bryan cranston

BREAKING GIFFONI - BRYAN CRANSTON, PROTAGONISTA DI “BREAKING BAD”, SBARCA AL FESTIVAL E FA IMPAZZIRE I FAN: “QUANDO LA SERIE E’ FINITA HO PIANTO. L’EPILOGO DI WALTER WHITE È TRISTE MA ERA QUELLO IL FINALE PERFETTO - ALLA FINE DELLE RIPRESE DI OGNI PUNTATA AVEVO UN RITUALE: PRENDEVO DUE ASCIUGAMANI CALDI E…”

Simona Orlando per Dagospia

 

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Reazioni collaterali e impatto sconcertante: centinaia di ragazzini dal viso pulito con il cappello del re della droga Heisenberg e la maglietta di Los Pollos Hermanos (distributore di pollo fritto e psicostimolanti), pazzi non per il teen idol di turno ma per Walter White, il professore di chimica che, malato terminale di cancro, si trasforma in un cuoco di metanfetamina nella serie cult ‘Breaking Bad’.

 

Niente però è come sembra. La serie non ha a che fare con lo sdoganamento degli stupefacenti, sebbene sia iconica anche fra i fattoni e gli appassionati dei cristalli blu, che fantasticano di cucinarli in un camper, nel bel mezzo del deserto dell’Arizona, e di consumarli in mutande al tramonto con un socio amico e nemico di nome Jesse Pinkman.

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Al festival di Giffoni gli adolescenti e i piccoli giurati sanno tutto di Bryan Cranston, citano ‘Salvate il soldato Ryan’, ‘Drive’, ‘Little Miss Sunshine’, ‘Trumbo’ e ‘Argo’, non ‘Godzilla’ e ‘Power Rangers’. Say My Name: Cranston, è lui la roba purissima, attore eclettico, una nomination agli Oscar, 4 Emmy Awards, un Golden Globe, incredibilmente comunicativo nello spiegare il suo fenomeno: «Abbiamo finalmente capito che sullo schermo non vanno per forza rappresentate persone piacevoli. Non esistono solo eroi, più spesso ci si presenta davanti gente che disprezziamo e va bene così, è più credibile. Un personaggio non deve essere gradito, deve essere compreso».

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Un bravo attore non giudica il suo personaggio, tenta di capirlo, poi gli aggiunge il proprio ego ed esagera per la caratterizzazione: «Devi essere capace di raggiungere le cavità in cui si nascondono le emozioni, anche se  non ti faranno sembrare una bella persona. Walter White è un disperato che vuole fare qualcosa per la sua famiglia, alla fine impazzisce e il suo assurdo affare arriva a piacergli.

 

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Mi sono connesso a lui, anche perché avevamo la stessa età. Ognuno può dare la parte migliore o peggiore di sé, dipende da tanti fattori esterni. Nelle sue circostanze, potevamo tutti diventare molto pericolosi. Qual è la linea di confine fra ciò che è giusto per noi e per gli altri? La moralità è un tratto mobile, il carattere è messo alla prova quando siamo sotto pressione. Lui ha fallito, ha sbagliato quell’esame».

 

Cranston ha ammesso di aver pianto alla fine della serie: «Quando interpreti un personaggio, sviluppi un senso di possesso e di appartenenza, diventi critico, protettivo, lo conosci così bene che niente deve disturbare il tuo rapporto con lui. Non volevo portarmelo a casa dal set, così avevo un rituale: finito di girare prendevo due asciugamani caldi, ne mettevo uno sulla testa tipo turbante ed uno sul viso. Mi toglieva le tossine della giornata e la negatività di Heisenberg. Il suo epilogo è stato triste, ho pianto al termine delle riprese, ma era quello il finale perfetto».

 

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Fine del vortice e di quella serie di scatole cinesi, ognuna con una sorpresa di distruzione, che White apre di episodio in episodio, sprofondando nel sottoscala. La metamorfosi è liberatoria, ma nella crisalide lui è la pelle che cade a terra. Applausi di Anthony Hopkins che lo benedisse con una lettera aperta di congratulazioni: «Mi sono emozionato quando l’ho letta. Il mio rapporto con Walter è indelebile, sarà sempre parte di me ed io sarò sempre parte di lui».

