resto dubbioso», dice Paolo Salvaderi, amministratore delegato di Radio Mediaset (105, Virgin, R101, Rmc Subasio), «sul fatto che le grandi piattaforme possano comprare grandi programmi o ingaggiare grandi personaggi.
Il podcast dello Zoo, secondo le proiezioni, fa 10 milioni di contatti all'anno sulle piattaforme. Ma lo Zoo ne fa 1,4 milioni al giorno, live, in radio. Inoltre per i personaggi, siano essi Cruciani o altri, andare solo in piattaforma significa sparire dai radar, non fare più serate, ospitate, non fare più i tour. Vedremo, ma mi sembra presto». E allora? Intanto gli editori che hanno nella parte audio il loro core business cercano di fare ordine.
Sta per accadere in Radio Mediaset, con la nuova release della app United music in cui saranno raccolti anche tutti i podcast. Ed è appena successo a Gedi (Repubblica, Stampa, Radio Deejay ecc), col lancio di One podcast, piattaforma sotto la direzione editoriale di Linus che riunirà tutti i podcast del gruppo Gedi, quelli di iHeartMedia e che produrrà pure podcast originali.
«Al momento», spiegano gli esperti di Gedi, «i podcast li ascolti quasi esclusivamente sui canali degli editori, sui loro siti web, sulle loro app. E solo in parte minima sulle piattaforme. Un programma di Deejay, in podcast, fa il 90% degli ascolti sulle nostre app e sul sito, e solo 10% sulle piattaforme: diciamo il 6% su Spotify, il 2,5% su Apple, e il resto su altre piattaforme come Amazon, Google o Samsung. A breve, per i podcast Gedi sulle piattaforme tipo Spotify partiranno i pre-roll a cura di Manzoni».