IL CINEMA DEI GIUSTI - “A PROPOSITO DI DAVIS” DEI FRATELLI COEN È UN GRANDE FILM. E, PURTROPPO, NON AVRÀ TUTTO IL SUCCESSO CHE MERITA, PERCHÉ NON È UN FILM FACILE. TROPPO SNOB. TROPPO CHIUSO DENTRO LE PICCOLE STORIE DEI CANTANTI FOLK DEL VILLAGE

Marco Giusti per Dagospia

Prepariamoci, perché è un grande film. E, purtroppo, non avrà tutto il successo che merita, perché non è un film facile. Troppo snob. Troppo chiuso dentro le piccole storie dei cantanti folk del Village, troppo attento nella sceneggiatura alla costruzione perfetta di ogni ingranaggio, anche se il caso farà la sua parte.

Ma chi lo amerà, e soprattutto chi ama la musica del tempo, non può che amarlo alla follia, perché questo "A proposito di Davis", che in originale si intitola "Inside Llewyn Davis" come fosse il disco di un cantante folk, ultima opera dei fratelli Joel e Ethan Coen, scava in profondità nel nostro cuore e, oltre a raccontarci l'odissea di un mondo lontano, cerca di spiegarci perché certi artisti pur di grande talento non arriveranno mai al successo e altri invece sì.

Perché lo studio e la filologia non bastano a conquistare il pubblico. E racconta di quanto fragile fosse la scena del folk newyorkese nei confronti del ciclone Bob Dylan, e con lui tutta la scena del rock, che proprio dalle ricerche sul folk e sul rock dei tanti Llewyn Davis prese le prime mosse per imporsi in tutto il mondo.

Unico neo, l'impegno politico, che i Coen non trattano nel loro film, ma che fu un elemento importante per lo sviluppo del folk anni '60, come ci ha ben spiegato Pete Seeger, e che lo stesso Bob Dylan trattò come trattò il folk e il blues. Inglobandolo naturalmente.

"A proposito di Davis" è stato davvero trascurato dalle nomination agli Oscar, visto che ne ha avute solo due, una per la fotografia del francese Bruno Delbonel (lo stesso del "Faust" di Sokurov, di "Dark Shadows" di Tim Burton, dell'Harry Potter di Alfonso Cuaron) e una per il sound-mixer, ha ricevuto però il Grand Prix della giuria a Cannes e ha vinto l'AFI.

Il film non è però solo un omaggio alla New York del Village del 1961 e alla scena folk del tempo, e non solo una sorta di ritratto di uno dei suoi protagonisti, il cantante folk-blues Dave Van Ronk, scomparso pochi anni fa dopo averci lasciato incompiuto il suo libro di memorie, "The Mayor of MacDougal Street" (2005), da noi tradotto come "Manhattan Folk Story" (brutto, eh?), dal quale gran parte del film è ispirato. Ma è tutto questo riletto però alla luce della grande favola ebraica sul fato che era "A Serious Man" e della circolarità omerica del loro Ulisse sulla via del ritorno di "O Brother, Where Art Thou?".

E non a caso il gatto rosso coprotagonista si chiama Ulisse, e anche lui troverà la strada di casa. Strada che ha perso quando Llewyn ha aperto la porta della casa dei Gorfein, suoi amici intellettuali e benestanti del West Side, e in due si sono ritrovati in mezzo a una strada. Grande trovata di sceneggiatura e forse piccolo omaggio al gatto di "Colazione da Tiffany", uscito guarda caso proprio nel 1961.

Ma già quando, nella prima scena del film, sentiamo Oscar Isaac cantare "Hang Me Hang Me", pezzo forte di Dave Van Ronk, al Gaslight Café del Village, abbiamo già capito che questo Llewyn Davis ci ha conquistato e percepiamo che è uno di quei film che vorremmo non veder mai finire. Anche se non c'è una vera storia da seguire, perché in tutto il film siamo impegnati solo a accompagnare Llewyn e Ulisse in giro per la meravigliosa New York del tempo, in incontri d'amore e di lavoro spesso assurdi e sempre poco concludenti. Ma tutti teneri, ironici, affettuosi.

