antonio annarumma

IL CELERINO ANTONIO ANNARUMMA VIENE UCCISO: COSI’ INIZIANO GLI ANNI DI PIOMBO – ARRIVA IN LIBRERIA UN VOLUME CHE RACCOGLIE GLI ARTICOLI SUL TERRORISMO SCRITTI DA GIAMPAOLO PANSA, DA PIAZZA FONTANA A MARCO BIAGI – 19 NOVEMBRE 1969, È UNA BATTAGLIA VIOLENTA A MILANO. L’AUTISTA DI UN GIPPONE, ANTONIO ANNARUMMA, VIENE COLPITO ALLA TESTA E MUORE. VENIVA DA MONTEFORTE IRPINO. AL PADRE DELLA FIDANZATA AVEVA SCRITTO: “MI DEBBO CONGEDARE? COSA POSSIAMO DAVANTI A TUTTA QUELLA GENTE CHE CI INSULTA? MA PERCHÉ CI ODIANO?”

Da “La Verità”

 

PANSA PIOMBO E SANGUE

Per gentile concessione dell’editore Rizzoli pubblichiamo dei brani del nuovo libro di Giampaolo Pansa, Piombo e sangue.

 

Il volume, curato dalla moglie Adele Grisendi e Marco Damilano, disponibile da oggi nelle librerie, vive degli articoli più folgoranti del grande cronista, mancato nel 2020, che riguardano una della pagine cruciali del Novecento italiano, quel crogiolo di lotta politica, rivendicazioni sociali e rischi di derive antidemocratiche che va dagli anni Sessanta agli Ottanta.

 

Da piazza Fontana a Marco Biagi: violenza e terrorismo nelle cronache di un grande giornalista, è il sottotitolo a indicare al lettore dove andrà a pescare la penna del nostro storico collaboratore.

 

ANTONIO ANNARUMMA 56

L’estratto che segue, dal secondo capitolo, racconta un episodio che la sinistra ha sempre cercato di nascondere, di far passare sotto un imbarazzato silenzio, ovvero l’omicidio del celerino Antonio Annarumma, avvenuto a Milano il 19 novembre 1969, un presagio terribile della scia di sangue inaugurata di lì a poco dalla strage della Banca nazionale dell’agricoltura.

 

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Lo sciopero generale per la casa vede a Milano silenziose strade vuote, qualche auto agile e tranquilla in corso Italia, non trovo un bar aperto, l’edicola di piazza Missori è chiusa, niente giornali perché anche i tipografi si sono fermati. Piazza del Duomo è proprio come domani la descriverà un cronista dell’Unità in vena di abbandoni, «un andare pigro di poche persone, e la corsa felice dei bambini che inseguono i colombi sul sagrato». Anch’io vado al Lirico per il comizio dei sindacati. Non ho obbligo di servizio, «non accadrà nulla,» dico a mio figlio «vedi, non prendo neppure il taccuino».

 

giampaolo pansa

[…] Adesso sono le 11.40. Il dramma s’inizia qui e, credo, per un doppio errore. Il primo lo commettono gli operai. Usciti dal Lirico, si trovano di fronte la polizia e non possono non pensare che non sia lì per loro, a controllare il loro comizio, un controllo che sembra ossessivo e assurdo in quella giornata di festa. «Cosa fate? Andatevene», «Non provocate», e poi «Polizia fascista», «Piesse-esse esse, Piesse-esse esse». Intanto, lentamente, la gente abbandona il teatro, il sole è alto, l’aria frizzante, e su via Larga si apre un cielo sempre più azzurro.

 

C’è un momento d’incertezza. Il funzionario o l’ufficiale che comanda il reparto ordina di svoltare in via Rastrelli, sul fianco del Lirico, forse per raggiungere la testa del corteo unionista che sta tornando al Duomo, o forse per sottrarre gli uomini al «contatto» con la folla che esce dal comizio. Nella manovra, una jeep viene fermata. Un giovane si aggrappa al telo, ma il veicolo riparte di scatto, col motore imballato, e getta a terra, senza ferirli, uno o due passanti.

MORTE DI ANTONIO ANNARUMMA

 

La voce si propaga fulminea: «Hanno travolto un vecchio!», e in via Larga la pressione degli operai contro gli automezzi della PS aumenta. Molti giovani, ma anche operai anziani, gridano e si fanno sotto i reparti, trattenuti a stento dal servizio d’ordine dei sindacati.

 

[…] Non sento squilli di tromba, ma soltanto, improvviso, il miagolio di una, tre, cinque, dieci sirene. Poi il rombo dei motori al massimo, ed ecco jeep e gipponi a fortissima velocità scatenarsi lungo via Larga in direzione di via Albricci. È una carica paurosa, la folla urla, non serve ripararsi sui marciapiedi perché gli autisti ti inseguono anche lì, poi i botti secchi dei primi lacrimogeni, l’aria presto ne è grigia.

 

PANSA

De Antonellis e io fuggiamo lungo via Rastrelli insieme a tanti altri, ma ci sono anche dei giovani che si mettono subito a disselciare la strada con paletti di ferro, uno grida a un altro: «Te l’avevo detto, bisognava portare la borsa con le pietre». Ma le pietre si trovano, e anche i paletti di ferro, e anche i tubolari presi da un cantiere che sta rifacendo la facciata al palazzo dell’anagrafe, e proprio su via Larga, accanto al Lirico.

