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MAZZATE IN MISSOURI - VISTE LE VIOLENZE, GLI SCONTRI E I CADAVERI DI DUE RAGAZZI NERI A FERGUSON ARRIVA ANCHE “AMNESTY”: “QUI CI SONO TATTICHE DA DITTATURA” - PER FERMARE LA RABBIA DEI BLACK ARRIVANO I GIOVANI PACIFISTI BIANCHI

Paolo Mastrolilli per “La Stampa”

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Le magliette gialle di Sarah Dubleau e dei suoi amici brillano come catarifrangenti, nella notte di Ferguson illuminata dai candelotti lacrimogeni lanciati dalla polizia.?Sopra c’è scritto «Amnesty International Observer», ed è giusto restare sorpresi, perché non era mai capitato prima che l’organizzazione sinonimo della difesa dei diritti umani schierasse una squadra così negli Stati Uniti.

 

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«Cosa volete che vi dica? E’ triste, molto triste. Non mi sarei mai aspettata - confessa Sarah - di condurre una simile missione nelle strade del mio paese. Quando ho scelto di lavorare per Amnesty, immaginavo di finire in qualche teatro di guerra lontano. Noi però abbiamo il dovere di difendere i diritti umani dove sono minacciati. Adesso quel posto è qui, a casa nostra».

 

E se non bastasse quanto abbiamo visto finora, sempre a St. Louis, appena 11 miglia da Ferguson, ieri due poliziotti hanno ucciso un nero di 23 anni, che si era avvicinato loro minacciandoli con un coltello e sfidandoli a sparare. Legittima difesa, o ancora forza eccessiva???Gli agenti di Ferguson, protetti dalla Guardia nazionale schierata dal governatore del Missouri Jay Nixon, hanno appena ripreso a caricare i manifestanti, quando si consuma il paradosso generazionale di Sarah e dei suoi amici.

 

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Da una parte, i ragazzi senza leader della protesta. Giovani che le forze dell’ordine accusano di essere estremisti e membri di gang venuti da fuori città, solo per provocare guai, oppure persone che non hanno mai avuto alcuna affiliazione, ma adesso sfogano senza controllo la rabbia covata per anni. Davanti a loro, per cercare di proteggerli dai poliziotti, altri giovani americani della stessa generazione dei «millennials», cresciuti però col mito dei diritti umani, che si ritrovano a dover difendere nel proprio paese. ?

 

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Una nemesi storica anche per il presidente Obama, che era andato alla Casa Bianca per riunificare l’America, ma ora proprio lui si trova davanti alla rivolta razziale forse più grave dai tempi di Rodney King a Los Angeles. Sarah sorride amara e allarga le braccia: «Vengo da Baltimora, lavoro nella sede di Washington di Amnesty International. Non vi starò a dire per chi ho votato, ma certo non mi aspettavo di testimoniare una roba del genere nel mio paese».

 

Una generazione di giovani senza leader che incendia le strade di Ferguson, per la rabbia razziale ereditata da un passato che forse non conosce, e un gruppo della stessa generazione preparato e impegnato nella difesa dei diritti umani, che aveva dei leader ma forse non li riconosce più, o comunque non li ritrova dalla parte della buona battaglia dove si aspettava di incontrarli.

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Come ha detto Steven Hawkins, direttore esecutivo di Amnesty International Usa, quando ha annunciato l’invio di una squadra a Ferguson: «Noi critichiamo i dittatori perché schiacciano il dissenso e riducono al silenzio chi protesta, con tattiche come il coprifuoco. Certamente lo faremo quando queste cose avvengono nel nostro giardino di casa. La gente di Ferguson ha il diritto di manifestare pacificamente, per la mancanza di responsabilità nell’uccisione di Michael Brown».?

 

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Jasmine Heiss, senior campaigner di Amnesty, ci spiega che l’iniziativa è senza precedenti perché il gruppo non aveva mai schierato prima negli Usa un «cross-functional team», che include osservatori, ricercatori e organizzatori delle comunità. Intanto al distributore QuikTrip di West Florissant Avenue, dove la rabbia dei manifestanti era esplosa per la prima volta, la polizia avverte: «Se restate fermi in mezzo alla strada, sarete oggetto di arresto e altre misure».

 

Un attimo dopo tornano a volare i candelotti lacrimogeni, seguiti dai proiettili di gomma. Jasmine appunta tutto, senza indietreggiare: «Dobbiamo stare qui, dove accadono le violenze, sennò siamo inutili».?Sarah rivela che non hanno alcuna protezione particolare: «Abbiamo informato il governatore e la polizia che saremmo venuti in strada, ma ci hanno risposto che non potevano garantirci l’incolumità».

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Oltre alla maglietta gialla, gli osservatori hanno tutti in dotazione occhialetti da nuoto per riparare gli occhi dal gas, cellulari per comunicare in tempo reale, e una mappa con la via di fuga: appuntamento in un parco qui dietro, se le cose si mettono davvero male. ?Va così anche per i giornalisti, del resto: dall’inizio delle proteste ne sono stati arrestati 11, l’ultimo un fotografo di Getty.

 

Il capo della polizia, Ron Johnson, sostiene che non aiutano, perché glorificano e incitano i violenti: meglio non sapere. Questo è un dilemma anche per Sarah: «Sappiamo che fra i manifestanti si sono infiltrati membri delle gang e criminali comuni, che approfittano della situazione per provocare disordini. Non abbiamo le prove, ma lo abbiamo sentito. La nostra missione non è proteggere questo genere di comportamenti, però in realtà anche i diritti umani di un criminale vanno difesi, perché il sistema si regge solo se i suoi principi sono universali». ?

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Alla fine della nottata, gli arrestati sono 78. Fra di loro, secondo Ron Johnson, anche persone arrivate da New York e dalla California. Gente che non ha nulla a che vedere con i problemi di Ferguson, però è venuta lo stesso ad agitare. Provocatori di professione, magari anche armati, visto che a terra restano pure due feriti, colpiti da proiettili non sparati dalla polizia.

 

La comunità locale dovrebbe isolarli, secondo Johson, manifestando pacificamente di giorno, e tornando a casa la notte.?Passate anche questa, di notte, oggi quaggiù arriverà il ministro della Giustizia Holder, inviato da Obama proprio per calmare gli animi, pronunciare le parole sulle tensioni razziali che lui non può più dire per non spaccare di più il paese, garantire il rispetto della legge, e dei diritti umani e civili. Tra i piedi, però, si ritroverà anche il nuovo caso dell’uomo nero ammazzato ieri dalla polizia, poco lontano da dove il 9 agosto scorso era morto il nero Michael Brown. Tanto per infiammare l’aria già irrespirabile.

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