C'è Jean, Carey Mulligan in versione mora, incazzata perché Llewyn l'ha messa incinta, e lei vive con Jim, Justin Timberlake, col quale forma una coppia folk di successo, Jim e Jean, appunto. Del resto anche Llewyn faceva parte di una coppia, ma il suo socio, che poi nel disco è uno dei veri fratelli Mumford, ha visto bene di suicidarsi, inoltre da un ponte sbagliato di New York, come farà notare John Goodman più tardi.

Poi c'è un buffo cantante soldato, Troy, dal sicuro avvenire, un cantante cowboy, Al, Adam Driver, che nasconde ben altra identità e che lo ospiterà sul divano. C'è il vecchio manager di Llewyn, Mel, e gli ha pubblicato due dischi invenduti ed è pronto a regalargli il cappotto. L'arrapato gestore del Gaslight, che si chiama Poppy Corsicato, proprio in onore del regista napoletano, amico dei Coen, che spiega il successo di Jim e Jean in maniera elementare, cioè perché metà del pubblico si vuole scopare Jean e l'altra metà Jim.

E la buffa coppia formata dallo sprezzante John Goodman e dal suo autista Garrett Hedlund, che recita poesie del tempo, che lo porteranno a Chicago, dove Llewyn si esibirà di fronte al potente discografico Bud Grossman, cioè F. Murray Abrahams, proponendogli una lunga ballata inglese, "The Death of Queen Jane", che i Coen ci faranno ascoltare per intero, esattamente come la ascolta il discografico e che lo porterà alla conclusione che Llewyn che non farà mai fortuna. Ma forse è proprio questo che voleva sentirsi dire. E c'è appunto l'ombra di un partner suicida, col quale cantava "If I Had Wings Like Noah's Dove", la canzone preferita di Carl Sandburg. E ci sono le canzoni che Llewyn si porta dietro, fondamentali per il vero Van Ronk e per la storia che seguiamo, in quanto parte del racconto e mai sottofondo. Così sentiamo "Green Rocky Road", "The Shoals of Herrings" di Ewan MacCall che Llewyn canta al vecchio padre. Ma più della ricostruzione della scena musicale del tempo, che e' perfetta, con tanto di riferimenti ai Clancy Brothers, a Tom Paxton, a Peter La Farge, a Paul Clayton, il film è costruito su due elementi fondamentali. L'innocenza del tempo e di tutti questi personaggi, perfettamente coscienti del loro valore, e in qualche modo tutti racchiusi nel personaggio di Llewyn, che crede sempre a quello che fa, e la linea del fato che lo porterà a aprire porte e a scoprire cose inaspettate che si collegheranno secondo un disegno cabalistico. Un figlio perso e uno ritrovato. Un gatto scomparso e poi riapparso dal nulla. Ma è proprio lui? Intanto sul palco del Gaslight Café, dopo di lui, si esibisce il cantante che farà la carriera che Llewyn non farà mai, Bob Dylan, nella vita un fratello minore per Van Ronk, che canta "Farewell". Mentre Dylan diventerà una star, Llewyn si prenderà un pugno in un vicolo. Del resto nei primi anni ‘70, quando suo fan assoluto, lo intervistai per "Il Manifesto" a Rapallo, non saremmo stati in più di trenta a ascoltare Dave Van Ronk, che mi parlò a lungo di quel periodo, di Dylan e di come era morto Peter La Farge. Ma era come se in quegli anni fosse accaduto qualcosa che avrebbe per sempre cambiato la loro vita, ma che la avesse per sempre fissata lì, in quel periodo irripetibile. Di tutto questo e di molto altro ci parla con grande libertà e candore "A proposito di Davis", grande film dei Coen e grande film sulla creatività e sul fato.

 

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