L’ULTIMO DISCO – L’AMARCORD DELLA 78ENNE VANONI SU CRAXI, LA MILANO “DA VOMITARE” E PASOLINI: “MI GUARDÒ E DISSE: L’UNICO CULO FEMMINILE CHE MI DA’ UN BRIVIDO”

Stefania Rossini per "l'Espresso"

Non capita spesso di suonare un campanello ed essere accolti da qualcuno che canta, come in un musical d'altri tempi. Ma se a farlo è Ornella Vanoni che intona con la sua voce inconfondibile un brano di Battiato, "E di nuovo cambio casa, e di nuovo cambiano le cose...", lo stupore lascia il posto al piacere di un buon incontro.

Quei due versi musicali ci anticipano già qualcosa sul momento che la cantante sta vivendo. A breve darà l'addio al suo appartamento nel cuore di Brera, pieno di spazi, di luce e di opere d'arte, per trasferirsi in uno più piccolo che non potrà contenerle tutte.

Ma a breve uscirà anche il suo ultimo disco, "Meticci", che come viene detto esplicitamente nel sottotitolo, "Io mi fermo qui", è un altro addio. Dopo aver venduto milioni di dischi che hanno fatto da colonna sonora alla vita sentimentale di alcune generazioni, Ornella le lascia orfane di quei toni avvolgenti ed espliciti che inducevano anche i più riluttanti alla sensualità.

Fasciata in un vestito lilla, scollata come una ragazza, con la pelle luminosa e priva del minimo segno di rughe (ma meno artificiale di come appare in tv), travolgente nell'eloquio e nel racconto di sé, la Vanoni non dimostra davvero i suoi 78 anni. Anche perché mentre parla di un passato pieno di uomini, amori, successi, incontri ed errori, lascia capire che le piacerebbe un futuro ancora pieno di uomini, amori, successi...

Sta davvero arrivando l'epoca dei bilanci, quelli che non quadrano mai, come cantava tanti anni fa?
«Non lo so, ma ce la sto mettendo tutta per invecchiare ridendo. Ultimamente mi sono anche liberata di quella tristezza atavica che mi era stata cucita addosso e ho tirato fuori la mia natura buffa. Durante gli spettacoli avverto: "Sembro una signora, ma non lo sono: sto spesso in mutande"».

Allora perché questo disco di addio?
«Perché non è più possibile lavorare con la discografia, si patisce troppo, non ci sono soldi, si prepara tutto in solitudine, e comunque i dischi non si vendono. L'età c'entra poco. Le sembro forse una vecchia?».

No. Però lei è una delle poche che denuncia ogni suo compleanno. Come mai?
«Lo scriverebbero comunque, tanto vale dirlo. Inutile fare le vezzose e chiedere "Quanti anni mi dà?". Si rischia di sentirsi rispondere, come suggeriva Flaiano: "Non bastano quelli che ha già, senza che aggiunga i miei?».

Per questo festeggiò i suoi cinquant'anni posando a seno nudo per la copertina de "L'Espresso"?
«Lo feci per giocare e per il piacere di mostrare il mio corpo. Sono stata sempre consapevole della seduzione che emanava. Dovevo tenere a bada gli uomini con il forcone. Una volta persino Pasolini, osservandomi da dietro, esclamò: "Ecco un culo femminile che riesce a darmi un brivido!". Ce l'avevo alto, praticamente attaccato alle scapole».

E oggi come va? In genere gli uomini hanno paura dell'età delle donne.
«Già, le vogliono fresche, che emanino ferormoni, ma anche ignoranti in modo da essere loro a guidare il gioco. Con una come me si impensieriscono subito. Ho molto vissuto, ho visto e sperimentato il possibile. Ho amato anche una donna, ma non mi piaceva farci sesso e siamo rimaste amiche. Fino a un po' di tempo fa giocavo ancora con un amantino».

Perché gli dà un diminutivo?
«Perché era una cosa carina, senza complicanze, e non perché, come sospettò una mia amica, lui fosse poco dotato. Oggi però un uomo dovrebbe cadermi dal cielo, confezionato come dico io: 62-63 anni, non di più perché dopo sono inutili, intelligente, colto, quattro euro per fare un week end e soprattutto non sposato».

Esiste un uomo con tutte queste virtù?
«Ne conoscevo uno, si chiamava Hugo Pratt. Bastava sedersi davanti a lui perché si aprisse il mondo: il vero, il falso, il vissuto, l'arte. Ma non mi ha voluta. Io gli chiedevo: "Perché no?". Mi rispondeva: "Perché se finisce la storia con un dentista o un avvocato, si soffre, ma se perdi un artista grande, c'è un vuoto incolmabile»".

Lei però ha amato e perso diversi artisti. Sono stati distacchi difficili?
«Da Strehler scappai io, perché mi amava moltissimo ma gli piaceva coinvolgermi in trasgressioni che diventarono pesanti. Con Gino Paoli andò più lievemente. L'esperienza peggiore l'ho vissuta però con il mio ultimo compagno, manager di un'azienda di gioielli. Viviamo insieme da anni, gli viene un infarto, lo porto di corsa in ospedale e gli salvo la vita, entrando in sala operatoria mi dice: "Muoio ma ti amo", quando esce non mi guarda più, va a cercare la vecchia moglie e se la risposa».

Oltre che una musa erotica, lei è stata a lungo un'icona socialista, associata al nome di Craxi e alla Milano da bere. Come ricorda quegli anni.
«Come il periodo che precedette la Milano da vomitare. Comunque io non sono mai stata craxiana, socialista sì, ma non craxiana».

