stefano e riccardo faggin

“PROVO VERGOGNA COME GENITORE” – STEFANO FAGGIN, IL PADRE DI RICCARDO, IL 26ENNE MORTO A PADOVA (PROBABILMENTE SUICIDA) IN UN INCIDENTE IL GIORNO PRIMA DELLA SUA DISCUSSIONE DI LAUREA, RACCONTA GLI ULTIMI MESI TORMENTATI DEL FIGLIO: “È ENTRATO IN CRISI CON IL LOCKDOWN, GLI MANCAVA UN ESAME, ERA COME BLOCCATO POI CI HA DETTO CHE L’AVEVA SUPERATO – LA SUA TESI? NON HA MAI VOLUTO FARMELA LEGGERE, MI DICEVA CHE DOVEVA ESSERE UNA SORPRESA. A QUESTO PUNTO NON SO NEPPURE SE QUELLA TESI ESISTA DAVVERO...”

Andrea Priante per www.corriere.it

RICCARDO FAGGIN

 

«Era tutto pronto, per la festa di laurea di Riccardo. Il vestito nuovo, le bomboniere, il ristorante, i fiocchi rossi in giardino. E il regalo».

 

Cosa gli avevate regalato?

«I soldi, per un viaggio in Giappone che non farà mai».

 

Stefano Faggin è il padre di Riccardo, lo studente padovano di 26 anni che nella notte tra lunedì e martedì si è schiantato con l’auto contro un albero, a un chilometro da casa. La mattina successiva avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea in Scienze infermieristiche all’Università di Padova. Almeno così aveva detto a tutti, familiari compresi.

 

In realtà era una bugia che trascinava da mesi e che presto sarebbe stata smascherata. Questione di ore: era inevitabile. Per questo, l’altra sera ha detto a mamma e papà che sarebbe andato al bar a Montegrotto con gli amici «per allentare la tensione». E invece, ha scelto di non tornare più. «Mio figlio era un bravo ragazzo, educato e molto sensibile.

 

Stefano Faggin

Si impegnava nel volontariato, aveva fatto l’animatore dei bimbi in parrocchia e aiutava a organizzare la sagra del paese. Quando sapeva di poter essere utile a qualcuno gli si illuminavano gli occhi: per questo aveva scelto di fare l’infermiere. Gli piaceva la montagna e quindi il suo sogno era di diventare un paramedico del soccorso alpino».

 

Aveva preso da suo padre: lei è volontario della Croce Verde…

«Sì, e mi è capitato di intervenire sugli incidenti stradali, ma finora mi sono sempre trovato dall’altra parte della barricata. Mai avrei pensato di vivere una tragedia del genere sulla mia pelle.

 

Comunque ho un’azienda di informatica e all’inizio speravo che un giorno l’avrei lasciata a Riccardo e a suo fratello, ma entrambi hanno scelto altre strade e sia io che mia moglie li abbiamo assecondati: i figli non puoi tenerli sotto una campana di vetro, vanno lasciati liberi di costruirsi il loro futuro».

 

Cos’è accaduto l’altra notte?

RICCARDO FAGGIN

«Ancora non lo sappiamo con precisione. Intorno alle 22 ci ha detto che sarebbe andato con gli amici in un locale di Montegrotto per distrarsi, perché era un po’ teso per la laurea dell’indomani. In realtà abbiamo scoperto che il bar a quell’ora era già chiuso da un pezzo. Era una piccola bugia».

 

Non era la prima.

«Riccardo è entrato in crisi con il lockdown, che ha coinciso con la decisione di cambiare cerchia di amici. Gli mancava un esame: Filosofia del Nursering. È stato bocciato una prima volta, poi una seconda… Era come bloccato. Poi a primavera ci ha detto che era riuscito a superarlo e che finalmente poteva concentrarsi sulla tesi».

 

Quale argomento aveva scelto?

«Un’analisi sulla percezione del servizio sanitario da parte dei pazienti prima e dopo il Covid. Non ha mai voluto farmela leggere, mi diceva che doveva essere una sorpresa. A questo punto non so neppure se quella tesi esista davvero. Non sono uno psicologo ma credo sia iniziato tutto così: una bugia innocente per gestire un momento di debolezza, seguita da un’altra, e poi un’altra… Fino a quando tornare indietro voleva dire rinnegare se stesso».

 

casa riccardo faggin 2

Non ne aveva mai parlato a nessuno?

«Non a noi, neppure a suo fratello. E a quanto sappiamo anche gli amici erano convinti fosse a un passo dalla laurea. Sia chiaro: non sono arrabbiato con mio figlio, non gliene faccio una colpa per non aver saputo gestire le sue debolezze. La responsabilità, semmai, me la sento addosso. Mi rimprovero di non aver saputo leggere i segnali, di non avergli insegnato a essere più forte, almeno ad avere quella forza che serve per chiedere aiuto.

 

Provo vergogna come genitore, e non faccio che ripetermi che vorrei essere un po’ più stupido per non ritrovarmi a riflettere sui miei sbagli, a ragionare sul fatto che forse avrei potuto incidere di più sulle sue scelte.

 

incidente riccardo faggin 4

Perché Riccardo si è sentito in trappola e io, in questi 26 anni, non sono riuscito a trasmettergli la consapevolezza che, in realtà, non era solo, che mamma e papà potevano comprenderlo e sostenerlo nell’affrontare le difficoltà che la vita gli avrebbe messo davanti, fallimenti compresi».

 

Suo figlio era un adulto fragile, l’ha detto anche lei: non poteva tenerlo sotto una campana di vetro.

«È vero, però voglio pensare che la sua morte possa insegnare comunque qualcosa ad altri genitori: con l’impegno di tutti si può proteggere anche chi è fragile, evitando di caricare i nostri figli, anche inconsapevolmente, delle nostre aspettative e ambizioni. Perché a volte, la paura di deluderci può diventare un peso insopportabile».

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