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VEDI NAPOLI E POI MUORI – LA CAPPELLA SANSEVERO È IL MUSEO PIÙ VISITATO DI NAPOLI PER IL SUO FASCINO SCONFINATO E IL MISTERO CHE SI CELA DIETRO OGNI OPERA: UN MIX PERFETTO CHE CREA UNA LEGGENDA, IN CUI I SIMBOLI ESOTERICI SI FONDONO CON QUELLI RELIGIOSI – ECCO COSA SI NASCONDE DIETRO LE SETTE OPERE CHE LASCIANO I VISITATORI A BOCCA APERTA: DAL CRISTO VELATO ALLA STATUA DEL DISINGANNO, IMPOSSIBILE DA CREDERE CHE SIA TUTTA IN MARMO… (VIDEO)

 

Barbara Fiorillo per "www.napolitoday.it"

 

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La Cappella Sansevero, detta anche chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella, è tra i musei più affascinanti e misteriosi di Napoli. Nascosta tra i vicoli del centro storico della città, a due passi dalla Piazza San Domenico Maggiore, è un luogo in cui i simboli esoterici si fondono con quelli religiosi.

 

Una leggenda vuole che la chiesa, oggi sconsacrata, sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside. Un'altra narra che un uomo arrestato ingiustamente, mentre veniva condotto in carcere, costeggiando il muro della proprietà dei Sansevero, si votò alla Santa Vergine.

 

Improvvisamente, parte del muro crollò, rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in cima all'altare maggiore) proprio della Vergine invocata, una pietà che darà poi il nome alla chiesa. La devozione dell'arrestato non fu riposta invano: poco tempo dopo, l’uomo venne infatti scarcerato, e, memore del miracolo, fece restaurare la Pietà, disponendo che al suo cospetto ardesse per sempre una lampada in argento. Il luogo sacro divenne presto meta di pellegrinaggio popolare e oggetto di invocazioni.

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Anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco di Sangro, colpito da una grave malattia si votò a questa Madonna e in seguito avendo recuperato la salute fece erigere la piccola cappella di Santa Maria della Pietà, comunemente detta la Pietatella.

 

Secondo studi recenti, la vera origine della cappella sarebbe invece da far risalire all'omicidio, compiuto nella notte tra il 16 ed il 17 ottobre 1590 da Carlo Gesualdo da Venosa, in cui morirono Maria D'Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e l'amante di lei Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina, moglie in seconde nozze di Giovan Francesco di Sangro. In seguito a questo lutto, la madre di Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella, pensandola come voto alla Madonna per la salvezza eterna dell'anima del figlio.

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Qualunque sia stata la sua origine, è accertato che i lavori per la costruzione della chiesetta iniziarono nel 1593. Vent’anni più tardi Alessandro di Sangro (figlio di Giovan Francesco), decise di ampliare la preesistente, piccola costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l'ingresso principale dell’edificio.

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L'assetto del tempio gentilizio venne poi stavolta quasi integralmente da Raimondo di Sangro nel Settecento. Il settimo principe di Sansevero fu il primo grande maestro della massoneria napoletana. Un illuminato mecenate che regalò alla Cappella Sansevero capolavori come il Cristo Velato, il Disinganno e la Pudicizia Velata. Agli occhi del “popolino”, però appariva come una figura misteriosa, uno stregone senza pietà che faceva rapire poveri sventurati per farne cavie di diabolici esperimenti realizzati in segreti laboratori fatti costruire appositamente nei sotterranei del suo palazzo.

 

La storia, invece, ce lo restituisce come un grande intellettuale, un alchimista illuminato che dedicò la sua vita alle scienze e alle arti, ottenendo risultati definiti anche dai suoi contemporanei “prodigiosi”. La sua vera ossessione, però, era meravigliare i posteri, ed entrare per sempre nella storia divenendo immortale. Con questo intento fece della Cappella Sansevero uno dei più stupefacenti capolavori di arte ermetica ed esoterica al mondo.

 

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Una sorta di tempio iniziatico in cui Raimondo di Sangro riuscì a trasfondere la sua geniale e poliedrica personalità. Nella Cappella tutto acquista senso e significato solo se si comprendono i simboli e i misteri celati nei marmi e nei dipinti che adornano il Tempio. Ecco una guida per scoprire i misteri nascosti dietro le opere più importanti e famose del museo.

