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BARBARA COSTA IN GLORIA DI PAOLO LIMITI: ‘ALLA FINE DEGLI ANNI ’60 HA SVEGLIATO UN’ITALIA RINCOGLIONITA DA CASA-FAMIGLIA-CHIESA CON LA GIUSTA DOSE DI SESSO SEMPRE ESPLICITO MA MAI VOLGARE, DA VERO SIGNORE, CON UNA COMPLICE D’ECCEZIONE: MINA’ - VIDEO: NEL 1976 METTE SOTTO FORMA DI CANZONE UN CUNNILINGUS PER SABINA CIUFFINI, VALLETTA DI MIKE: ‘NO, NO, NO’ SUSSURRATO, MIAGOLATO, FINO AL ‘SÌ’ ORGASMICO URLATO - FLORADORA, LA TV AMARCORD, LIZ TAYLOR, MARILYN MONROE E TUTTI I MITI DELL’HOLLYWOOD QUEER-FROCIONA

 

 

Barbara Costa per Dagospia

 

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Floradora, la tv amarcord, Jean Harlow, Liz Taylor, Marilyn Monroe e tutti i miti dell’Hollywood queer-frociona, Paolo Limiti è stato questo e mille altre cose ancora, come paroliere viene subito dopo Mogol o forse stanno alla pari, ma Limiti era meravigliosamente spudorato e per questo va venerato, si è permesso qualsiasi cosa, anche di mettere sotto forma di canzone un cunnilingus.

 

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Sì, avete letto bene, proprio quelle slinguate lì, e lo fa nel 1976, con una canzone che non conosce quasi nessuno, cantata in sussurri di piacere e poi alla fine gridata forte in un orgasmo da Sabina Ciuffini, la ragazza passata alla storia della televisione come prima valletta parlante e in minigonna di Mike Bongiorno in “Rischiatutto”, ma che poi crescendo ha anche posato nuda per Playboy e interpretato “Oh mia bella matrigna”, un film erotico di Guido Leoni.

 

Paolo Limiti scrive per lei “No, No, No”, e come fa a riprodurre in versi e strofe il piacere che una donna prova col sesso orale? Limiti, da genio assoluto, lo fa creando uno dei testi più minimalisti della canzone italiana: gli bastano due parole, un “No” affermativo ripetuto, sussurrato, lamentato, miagolato ossessivamente dall’inizio alla fine del brano, quando quel no diventa un “Sì” urlato, liberatorio, e a chi ascolta è chiaro che la donna del brano, dopo essersi fatta gustare ogni suo umore, dopo aver guidato con dei no sempre più sensualmente collaborativi la lingua e la bocca incastratesi nel suo sesso, ha raggiunto l’obiettivo massimo, supremo, grazie all’uomo (o alla donna?) datosi da fare per meno di quattro minuti con la testa tra le sue gambe.

 

 

Paolo Limiti alla fine degli anni ’60 ha svegliato un’Italia rincoglionita dalla triade casa-famiglia-chiesa con la giusta dose di sesso sempre esplicito ma mai volgare, mai inelegante, da vero signore, e lo ha fatto con una complice d’eccezione, Mina, l’unica cantante italiana davvero libera dalle convenzioni e dalle mode, l’unica che ha fatto sempre come le pareva e quando e perché lo voleva, l’unica star che ha avuto davvero le palle di dire no a tutti i compromessi e le ipocrisie.

 

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Mina non ha rivali in nessun campo della canzone, ma con Limiti si specializza nel cantare le corna, da lei ricevute, ma soprattutto messe, come nella canzone “Un’ombra”, dove Mina canta di voler tornare da un amore tradito dopo un anno, fiduciosa e sicura d’essere perdonata, e ci rimane di sasso quando scopre che il lui in questione si è ben consolato senza di lei. Oppure in “Credi”, quando per tutto il tempo Mina canta di un amore finito perché tradito, e lei è quella che soffre e si dispera, quando nell’ultima strofa ci svela che è stata proprio lei a tradirlo con un altro e a farlo finire.

 

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Paolo Limiti scrive per Mina canzoni che trasudano sesso in ogni verso, di uomini bastardi che ti amano in macchina bloccando il traffico, giurano ti amo e tre ore dopo spariscono, uomini su cui affermi il possesso passandogli la mano tra i capelli, uomini che ti abbandonano per un’altra e allora ti prendi ogni diritto di augurar loro quella stessa infelicità che ti sta divorando (chi di noi non ha mai provato un risentimento simile?).

 

I testi di Paolo Limiti non sono mai pornografici, ma il sesso c’è, eccome, fisico e in buona parte mentale se calcoliamo le canzoni dedicate ai tormenti della carne, del desiderio, quando un corpo, un odore, un sapore ci invade e imprigiona la mente facendoci perdere sonno e ragione.

 

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Limiti e Mina si permettono di portare al successo una canzone di quasi sette minuti, “Bugiardo e Incosciente”, che è tutta un dialogo tra una donna sfinita da anni di tradimenti e bugie che, sveglia a letto, accanto a lui che dorme, gli rinfaccia velenosa ogni cosa, si mortifica dandosi della stupida e finalmente sembra riacquistare la dignità perduta, arriva a dire che le fa schifo perfino essersi fatta toccare da lui, ma poi, appena questo dannato incosciente si sveglia, in un attimo dimentica ogni proposito e se lo riscopa come niente fosse! (che poi l’originale portoghese di “Bugiardo e Incosciente” non c’entra niente col sesso, sono sette minuti di lagna di una vecchina che elenca tutti i dolori della sua vita ingrata).

 

 

 

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Limiti propone a Mina anche la sua “Buonasera Dottore”, e non credo che esista un canzone a elogio delle corna e del doppio gioco amoroso più perfetta, e Mina chissà perché rinuncia, il brano passa a Claudia Mori che lo porta primo in classifica. Mina se lo riprende 22 anni dopo, includendolo nell’album “Sì, buana”.

 

L’unione artistica di Paolo Limiti e Mina (anche privata, perché sono stati grandi amici, si sono frequentati assiduamente per un decennio, è Limiti a raccontarci un po’ com’è Mina per davvero, la sua passione per i romanzi gialli, i profumi, le borse, la sua invincibile pigrizia) è massimamente racchiusa in due album, “…bugiardo più che mai…più incosciente che mai…” e “…quando tu mi spiavi in cima a un batticuore…”. Usciti rispettivamente nel 1969 e nel 1970, fecero stragi di vendite.

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Una cosa a Paolo Limiti, da fan, non ho perdonato: che uno come lui scrivesse un libro, intitolato anch’esso “Bugiardo e Incosciente”, e che invece di infarcirlo di sesso, corna e affini, parli della pallosissima storia a ritroso di due anziane che, quando erano giovani e belle, si sono divise l’amore dello stesso uomo diventato, da vecchio, un patetico sugar-daddy.

 

Limiti avrebbe dovuto scriverne uno su tutte le succulente storie di letto delle star del cinema e non che solo lui sapeva. Ma era troppo signore per svelarle davvero.

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