C'era differenza in questa città all'epoca?
«Per me sì, perché ero diventata socialista molto tempo prima, quando avevo 19 anni e con Strehler frequentavo Nenni che giocava a bocce. In quella bocciofila erano tutti socialisti e, come capita in questi casi, mi ritrovai a esserlo anch'io. Craxi lo conobbi anni dopo, quando mi portarono ad ascoltarlo, non so più in che occasione, al Palasport».

Le piacque?
«Mi colpì perché era palesemente fallocratico e parlava con i tempi giusti. I politici riescono a diventare leader solo se hanno i tempi: una parola, due parole e poi un silenzio. È un'arte che oggi non coltiva più nessuno, o biascicano o parlano a raffica come Renzi. In seguito l'ho frequentato insieme alla sua famiglia, ma non gli ho mai chiesto niente che potesse essere utile al mio lavoro. Semmai sono stata usata».

In che modo?
«Come immagine elettorale. Per esempio quando avevo promesso a Tonioli, ex sindaco di Milano e uomo adorabile, che avrei riflettuto sulla sua offerta di candidarmi in una lista civica. Prima che avessi il tempo di rifiutare, il mio nome uscì sui giornali. Dichiarai allora che Milano soffriva di un'overdose di socialismo e quel gentiluomo di Pillitteri rispose che mi avrebbe dato degli indirizzi per disintossicarmi. Craxi non mi difese».

Ma lo perdonò perché si sa che andò a trovarlo ad Hammamet.
«Certo, e lo trovai furioso come un leone in gabbia. Guardava un quadro che gli aveva regalato Berlusconi e ripeteva: "Non mi piace, non mi piace". Penso che si riferisse all'uomo, non al quadro, e che patisse il fatto che era diventato presidente del Consiglio».

A proposito, lei ha avuto anche il periodo berlusconiano....
«È un'altra diceria. Lo avevo conosciuto 40 anni fa in una cena a casa mia. Era un bell'uomo, non alto ma attraente, molto simpatico e molto empatico. Gli dissi:"Lei ora è ricchissimo". E lui: "Ero ricco quando potevo fare due mesi di vacanza". Quando è entrato in politica l'ho votato, poi non ho più capito che cosa volesse».

Però ancora due anni fa si è candidata con Letizia Moratti.
«Ho soltanto aderito a una lista civica in suo sostegno per aiutare un amico. Mi avevano promesso manifesti e campagna elettorale, ma non hanno fatto niente e ho preso 34 voti».

Per come parla, per la musica che interpreta, si poteva immaginare che appoggiasse Pisapia.
«Tutti ne dicono bene e mi piacerebbe conoscerlo. Ma purtroppo è il riferimento di quella che lui chiama "borghesia illuminata", quasi fossimo nella Rivoluzione francese. Invece siamo tra radical chic che si danno delle arie e seguono le campagne de "la Repubblica"».

Insomma Milano l'ha delusa parecchio, negli uomini, nella politica. Ma non è un po' troppo definirla la Milano da vomitare?
«La battuta è di Mariangela Melato, ma l'ho fatta mia. Dopo Mani pulite la città non si è più ripresa. È triste, nessuno ride più. Nei bar di Brera dove incontravi artisti e intellettuali, si sente solo l'odore di patate fritte. Milano è andata in depressione perché non si è più sentita amata. Ha chiuso i portoni e nascosto le sue bellezze. Ma io trovo ancora i miei angoli, come la chiesa di Sant'Eustorgio, dove ci sono preti molto bravi, che sta in una piazza bellissima, piena di baretti, caffettini. Lì ci si sente meglio».

Già, lei è diventata anche una donna di fede. Ma non aveva avuto una conversione protestante?
«Quello è uno stadio superato. Vivevo un brutto periodo e ho incontrato una donna eccezionale, un pastore evangelico, giovane, bionda, carina. Io ce l'avevo con tutti, anche con Dio, e lei mi diceva: "Non è vero". Sono stati quattro anni importanti, poi mi ha deluso».

Come mai?
«Ha cominciato a dire cose strane: la poesia fa schifo, l'arte è inutile. Quando poi ha ristrutturato la sua chiesa dipingendola tutta nera con due lampadari di cristallo che la fanno sembrare la showroom di Dolce e Gabbana, me ne sono andata. Mi è rimasta l'abitudine di leggere i testi, specie i Vangeli. Io amo Gesù, mi è simpatico».

Prese dal filo dei suoi racconti, abbiamo quasi dimenticato la musica: le canzoni della mala che Strehler e Dario Fo inventarono per lei, quelle sentimentali che le donò Gino Paoli, e poi Vinicius de Morales, Toquinho, il jazz. Che bella vita musicale la sua, Ornella Vanoni!
«Guardi che non sono mica finita. Faccio l'ultimo disco ma sono ancora qui. Mia madre è morta a 99 anni e una mia zia a 105. Son di tempra buona e ho intenzione di durare a lungo, cantando live fino a che avrò voce. Ora devo soltanto attrezzarmi a superare il dolore di lasciare la mia bella casa».

Non c'è dubbio che ce la farà.
«Certo che ce la farò. Ma mi mancherà quella consolazione che ho ritrovato anche in Borges quando scrive: "Da giovane volevo vivere nella solitudine e nel silenzio. Da vecchio voglio un balcone sul corso e vedere la gente". Ecco, questo mi consentiva la mia casa con le finestre su via Solferino. Ora invecchierò guardando le piante di un parco. Ma sempre cantando».

 

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