DARIA AVVELENATA - LA BIGNARDI IMPALLINATA DA ALDO GRASSO: “NELLE ‘INVASIONI’ DI BARBARICO NON C'È PIÙ NIENTE. È COSÌ LONTANA DALLA TV CHE HA SMARRITO LA PROPRIA ALTERITÀ. CON MATTEO RENZI SEMBRAVA LILLI GRUBER E CON TIZIANO FERRO HA SUPERATO LA D'URSO” - FULVIO ABBATE: “E SE IL SUO PROBLEMA FOSSE RACCHIUSO NELL’ASSENZA DI CUORE, OSSIA IL DONO DI PROVARE COMPASSIONE DINANZI ALL’UMANO DOLORE?”…

1- UN PUBBLICO DA CRÈME BRÛLÉE CON LO SPETTRO DELLA TOMMASI
Fulvio Abbate per "il Fatto Quotidiano" - www.teledurruti.it  

Chi pensa male di Daria Bignardi commette un lapsus. Di più: sbaglia obiettivo. Costui, infatti, vorrebbe semmai dire ogni cattiveria possibile del suo pubblico di riferimento, al punto da sognarne la cancellazione per decreto non meno barbarico, anzi, giacobino. Parliamo di un insieme di spettatori ben fidelizzato fra ottime letture, film di pregio e playlist, crème brûlée davvero radical chic d'ambo i sessi.

Così almeno immagina il semplice, pensando a un insieme culturale che riesce ad amare spassionatamente le articolesse di Concita De Gregorio, i romanzi di Walter Veltroni, le canzoni di Vinicio Capossela, i film tratti dai romanzi di Veltroni, le edizioni e/o, le zuppe di farro, i pomeriggi di Radio3, la panzanella sulla riva della capalbiese "Ultima spiaggia", la possibilità che sempre Veltroni diventi presto presidente della Rai. Addirittura con il consenso di Berlusconi, come si vocifera. Insomma, un grande amore per il bla-bla profondo dei ceti medi progressisti e riflessivi, convinti di avere trovato se stessi nel flusso televisivo griffato Bignardi.

Vederla ieri pomeriggio ospite di "Tv Talk" e di uno spietato Massimo Bernardini, su Rai3, non ha fatto altro che confermare un'amarissima sensazione. Assodata la spietatezza degli esperti in studio, la cui ragione sociale è, appunto, il lento e inesorabile lavoro di dissezione della mistificazione televisiva, compresa, perché no, la variante bignardiana.

Facce da terribili "tricoteuse", che forse mai hanno ceduto al sentimentalismo dal volto disumano della cultura di sinistra per la quale aver frequentato il Dams bolognese sotto Umberto Eco valeva una sorta di collare dell'Annunziata, anche nel senso dell'incancellabile Lucia.

Intendiamoci, Daria B. non ha mai fatto nulla per scongiurare l'arrivo dei forconi acuminati pronti a trafiggere la scenografia di "Le invasioni barbariche", opportunamente illustrata da un'anima bella della "graphic novel", Gipi. Soprattutto in due circostanze: quando lì in studio si è parlato di Sara Tommasi nelle spire delle "Iene", e ancora quando lo spettro del Che Guevara di largo Treves, Fabrizio Corona, ha idealmente occupato l'intero studio.

E se il problema centrale della conduttrice delle "Invasioni" fosse tutto racchiuso nell'assenza di cuore, ossia il sincero dono di provare compassione dinanzi all'umano dolore? Spiego meglio: è sembrato, in molti momenti dell'intervista-TAC di Bernardini, che le parole in possesso della signora Bignardi, coniugata Sofri, fossero inadatte a esprimere un terso sentimento di partecipazione verso il dramma personale di una povera flippata come Sara.

Dipenderà dal fatto che laggiù al Dams c'era molto da apprendere sul filosofo Deleuze, mentre ti lasciavano inermi, privi di strumenti, di fronte alla storia di una ragazza spappolata dal girmi dell'era berlusconiana? Senza trucco, Daria Bignardi, fuori dall'orto concluso del suo format ad alto birignao, ha più volte dato la sensazione d'avere bisogno di un supporto morale. Santa Sara Tommasi martire, già che ci siamo, ormai in via di guarigione, potrebbe vegliare un po' su di lei.

2- NULLA DI BARBARICO NEL SALOTTO DI DARIA
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

Ormai Daria Bignardi si sente più scrittrice che conduttrice televisiva. Ha pubblicato già tre libri di successo e forse vive la tv soltanto come un retaggio giovanile (lontani i tempi di «Corto circuito», di «Tempi moderni», del «Grande fratello»). Un retaggio da trasformare in un salotto, in un luogo di affabilità dove invitare persone famose, in un ideale di socievolezza da condividere con una vasta rete di amici e colleghi che frequentano altri salotti tv, riviste patinate, giornali online, blog, social network, in un cortocircuito molto autoreferenziale.

Ormai nelle «Invasioni barbariche» di barbarico non c'è più niente. Gli scrittori, si sa, coltivano i riti della conversazione cercando di coniugare l'eleganza con la cortesia, ma la tv, ahimè, è altra cosa, e Daria se n'è dimenticata.

Ormai è così spiritualmente lontana dalla tv che ha smarrito la propria alterità. Con Matteo Renzi sembrava Lilli Gruber, incapace di fermare lo svicolante e compiaciuto interlocutore. Con Lorenzo Amurri sembrava Maria De Filippi quando ci regala indimenticabili momenti di tv del dolore (e dire che si doveva parlare di un libro). In veste di massaia ferrarese, con i tre di «MasterChef» sembrava Benedetta Parodi.

Con Tiziano Ferro (in versione adolescenziale, l'unico al mondo che in amore è stato lasciato) ha superato Barbara D'Urso. Persino Geppi Cucciari sembrava intimidita dal posto, dall'ambiente, dal clima, forse perché chiamata a rifare la Littizzetto.

Una serata all'insegna della contraddizione. Quando Daria ha presentato un suo piatto (un arrosto di stinco di vitello, forse vitellone), il cuoco Bruno Barbieri le ha detto: «Dentro questo piatto c'è il tuo io».

Ma il piatto non gli è parso un granché. È intervenuto allora Joe Bastianich: «Non ti somiglia questo piatto», creandole una piccola crisi di identità.
Sì, ormai Daria si sente solo scrittrice.

 

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