1. CI RISIAMO CON LE SCOPATE. MA “NYMPHOMANIAC” PARTE SECONDA PREFERISCE LO SBERLEFFO ALLA GRATIFICAZIONE DELLO SPETTATORE (MA ANCHE LO SBERLEFFO FUNZIONA…) 2. ALMENO UN RACCONTO DELLE AVVENTURE DI JOE È DI GRANDE DIVERTIMENTO, QUANDO CIOÈ SI RITROVA IN UNA CAMERA D’ALBERGO CON DUE RAGAZZI AFRICANI IN EREZIONE CHE DISCUTONO ACCANITAMENTE SU CHI DEVE PRENDERE JOE DA DIETRO E CHI DA DAVANTI. SONO ANCHE QUESTE PROIEZIONI DELLA CHIESA D’ORIENTE E DELLA CHIESA D’OCCIDENTE? 3. ALLA FINE È VERO CHE SI RIMANE UN PO’ DELUSI DA QUESTO CUPO VIAGGIO VERSO LA SESSUALITÀ PROFONDA DI JOE-CHARLOTTE GAINSBOURG E LA SUA VOGLIA DI “RIEMPIRE TUTTI I BUCHI” E DI ASCENDERE IN CIELO, MA LARS VON TRIER NON FA ALTRO CHE COSTRUIRE IL SUO FILM RIEMPIENDO TUTTI I BUCHI DELLE TRAME CHE HA MESSO IN CAMPO. NON POTEVA CHE ANDARE A FINIRE COSÌ. VI CHIEDO SOLO DI NON ESSERE AFFRETTATI NEL GIUDICARE UN FILM CHE HA BISOGNO DI QUALCHE RAGIONAMENTO E DI UN PO’ DI DISTACCO

Nymphomaniac II di Lars von Trier.

Ci risiamo con le scopate. Dove eravamo rimasti alla fine di "Nymphomaniac I" di Lar von Trier? Ah, sì, all' "Io non sento niente!" di una Joe che, nel suo percorso di ninfomane, è arrivata a non sentire più nulla durante i rapporti sessuali. Non viene più. Una maledizione che si porterà avanti per tutte le due ore di "Nymphomaniac II", in un viaggio sempre più cupo e depresso alla ricerca di una soluzione al suo delirio di soddisfazione sessuale.

Non vi aspettate una seconda parte alla "Kill Bill II" di Quentin Tarantino con l'esplosione di tutti i temi messi in campo nella prima parte e un gran finale gratificante. "Nymphomaniac II" propone proprio la direzione inversa e preferisce lo sberleffo alla gratificazione dello spettatore (ma anche lo sberleffo funziona...).

Come ben spiega nel film il dialogo tra Steligman, l'ebreo non ebreo che ascolta, e la Joe che racconta, stavolta si va dalla luce alle tenebre, cioè dalla Chiesa d'Oriente alla Chiesa d'Occidente. Quanto al senso del titolo del racconto messo in scena da Joe, "La papera silenziosa", pensiamo a una mano che si chiude a testa di papera e pensiamo in quale cavità potrebbe nascondersi.

Un gioco, ovviamente, ma anche una specie di cancellazione del divertimento intellettuale che ci aveva mostrato nella prima parte del film il regista. Come un voler togliere al racconto delle avventure erotiche di Joe anche quella dimensione per farlo sprofondare in un territorio di sofferenza, dove il divertimento letterario è ridotto a una battuta.

Rispetto alla prima parte del film, si perdono così molte delle note divertenti di Steligman, uno Stellan Skarsgard sempre più grande, anche se veniamo a sapere che esattamente come lui è sospeso dall'essere ebreo è sospeso da qualsiasi atto sessuale. E' vergine. Per questo può ascoltare e commentare con distacco letterario e scientifico quello che racconta Joe.

All'azzeramento sessuale di Steligman, Lars von Trier fa corrisponde con un'altra perdita, quella della freschezza e della gioiosità della sua Joe ragazzina, Stacy Martin, per mostrarci la Joe adulta e sofferente di Charlotte Gainsbourg. Anche se in un fondamentale flashback ritroviamo Joe addirittura bambina in un momento di estasi mistica nella natura, divisa fra una lievitazione in cielo mentre le appaiono due figure di donne adulte, una Madonna con bambino e una matrona su un bue, che Steligman le rivelerà essere piuttosto la Messalina romana e la Grande Meretrice di Babilonia. Occidente e Oriente.

Inoltre almeno un racconto delle avventure di Joe adulta è di grande divertimento, quando cioè si ritrova in una modesta camera d'albergo con due ragazzi africani in erezione che discutono accanitamente su chi deve prendere Joe da dietro e chi da davanti. Sono anche queste proiezioni della Chiesa d'Oriente e della Chiesa d'Occidente?