 

Il Cristo Velato

Collocato al centro della Cappella, il Cristo Velato è una delle opere più belle e suggestive del mondo. La scultura doveva essere realizzata da Antonio Corradini che però morì nel 1752 dopo aver eseguito solo una bozza in terracotta del Cristo, oggi conservata al Museo di San Martino. Cosi', Raimondo di Sangro chiese al giovane artista napoletano Giuseppe Sanmartino di realizzare “una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua”.

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Ciò che incuriosisce di più il visitatore che osserva questa opera è il velo di marmo che ricopre il corpo del Cristo morto, disteso su dei cuscini. E’ talmente sottile e trasparente che sembra sia fatto di tessuto e non di marmo. Questa particolarità ha dato origine a diverse leggende sull’opera. Molti, infatti, ritennero che la trasparenza del velo fosse da attribuire ai poteri esoterici del Principe Raimondo di Sangro, che sembrava essere in grado di solidificare, con un liquido di sua invenzione, tessuti e persino organi del corpo.

 

Una credenza che ancora oggi stimola la fantasia di visitatori e turisti che increduli osservano la statua e il velo che la ricopre. In realtà è tutto frutto dell’abilità scultorea di Giuseppe Sanmartino, così come testimoniato da alcune lettere dello stesso di Sangro, in cui descrive il velo come “realizzato dallo stesso blocco della statua”.

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Le macchine anatomiche

Attraverso una piccola scala in ferro si accede alla cavea sotterranea. Qui sono visibili le famose Macchine anatomiche contenute in due grosse bacheche. Si tratta degli scheletri pietrificati di un uomo e di una donna realizzati attorno al 1763-64 da un medico siciliano, Giuseppe Salerno, sotto la direzione di Raimondo di Sangro. Il sistema arterioso e venoso che li avvolge è perfettamente conservato a due secoli di distanza. Non si sa in che modo si sia potuto ottenere questo risultato così sorprendente. Secondo alcuni il medico avrebbe iniettato nei due cadaveri una sostanza creata dal Principe, probabilmente a base di mercurio, che avrebbe “metallizzato” i vasi sanguigni.

 

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Secondo altri si tratterebbe di una ricostruzione eseguita con vari materiali, tra cui cera d’api e coloranti. Una tesi, quest’ultima, che comunque non intaccherebbe l’eccezionalità delle due Macchine. La riproduzione del sistema artero-venoso, infatti, è stupefacente fin nei vasi sanguigni più sottili, sebbene le conoscenze di anatomia dell’epoca non fossero così avanzate. Questi inquietanti oggetti, inoltre, hanno per secoli alimentato la cosiddetta “leggenda nera” relativa al Principe: secondo la credenza popolare, riportata anche da Benedetto Croce, Raimondo di Sangro “fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene”.

 

La Pudicizia velata

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Nella Cappella Sansevero non esiste solo il Cristo Velato, ma tante altre opere realizzate dai migliori artisti dell’epoca. Le statue e gli affreschi che adornano la Cappella sono disposti secondo la struttura del tempio della massoneria e ricordano tutti personaggi della famiglia di Sangro. Il Principe ideò alcune delle opere insieme all’esperto scultore Corradini, anche lui appartenente alla massoneria.

 

Tra queste c’è la bellissima “Pudicizia velata”, una statua che il principe Sansevero volle dedicare alla madre, Cecilia Gaetani d’Aragona, morta a soli 23 anni, quando il Principe ancora non aveva compiuto un anno. La scultura raffigura una donna totalmente avvolta da un velo che si regge ad una lapide spezzata (simbolo della giovane età della madre nel momento della sua morte). Il Principe dedica alla mamma mai conosciuta la virtù della pudicizia in contrasto allo stile di vita dissennato del padre (raffigurato dal Disinganno). La donna, inoltre, è un chiaro riferimento alla velata Iside, Dea massonica.

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La statua del Disinganno

Realizzata da Francesco Queirolo, la statua del Disinganno raffigura il padre del Principe di Sansevero, Antonio di Sangro. Il genitore, rimasto vedovo, abbandonò il piccolo Raimondo affidandolo a suo nonno. Dopo un’esistenza dissoluta e depravata, dedicata ai piaceri e ai viaggi, ormai stanco e pentito degli errori commessi, tornò a Napoli ritirandosi in convento.

 

Il gruppo scultoreo raffigura un uomo che cerca di liberarsi da una rete (metafora del peccato) aiutato da un angioletto alato che indica il globo terrestre ai suoi piedi (simbolo delle passioni mondane).  Su quest’ultimo è appoggiata la Bibbia, testo divino ma anche una delle tre “grandi luci” della Massoneria. Gesù che restituisce la vista al cieco e' l'episodio evangelico, raffigurato sul bassorilievo sul basamento, che completa l’allegoria.

