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LA GUERRA ALLE AUTO CINESI È GIA’ UN AUTOGOL PER L'EUROPA – DOPO L’ANNUNCIO DI BRUXELLES DEI DAZI FINO AL 48% SULLE VETTURE ELETTRICHE DEL DRAGONE, I TITOLI DELLE GRANDI CASE PRODUTTRICI EUROPEE SONO CADUTI IN BORSA, MENTRE LA CINESE BYD HA AUMENTATO IL SUO VALORE DEL 2,6% – GLI INVESTITORI HANNO CAPITO CHE PECHINO SI VENDICHERA’: HA GIÀ PRONTA UNA LISTA DEI PRODOTTI EUROPEI SUI QUALI PREPARA LE RITORSIONI, DAI VINI ALLE AUTO, PER COLPIRE SOPRATTUTTO FRANCIA E GERMANIA – IL PROTEZIONISMO DELL'UE: IL GREEN VA BENE MA SOLO SE MADE IN EUROPE... 

1 - DAZI, VENDETTA DI PECHINO LA CINA SI PREPARA A COLPIRE AUTO, FORMAGGI E VINO

Estratti dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”

 

auto elettriche cinesi

Alla fine della prima giornata del suo G7, Giorgia Meloni ha fatto sapere ieri che stamattina a Borgo Egnazia si parla di commercio globale. Soprattutto, di «come avere catene di approvvigionamento più vicine e più resistenti agli choc».

 

Uno di questi si è scaricato sull’Unione europea poco prima che la premier parlasse: a seguito dell’annuncio arrivato da Bruxelles di nuovi dazi sulle auto elettriche cinesi fino al 48%, i titoli delle grandi case produttrici europee — non cinesi — sono caduti in borsa: meno 3,27% per l’italo-francese Stellantis, meno 4,5% per la tedesca Volkswagen, meno 2,3% per Mercedes-Benz, meno 3,05% per l’altro grande gruppo tedesco Bmw, meno 2,78% per l’italiana Ferrari, meno 2,66% la francese Renault.

 

DAZI UE SULLE AUTO ELETTRICHE CINESI

Nato per tutelare i produttori europei, il pacchetto di dazi annunciato dalla Commissione Ue è stato seguito da una distruzione di valore di mercato di quegli stessi produttori da almeno dieci miliardi di euro. Nel frattempo Byd, una delle aziende cinesi colpite dalle misure ha visto il suo valore di borsa balzare del 2,6% (il mercato si aspettava dazi anche più alti), mentre il colosso americano delle auto elettriche Tesla ha visto la sua capitalizzazione crescere del 3,83%.

 

Qualcosa non ha funzionato. E l’intoppo va cercato a Pechino. Le autorità cinesi in via ufficiale hanno reagito a Bruxelles in maniera blanda, parlando di «protezionismo che soffoca la concorrenza» e di «direzione sbagliata» dell’Unione europea, […]

XI JINPING

 

Informalmente però il governo di Pechino ha stilato una lista dei prodotti europei sui quali prepara le ritorsioni. E dietro le scelte commerciali ci sono quelle politiche, perché i due Paesi più presi di mira sono Francia e Germania. È su di loro che Xi Jinping, il leader cinese, vuole far salire la pressione perché Bruxelles cambi strada.

 

Fra i prodotti indicati per le possibili misure, i cinesi hanno inserito vini, formaggi e altri latticini: beni che la Repubblica popolare importa dalla Francia (la penetrazione italiana è ancora molto debole). Nella lista delle ritorsioni minacciate si trovano poi i prodotti industriali che danneggiano più direttamente la Germania, in particolare le auto.

 

Dongfeng - auto cinesi

La caduta sui mercati delle case europee ieri si spiega dunque principalmente con il fatto che gli investitori hanno già intuito dove colpiranno le contromisure. La rapidità della reazione del resto contrasta con la timidezza con cui Pechino aveva reagito ai dazi ben più duri — al 100% — annunciati un mese fa dalla Casa Bianca sulle auto elettriche cinesi.

 

[…]  Stavolta invece Pechino punta al cuore dell’identità industriale e agricola dei primi due Paesi europei. È un segnale che Xi non esita quando si tratta di provare a intimidire gli europei ma esita invece — e molto — quando l’avversario sono gli Stati Uniti. Ma è anche la spia che l’obiettivo della nuova offerta di mobilità elettrica cinese a costi abbordabili per ora riguarda soprattutto l’Europa. E saranno i consumatori europei a pagarne le conseguenze proprio quando Bruxelles chiede loro di prepararsi a passare all’auto a batteria.

 

DAZI SULLE AUTO ELETTRICHE CINESI

Ma la terza lezione della risposta cinese è che Xi Jinping sta giocando la carta del «divide et impera»: vede bene che ciascuno dei principali Paesi — Germania, Francia, Italia — cerca di aprire per sé il mercato cinese e ne vuole gli investimenti.

 

A fine luglio per esempio Meloni sarà a Pechino, a parlare di un forte investimento sulle auto elettriche dell’azienda di Stato Dongfeng in Italia. I cinesi devono ancora convincersi che Roma offra garanzie di stabilità e persistenza nel rispetto degli accordi. […]

 

2 - DAZI? IL PROBLEMA SONO I SUSSIDI

Estratto dell’articolo di Alberto Mingardi per il “Corriere della Sera”

 

URSULA VON DER LEYEN E XI JINPING

Economia e geopolitica non si mescolano bene. La Commissione europea (uscente) è preoccupata delle importazioni di veicoli elettrici prodotti in Cina. In Europa l’acquisto di questi ultimi è fortemente incentivato (anche se non nella stessa misura in tutti i Paesi). Ciò ha fatto aumentare la domanda: che è quel che la Commissione voleva.

 

Ma a venire richieste sono auto cinesi, e questo la Commissione non lo voleva affatto. Di qui, un deciso aumento dei dazi, che pure non raggiungono il livello statunitense (il 100%). E che l’Unione europea, a differenza degli Usa, ha motivato con una indagine conoscitiva, cercando dunque di non sacrificare le proprie regole per un prurito geopolitico.

auto elettriche cinesi - dazi

 

I dazi sono una ritorsione per i sussidi distribuiti da Pechino: un tentativo di livellare il campo di gioco. Per funzionare, dovrebbero colpire prodotti di qualità inferiore o paragonabile a quella europea, resi attraenti solo dal prezzo, ridotto dal sostegno pubblico. In questo caso, si dovrebbe temere il peggio: i cinesi potrebbero accrescere i sussidi, perché i prezzi risultino invariati. Le guerre commerciali cominciano così.

 

[...]

 

guerra commerciale europa cina

Se tassiamo l’offerta mentre continuiamo a sussidiare la domanda, potrebbe darsi che per le macchine cinesi resti comunque un mercato, ma più piccolo. Cioè che il dazio vanifichi il bonus. Il protezionismo dovrebbe servire a comprare tempo, affinché i produttori europei riprendano slancio. Succederà? Ancora negli anni Ottanta dazi e quote d’importazione, concepiti a vantaggio dell’industria nazionale, facevano sì che giusto lo 0,1% delle auto vendute in Italia arrivasse dal Giappone.

 

Appena vennero meno, però, gli italiani presero ad acquistarne. E la principale impresa italiana, che si era seduta sugli allori, giunse a un soffio dalla bancarotta. La salvò Marchionne, non nuove protezioni.

XI JINPING E URSULA VON DER LEYEN XI JINPING

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