 

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L’unica serie che Cranston guarda è lo spin off ‘Better Call Saul’, per questioni di parentela. E’ troppo impegnato a lavorare: è produttore di almeno quattro serie tv, tra cui ‘Electric Dreams’ tratta dalle opere di Philip Dick, dirigerà un film l’anno prossimo, sarà tra i protagonisti del nuovo film di Richard Linklater ‘Last Flying’, presterà la voce al film animato di Wes Anderson ‘Isle of Dogs’ e sarà al fianco di Nicole Kidman in ‘Untouchable’.

 

Dal suo punto di vista, non esiste conflitto fra serie tv e cinema: «E’ la storia che detta il mezzo con cui va raccontata. Se avessimo avuto due ore a disposizione per raccontare la vicenda di ‘Breaking Bad’ avremmo perso tutte le sfumature, la lenta discesa all’inferno di quest’uomo. E’ come con il vino: puoi berlo subito, ma se aspetti è meglio. La pazienza è un valore. E ‘Breaking Bad’ insegna la pazienza e l’attesa ad una generazione di giovani velocissimi.

 

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Se permetti al pubblico di investire tempo sul tuo personaggio, non cambierà canale. Il cinema è un’esperienza completamente diversa. Vedere un film insieme a molte persone in una sala sviluppa energie che non si creano sul divano di casa. La cosa grandiosa, in entrambi i casi è che nell’arte non esiste errore. Nessuno sbaglia. Si fa e se smuove qualcosa, se genera conversazione, allora ha centrato il colpo».

 

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E a proposito di dibattito, non perde l’occasione per infilzare Trump: «Periodo buio nel mio paese e non solo nel mio paese. Francia, Gran Bretagna, Germania, tutti tentano di isolarsi e di creare muri, ma è anacronistico, impossibile. Viviamo ultraconnessi, dipendiamo dai nostri vicini, e da qui non si torna indietro. La mattina mi alzo e ancora non riesco a credere che Trump sia stato eletto presidente. Ha raccolto il consenso degli scontenti ma non rappresenta la maggioranza popolare.

 

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Ha vinto per via di un obsoleto sistema elettorale. Alla comunità creativa di Hollywood non piace affatto quell’uomo. Sta a noi artisti, se c’è oppressione, comunicare e condurre i cittadini altrove attraverso i progetti artistici. Al ‘Nation Theatre’ di Londra, faro presto l’adattamento di ‘Quinto potere’ diretto da Ivo van Hove, che sembra parlare dei nostri giorni. Detto questo, allacciamo le cinture di sicurezza e speriamo che la corsa non sia troppo accidentata».

 

Continua a profusione: «”Breaking Bad” non intendeva portare messaggi sociali o politici ma in un certo senso lo ha fatto perché sottolineava la gravità della  mancanza di assicurazione sanitaria. Una cosa vergognosa. Costerà a chi è più ricco, ma io sono felice di pagare per chi non può. Una società sana fa questo».

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Difende il ruolo degli insegnanti di tutto il mondo, sottopagati e sottostimati, ricorda di quando fu punto dalle api sul set, proprio sui genitali, e l’apicoltore gli rispose: «Là te lo togli da solo il pungiglione», e dispensa consigli agli appassionati di cinema: «La cosa più importante per la recitazione è la scrittura. Fondamentale. Una cosa scritta bene, si fa amare. E voi dovete amare quello che fate. Io l’ho capito a 22 anni, ho avuto successo tardi, a 40 anni, e nel frattempo non mi sono pentito mai.

 

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Dovete imparare a scrivere, recitare, mettervi  nei panni altrui, se volete ottenere rispetto e rispettare chi lavora al vostro fianco. Se volete diventare attori innanzitutto siate brave persone e poi cercate di correre molti rischi. Perché se sei una brava persona, la tua caduta non sarà mai rovinosa». Una mamma mormora uscendo dalla sala: «Dodicenni che piangono e si commuovono per Bryan Cranston…allora il futuro non è così perduto».  

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