IL TRENO DEI DESIDERI - SUL BERGAMO-MILANO SI FUMANO CANNE NEL PRIMO VAGONE E SI PIPPA COCA NELL’ULTIMO

Beppe Fumagalli per il "Corriere della Sera - Edizione Bergamo"

Bergamo-Milano. Il viaggio allucinante è all'ordine del giorno. Il viaggio allucinogeno no. Mancava. Ma non poteva mancare in eterno. Ieri la lacuna si è colmata. Il treno dello sballo è pronto al binario due. Parte alle 11.02 e arriva a Lambrate alle 11.42. Quaranta minuti stupefacenti. Conclusi nella stazione milanese, nella penombra di un sottopasso, davanti a uno scuro gigante buono. Indossa la tuta nera di una società di sicurezza ingaggiata da Trenord. Si chiama Oscar e viene dal Senegal.

In italiano si esprime con qualche incertezza. Ma quello che dice ha la forza lapidaria di un epitaffio: «Guardate che voi italiani», dice, «siete messi male. Non potete fare finta di niente. Dovete fare qualcosa, perché qui va tutto in rovina». Oscar non vuole foto. Non vuole filmati. È ancora scosso. È appena sceso da un treno chiamato deleterio. Con campionario completo di droghe, dalla leggera alla pesante.

E con un contingente di drogati, dallo spacciatore al consumatore, entrati simultaneamente in azione con reparti di preparatori, assaggiatori, sniffatori e fumatori. Sono gruppi diversi, distribuiti in diverse carrozze. Ma è come se si fossero messi d'accordo, per saltare tutti sullo stesso convoglio e fare tutto alla luce del sole. Se ne fregano di centinaia di turisti, pendolari, studenti e lavoratori che viaggiano accanto a loro. Fumano, sniffano e si comportano come se il treno fosse una zona franca.

Uno spazio senza legge in cui tutto è permesso. Dove, per il momento, sono ancora permessi il dissenso, il racconto e la denuncia di chi non ci sta.

Ultima carrozza. Prendo posto sui sedili al passaggio tra un vagone e l'altro. Prima della partenza un gruppo di quattro ragazzi continua a muoversi. Salgono e scendono, mi passano davanti un paio di volte, mi squadrano, se ne vanno, tornano e vanno a piazzarsi a pochi metri, di fronte a me sui primi sedili del piano alto. Li raggiunge un altro ragazzo. Ha i pantaloni a metà coscia. Si ferma in piedi davanti a loro. Vedo girare biglietti da 20 euro. Il ragazzo se ne va. Ricevo una telefonata e mentre ascolto alzo lo sguardo.

Succedono cose. Uno del gruppo ha nella mano sinistra uno smartphone e lo regge come fosse un vassoio. Nella destra stringe tra indice e pollice qualcosa di rigido e sottile e lo picchia con delicatezza sullo schermo, come se stesse sminuzzando qualcosa. Poi cambia gesto ed è come se volesse dividere quel qualcosa in tre parti. Da dove sono non posso vedere cosa c'è sul cellulare. Posso immaginarlo quando uno dei quattro si sporge attraverso il corridoio, tenendo una cannuccia sul naso, si china sul telefonino e si tira indietro con uno scatto, scomparendo dietro un sedile. Cocaina, eroina, chetamina?

Altro giro. Il telefonino passa di mano. Nuova sniffata. Non abbasso lo sguardo. Uno dei quattro, quello che aveva preparato la droga, se ne accorge. Ci fissiamo per qualche istante. Sul pallore cadaverico del suo volto risaltano le macchie violacee di labbra e occhiaie. Si alza, mi gira le spalle e mi copre la visuale. Anche lui pantaloni al ginocchio. Vita bassa in tutti i sensi. Rimane così per qualche decina di secondi. Riprende il cellulare, se lo infila nel giubbotto, scende, mi passa davanti e sparisce nell'altro vagone. Gli altri non mi staccano gli occhi di dosso.

A Pioltello sento urlare. Un gruppo di ragazzi è sceso dal treno e imprecando si avvia verso l'uscita. Non capisco. Presto capirò. Il treno riparte. Uno studente con zainetto in spalla, scende e si piazza davanti alla porta. «Che schifo», dice. Scuote la testa e ripete «che schifo».

A Lambrate incrocio il capotreno. «Complimenti», gli dico, «in ultima carrozza si va di cocaina». Si blocca, mi fissa, allarga le braccia e sbotta in un «No!». La sua non è una negazione. «Ma no», grida, «ancora? Ma qui è la fine. Ma lo sa che in una carrozza di testa saranno stati una quindicina, tutti senza biglietto e si sono messi a fumare canne, come niente fosse. Fossi stato solo non so come andava a finire. Meno male che c'era un uomo della sicurezza. È grande e grosso, si è messo di mezzo lui e a Pioltello li ha fatti scendere tutti. Ma dopo una cosa del genere chi va a immaginare che in fondo al treno gira la coca? Qui c'è da aver paura».

L'uomo della sicurezza ha già imboccato la scala del sottopassaggio, probabile che a Lambrate debba salire su un altro treno. Lo blocco. Si chiama Oscar e viene da Dakar. È un omone, ma quando parla, il più forte dei suoi muscoli è il cuore: «Non abbiamo chiamato la Polfer», dice, con la voce ancora scossa dall'emozione, «perché i ragazzi non hanno opposto resistenza. Hanno capito che era meglio scendere. Scene così ne vedo tutti i giorni. Non so voi, ma io sono preoccupato. Una cosa è certa. Avanti così non si va».

 

 

1 treno 01TRENIcocaina DRUGS LIVE PIPPATA DI COCAINA SU UNA CHIAPPA jpegmarijuana cannabis

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