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La tomba di Raimondo di Sangro

A differenza degli altri momumenti sepolcrali, la propria tomba fu voluta da Raimondo di Sangro sobria, quasi severa. Il principe di Sansevero morì la sera del 22 marzo 1771: probabilmente inalò o ingerì qualche sostanza tossica durante uno dei suoi esperimenti in laboratorio. Sulla tomba sono molto evidenti i simboli che celebrano le sue glorie nell’ambito scientifico, letterario e militare.

 

La parte più affascinante del mausoleo è l’iscrizione situata sulla grande lastra marmorea: l’elogio funebre non è inciso ma in rilievo, grazie ad un tecnica elaborata con diversi solventi chimici dal principe stesso. Il tema della dedica, sicuramente stabilita dal Principe prima di morire, è ancora più interessante: “uomo straordinario predisposto a tutte le cose che osava intraprendere […] celebre indagatore dei più reconditi misteri della Natura”, un auto elogio solenne e celebrativo.

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La tomba di Cecco di Sangro

Posta al di sopra dell’ingresso principale, fu voluto da Raimondo di Sangro per celebrare le gesta dell’illustre antenato. Cecco di Sangro era un comandante agli ordini di Filippo II e divenne famoso durante una campagna nelle Fiandre. Rimase chiuso due giorni in una cassa e grazie a questo stratagemma riuscì ad entrare nella rocca di Amiens e cogliere di sorpresa i suoi nemici.

 

Secondo la leggenda questo monumento ricorda anche la leggenda sulla morte del Principe: si narra che Raimondo di Sangro, ormai vicino alla morte, si fece tagliare a pezzi e rinchiudere in una bara, da cui doveva uscire vivo dopo qualche giorno. Ma i suoi familiari aprirono la bara troppo presto e l’esperimento fallì, condannando il principe alla morte definitiva.

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Il Pavimento labirintico

Intorno la metà del 1760, Raimondo di Sangro incaricò l’artista Francesco Celebrano di realizzare un pavimento di marmoree tarsie policrome con sfumature dal blu al bianco, all’interno delle quali si incastra una linea di marmo bianca continua e senza giunture. Il disegno ricorda palesemente motivi labirintici. In fase di realizzazione, il lavoro si rivelò difficile e di lunga esecuzione tanto che nemmeno il principe riuscì, prima della sua morte, a vedere l’opera conclusa.

 

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Nel 1889 un grave crollo distrusse quasi totalmente il pavimento labirintico e data la sua difficile progettazione non fu restaurato. La cappella fu poi ripavimentata con piastrelle in cotto napoletano, smaltate con i colori del casato di Sangro (giallo e azzurro) in corrispondenza dello stemma nobiliare. Attualmente alcune lastre del pavimento originale si riescono ancora a intravedere nel passetto antistante la tomba del principe, nella Cavea sotterranea e nella Sagrestia.

 

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La scelta della pavimentazione labirintica si inquadra perfettamente nell’itinerario allegorico progettato da Raimondo. Il tema era assai caro ai Cavalieri Templari. II labirinto rappresentava la difficoltà dell’itinerario che deve compiere l’iniziato per approdare alla conoscenza. Lungo il cammino, soggetto a continui bivi, occorre saper scegliere attentamente e saggiamente la strada giusta, per non restarne prigionieri e raggiungere la Verità.

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Da "www.ansa.it"

 

Con 665.774 visitatori paganti, il Museo Cappella Sansevero, che custodisce il celebre 'Cristo velato', consolida il suo trend di crescita (oltre il 18% rispetto al 2017, 178% in cinque anni). I dati 2018 sono stati diffusi dal museo, che si conferma il più visitato della città di Napoli (con quasi 700mila presenze).

 

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"I dati registrati nell'ultimo anno - dice Fabrizio Masucci, direttore del Museo Cappella Sansevero - sono da considerarsi tanto più straordinari pensando alle dimensioni contenute dello spazio espositivo e dell'area di attesa all'esterno. A fronte di questi numeri e delle condizioni logistiche non ideali, è da sottolineare anche il gradimento espresso dagli utenti: su Tripadvisor il Museo è stabilmente primo tra i quasi 600 'siti di interesse' segnalati sul portale".

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La Cappella Sansevero, a gestione privata, nel 2017 è stato inserito dal 'Financial Times' nella classifica delle 1000 imprese europee con il maggior tasso di crescita di fatturato (in posizione 881, unica società museale).

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