 

Dai marciapiedi cominciano a reagire i primi gruppi, li direi tutti di operai o di gente appena uscita dal comizio: lanciano sbarre e tubi al centro della via per frenare le cariche delle jeep. Solo più arriveranno un po’ di «unionisti», studenti usciti dalla Statale, gente sbucata da chissà dove. Ed è prima dell’arrivo di costoro che, dal marciapiede opposto a quello del Lirico, qualcuno getta una sbarra contro un gippone del 3° Celere che torna dalla carica. Un gippone con la guida a destra, l’autista quindi sta dalla parte del marciapiede, è senza elmetto e la sbarra lo colpisce alla testa.

 

ANTONIO ANNARUMMA MORTE

[…] L’autista colpito viene raccolto dai colleghi. Sull’asfalto, accanto al veicolo, c’è una chiazza di sangue con tracce biancastre di materia cerebrale. Intanto la battaglia di via Larga prende corpo. Sirene, gas lacrimogeni, molti civili fuggono, ma molti cercano lo scontro con la polizia. L’impalcatura dell’anagrafe serve per una prima barricata quasi a metà di via Larga. Si portano assi, carriole, paline spartitraffico.

 

Sugli agenti piovono cubetti di porfido, dei giovani issano sui bastoni due berretti a visiera «conquistati» e dati alle fiamme. Qualcuno si nasconde il viso con i fazzoletti, ne vedo anche di quelli rossi con il motto dell’Unione, mentre dei dimostranti si accaniscono contro i due veicoli che si sono scontrati e ne fracassano i vetri con tubi e sbarre.

 

ADELE GRISENDI GIAMPAOLO PANSA

[…] È una battaglia violenta, come da anni Milano non vedeva, su un fronte che si estende a piazza Santo Stefano, a piazza Fontana, a largo Augusto, a via Pantano. Si sparano lacrimogeni anche davanti all’Arcivescovado, mentre si odono le sirene delle ambulanze. Verso le 13, attorno all’università (in via Bergamini e all’imbocco di piazza Santo Stefano e di largo Richini) compaiono tre barricate, tre fragili steccati fatti di bidoni della spazzatura, travi, carriole, lamiere, sacchi di cemento prelevati da un cantiere vicino, in cima qualche bandiera rossa. Polizia e carabinieri non le assalgono, si limitano a controllarle da lontano, mentre quelli degli steccati scandiscono: «Lenin-Stalin-Mao Tse Tung».

 

[…] Milano scivola lentamente verso la notte, e nelle caserme della polizia passa di bocca in bocca un nome sconosciuto, Antonio Annarumma, è l’agente morto nello scontro, è spirato alle 14.27 al reparto di chirurgia d’urgenza del Policlinico. Aveva 22 anni, veniva da Monteforte Irpino, un paese della provincia di Avellino, stretto a Sud dalla «piana della disperazione», quella di Battipaglia, e a Nord dal deserto dell’alta Irpinia.

 

I DISORDINI A MILANO CHE PORTARONO ALLA MORTE DI ANTONIO ANNARUMMA 1

Quattromila anime, ma mille sono emigrati, vivono all’estero anche due delle sorelle di Annarumma; appena si può, via da questo posto dove non manca solo il lavoro, ma tutto, niente cinema, niente ritrovo, niente sala da ballo, una piazza per passeggiare e basta. La vita è ferma a due secoli fa, guardare il nastro lucido dell’autostrada Napoli-Bari, a mezza costa sulle colline che fronteggiano Monteforte, è come guardare la luna. Di qui viene il poliziotto ucciso in via Larga, l’unico figlio maschio di Carmine Annarumma, un bracciante con tendenze di sinistra, come tanti in paese dove il 35 per cento dà il voto al Pci e le sinistre sono in maggioranza assoluta.

 

[…] Il 1969, a Milano, è un anno pesante per la polizia, e forse Antonio ne è stanco. In novembre ha scritto così al padre della fidanzata: «Caro papà, voglio da voi un consiglio. Mi debbo congedare? Questa vita non me la fido di fare, è disastrosa a causa degli scioperi. Cosa possiamo davanti a tutta quella gente che ci odia, che ci insulta? Ma perché ci odiano?».

 

marco damilano

[…] La ribellione esplode sette ore dopo la morte di Annarumma. Un piccolo fuoco (proteste, rifiuto di partire in piena notte per un nuovo servizio, grida in cortile sino all’alba) si era già acceso la sera precedente alla caserma Adriatica, alla Bicocca, quella dell’agente ucciso. Ma è nulla rispetto all’incendio che adesso divampa nel cuore della città, nella caserma del raggruppamento Milano di piazza Sant’Ambrogio. Sono le 21,30, rientrano gli uomini inviati a Bergamo alle tre del mattino, una giornata logorante, le ossa a pezzi, e «sulla loro stanchezza, sulla loro esasperazione», scrivono i cronisti della Domenica del Corriere, «cade come un detonatore la notizia della morte di Annarumma».

 

I DISORDINI DI MILANO CHE PORTARONO ALLA MORTE DI ANNARUMMA

Gli agenti (molti sono giovanissimi) si raccolgono eccitati nel cortile e subito un cordone di ufficiali e di poliziotti anziani cerca di fermarli, bloccando l’uscita. Dal di fuori si sentono urla sempre più alte, poi i clacson e le sirene, quindi i botti dei lacrimogeni nelle camerate e le prime volute di gas arrivano sin sulla via. Dentro premono per uscire, i più accesi pare siano i 150 uomini giunti da Cesena, vogliono esser lasciati liberi di marciare sull’università, per «vendicare Annarumma», per «fare pulizia». […].

ANTONIO ANNARUMMA

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