LA ‘MISSION IMPOSSIBLE’ DI CAIRO: FARE DEL SALOTTO DI SINISTRA IL TINELLO DEGLI ITALIANI CON SOTTILE, PARAGONE E DALLA CHIESA - CHE FINE HA FATTO PAOLO RUFFINI?

Pietrangelo Buttafuoco per "Il Foglio"

Il vero "Apostrophe" è "Coffee Break", la trasmissione di Tiziana Panella su La7. Ci sono certe puntate, specie quelle con Carlo Freccero ospite, specie il sabato, che già a parteciparvi (vado volentieri) bisogna star zitti e ascoltarli, i convenuti.

Tutti di livello - Gianfranco Pasquino, Fulvio Abbate, Moni Ovadia, padre Giulio Albanese, Michela Marzano, giusto per fare dei nomi - tutti insoliti rispetto al parco solito del bla-bla tivù, tutti partecipi di storie diverse dentro un capitolo di racconto che completa la mattina iniziata bene e benissimo con "Omnibus" dove - nessuno si offenda - aprendo la giornata si eleva l'altra regina, Alessandra Sardoni che, nella rete diretta da Paolo Ruffini (che è il grande assente senza neppure essere il grande vecchio), copre anche l'informazione politica. E lo fa con la stessa spietata cura con cui Balzac metteva in scena la "Commedia Umana".

E' un posto dove la mattina va bene per offerta di palinsesto e per ascolti, il pomeriggio non esiste e la sera - grazie al dominus, ossia Enrico Mentana - oltre al tg capitano delle cose che sono assai interessanti per quel tipo di pubblico generalmente informato, passabilmente acculturato e dalla vocazione esclusivamente tematica e dunque: politica, politica e ancora politica. Tutto questo è La7. Sarebbe, dunque, il channel-politik, La7. Ed è la nicchia del posizionamento alto. Non ha la pubblicità del detersivo ma, al più, un appello eco-compatibile in forma di spot. Perché poi, come tutta la tivù nella sua totalità, La7 è de sinistra.

E' stato un prodotto proprio strano, La7, rispetto all'estetica policroma del televisionare generalista e l'innesto di cronaca voluto da Urbano Cairo, il nuovo proprietario - con Salvo Sottile e "Linea Gialla", con "La Gabbia" di Gianluigi Paragone, Rita Dalla Chiesa tra poco - lascia intravedere una mutazione proprio inedita.

Non c'è neppure da soffermarsi sul fallimento di "Miss Italia" per immaginare quale possa essere il laboratorio, ma se non è stato un gettare il cuore oltre l'ostacolo, un atto di coraggio - un'azione kamikaze - sì, lo è stato, quello di Cairo di portare nella rete del boldrinismo spinto, dunque nel canone spiccio e semplice del "dobbiamo difendere i froci, quanto fa schifo Berlusconi, che bello avere la Kyenge ministro" una spaventosa serata dove la novità stava anche nel rendere omaggio alle forme opime per poi consentire agli spiritosi sadici dei social network di uscirsene con una battuta così: "Speriamo che stasera cada il governo così Mentana fa una diretta fiume e pone fine a questo strazio". E' stato anche il posto dove tutto è di moda, La7.

Il giorno in cui Mentana se ne andrà saranno guai. C'era Gad Lerner, ma se n'è andato. Fa LaF, la tivù strafiga di Feltrinelli. C'era la coppia Luca Telese e Nicola Porro ma sono andati a gemmare altrove, il primo a Canale 5 con "Matrix", l'altro a Rai2 con "Virus". C'erano "Le invasioni barbariche" di Daria Bignardi che però, pur nell'innesto del popolar-populismo voluto da Urbano Cairo, resteranno. Il pubblico di riferimento è, comunque, immutato: mediamente colto, mediamente inurbato, molto femminile e molto del nord e succedono le cose, di sera, perché da bravo uomo di moneta qual è, Cairo non spaventa la clientela.

C'è Corrado Formigli con "Piazzapulita", c'è Lilli Gruber con "Otto e mezzo" e c'è Michele Santoro con "Servizio pubblico" che magari sì, proprio questo, per quanto collaudato, risulta efficace giusto nell'esperimento più riuscito di popolar-populismo in tivù. Una puntata come quella con Michelle Bonev, pura prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi, coniuga l'idea di Cairo della miscela altobasso, proprio nel ricalcare la suggestione del signor Carunchio, il marinaio di Lina Wertmüller: "Bottana sì, ma socialdemocratica".

Ed è quasi il farsi carne di quell'idea che Gianni Agnelli, buonanima, vide in Via Solferino, al tempo in cui Paolo Mieli era direttore: "Ha messo la minigonna al Corriere della Sera". Channel-politik, questa è La7. Tavolo e parola, parola & tavolo, zero immagini, fin tanto che Cairo non avrà messo a punto i suoi esperimenti perché, viste le difficoltà di Rai3, il pubblico alto - a parte satellite, digitale e F varie - da qualche parte deve pur andare.

Anche adesso che questa, la politica, non tira più e gli ascolti non premiano: Berlusconi, infatti, è finito, Grillo è stato un fuoco di paglia, Renzi è su Uozzàpp e l'estetica tutta alternativa deve pur generarsi oltre che rigirarsi su se stessa. L'elemento alchemico chiave non potrà che essere Cairo, uno sbrigativo imprenditore che lo spettatore medio de La7 non vorrebbe vedere neppure come ospite e di cui si favoleggia un'arte tutta silviesca (in quel senso, sì) di guardare tutto, valutare tutto, aggiustare tutto e sindacare perfino sugli ospiti al fine di realizzare l'ircocervo degli ircocervi: popolarizzare il fighettissimo target della nicchia allargata. Fare del salotto di sinistra il tinello degli italiani. Ecco, togliere il cachemire al televisore. La missione impossibile del dottor Urbano Cairo.

 

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