
LA TRISTE STORIA HASSAN, L'EGIZIANO CHE VIVE DA DUE ANNI ALL'OSPEDALE SAN CAMILLO DI ROMA - DOPO IL SUO SBARCO IN ITALIA, SENZA DOCUMENTI, SI SENTE MALE E GLI VIENE DIAGNOSTICATO UN CANCRO ALLE OSSA: IL POVERETTO NON HA UN CODICE FISCALE, MA VIENE COMUNQUE CURATO DAI MEDICI, CHE LO RICOVERANO IN UN REPARTO DI LUNGODEGENZA - ORA L'AVVOCATO DI HASSAN HA PRESENTATO UN'ISTANZA PRESSO IL CONSOLATO EGIZIANO A ROMA PER FARGLI OTTENERE I DOCUMENTI E TORNARE NEL SUO PAESE, PER FARGLI CONOSCERE I SUOI NIPOTINI PRIMA DI MORIRE...
Estratto dell'articolo di Clarida Salvatori per il "Corriere della Sera"
Per il mondo non esiste. Eppure Hassan, uomo privo di identità, da due anni vive in un reparto dell’ospedale San Camillo-Forlanini di Roma. Dove è stato curato, ma soprattutto dove non è mai stato abbandonato, anche quando tutto sembrava impossibile, persino prescrivergli farmaci salvavita.
Questa è la sua storia: Hassan, egiziano, arriva in Italia su un barcone, sbarca a Lampedusa e dopo una breve tappa nelle Marche approda a Roma. In cerca di fortuna, di lavoro, di un guadagno onesto per sostenere la sua famiglia rimasta a vivere in un piccolissimo e poverissimo centro rurale sconosciuto nel cuore dell’Egitto. Ma la sua salute si incrina ed è costretto a ricorrere alle cure mediche dell’ospedale di Anzio, sul litorale laziale. Qui le sue condizioni appaiono subito gravi, viene trasferito al San Camillo dove riceve una diagnosi impietosa: cancro alle ossa.
Un caso complesso, anche perché Hassan non ha con sé documenti. Non ne ha mai avuti. Non ha un atto di nascita, forse non è mai stato neanche registrato nel suo Paese. E per di più ha lo stesso identico nome di suo fratello, che però è morto ed è stato sepolto lì dove è venuto al mondo. Quindi per l’Egitto come per l’Italia, anche Hassan è ufficialmente morto. Non esiste. [...]
L’ospedale non può neanche prescrivergli i farmaci di cui avrebbe bisogno, poiché per farlo occorrono necessariamente codice fiscale e residenza del paziente. Così come non può procedere con le sue dimissioni dal reparto di Ematologia. [...] Chi può prendersi cura e farsi carico di un malato fragile e con difficoltà di deambulazione? E per di più senza un documento di identità? Nessuno. Non il Comune. Non la Regione. Non l’ambasciata d’Egitto. Non strutture socio-sanitarie.
Ma di certo non può essere lasciato in quelle condizioni a vivere per strada. Quindi l’ospedale fa l’unica cosa che può fare, anche a costo di gravare sulle casse sanitarie, perché è l’unica soluzione: lo accudisce nel suo percorso terapeutico, prima in Ematologia poi nell’Ugi (Unità a gestione infermieristica) dove solitamente vengono seguiti i casi a bassa intensità di cura e dove ancora adesso Hassan vive, muovendo i suoi primi passi con il carrellino [...]
Eppure resta ancora in piedi la questione dei documenti e della sua «non» esistenza. «Stiamo provando a portare avanti un’istanza con il consolato — ha raccontato Sami Salem, avvocato e Imam della moschea della Magliana a Roma — e abbiamo iniziato una procedura perché gli venga riconosciuta la sua identità tramite le testimonianze mia, della moglie e dei figli. Perché Hassan possa di fatto “rinascere”».
E lui, Hassan, non vede l’ora di poter riavere il proprio nome e la propria vita: «Appena avrò il mio documento e appena la mia salute me lo permetterà tornerò in Egitto, per vivere quello che mi resta da vivere con i miei cari. Lì ho tre nipotini. Voglio che conoscano il loro nonno. E voglio morire nel mio Paese».