Fa ridere anche il racconto di Joe con il suo bel Jerome, Shia LeBouef, a cena in un ristorante, con Joe che si nasconde proprio dove pensate voi una serie di posate, che poi le cadranno per terra rumorosamente sotto lo sguardo stupito di un Udo Kier (immancabile!) nei panni del cameriere.

A un certo punto potrebbe aprirsi per Joe e Jerome una vita tranquilla. Ma è proprio Jerome a rendersi conto di non essere più in grado di soddisfare i suoi bisogni sessuali. E neanche la nascita di un figlio, Marcel, servirà a nulla. Un figlio che Joe lascerà la notte in cerca di una soddisfazione sempre più contorta, scivolando così nel masochismo, facendosi cioè frustare da uno strano torturatore, Jamie Bell.

Quante frustate? Beh, gli antichi Romani ne davano un massimo di 40. Ma siccome le frustate si davano a gruppi di tre, in realtà erano 39. Ovviamente i numeri, soprattutto la sequenza numerica di Fibonacci ritornano dominante nel film. A cominciare, appunto, dal numero di frustate che Joe riceverà in regalo la sera di Natale, dopo che ha lasciato la sua famiglia ben cosciente di quel che stava scegliendo.

Rimarrà sola e finirà nella banda di Willem Dafoe, dove, grazie alla sua conoscenza delle tecniche di tortura e del dolore, diventerà un'ottima esattrice di pratiche inevase. Farà pagare cioè anche i clienti più riottosi individuandone i punti deboli grazie alla sua esperienza in depravazione e tortura.

Grandiosa è la sequenza dove scopre, con il solo racconto di pratiche sessuali, la depravazione nascosta di un cliente che non vuol pagare, il Jean-Marc Barr di "E la chiamano estate" di Paolo Franchi, che si ecciterà solo parlando di pedofilia. Nell'ultimo dei suoi capitoli, incontrerà una ragazzina, P, interpretata da Mia Goth, che ha un orecchio deforme, e la alleverà come sua assistente e amante.

E' una sorta di versione oscena della Joe ragazzina che sta costruendo, e ovviamente le si rivolterà contro come fosse lo specchio deformato della sua giovinezza. Ma perfino il Jerome adulto che si ritroverà davanti, interpretato da un altro attore, più vecchio e più brutto di Shia LeBouef, è una versione oscena del Jerome che lei ha amato da giovane.

Il viaggio verso le tenebre della Chiesa d'Occidente, quindi, si va costruendo come un viaggio rovesciato verso il buio che abbiamo visto nei primi due minuti di film che chiuderà ovviamente ogni cosa. Senza raccontarvi l'ultima beffa di Lars von Trier, che stupirà molti degli spettatori del film, alla fine tutto è molto logico e consequenziale nel film. Tutti i fili messi in scena trovano la loro spiegazione.

La macchia sul muro lasciata da una tazza di tè lanciata casualmente da Joe, prenderà la forma di una pistola. E quando si mette in campo una pistola in un film, questa deve sparare. Lo svuotamento del racconto picaresco delle avventure sessuali di Joe porteranno a una sorta di sua nuova verginità, che non potrà essere turbata.

L'estasi mistica della Joe ragazzina potrà davvero essere letta in modi diversi, specchianti, la sua ascesa tra le visioni della Madonna/Messalina e la Grande Meretrice di Babilonia. Del resto "Lo specchio" è il titolo del secondo lungo capitolo delle avventure di Joe in questa seconda parte del film. E sui giochi di specchi e di personaggi che si deformano in immagini che non avevamo capito subito è costruito gran parte del film e sono costruiti gran parte dei suoi personaggi.

Perfino i due ragazzi neri che si contendono le cavità di Joe rappresentano un'immagine blasfema della sua estasi. E il suo Natale fatto di 39 frustate non è forse un anti-Natale voluto in sfregio alla religione cattolica e all'idea borghese di famiglia? Alla fine è vero che si rimane un po' delusi da questo cupo viaggio verso la Chiesa d'Occidente e verso la sessualità profonda di Joe e la sua voglia di "riempire tutti i buchi" e di ascendere in cielo, ma Lars von Trier non fa altro che costruire il suo film riempiendo tutti i buchi delle trame che ha messo in campo. Non poteva che andare a finire così.

Vi chiedo solo di non essere affrettati nel giudicare un film che ha bisogno di qualche ragionamento e di un po' di distacco. E, comunque, dobbiamo ancora aspettare la versione di cinque ore che ci è stata promessa, ma che non dovrebbe aggiungere così tanto a queste densissime quattro ore di avventure di Joe. In sala dal 24 aprile.

 

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