1. CI VOLEVANO DUE DONNE DEL CALIBRO DI SONIA RAULE CONIUGATA TATÒ E DI NICOLETTA MANTOVANI VEDOVA PAVAROTTI PER PRODURRE IL CAPOLAVORO STRACULT DEL FESTIVAL 2. "E LA CHIAMANO ESTATE" DI PAOLO FRANCHI, ACCOLTO CON RISATE E BATTUTE IN SALA (“E LO CHIAMANO FILM!”) È UN DISASTRO AUTORIALE CON DIALOGHI FINTO-ANTONIONI E CON ISABELLA FERRARI CHE MOSTRA LA TOPA PRATICAMENTE IN OGNI SCENA 3. LA STORIA VEDE UNA COPPIA FRA ORGE CON SCAMBISTE, PRATICHE FETENTI CON MIGNOTTE MENOMATE O MAL TENUTE, CON BATTUTE DEL TIPO: "PISCIAMI ADDOSSO", "LA TUA DISPERAZIONE MI FA SENTIRE UNICA", "UNA SCOPATA E' TROPPO, MEGLIO UN POMPINO" 4. “BULLET TO THE HEAD” DI WALTER HILL CON STALLONE E IL SUO PARRUCCHINO SPACCA

Marco Giusti per Dagospia

Sylvester Stallone e Walter Hill in questo antiquato, fracassone ma perfetto e stiloso "Bullet To The Head" ambientato in quel di Crescent City, Louisiana, dove gangster e poliziotti sono più' cattivi e incazzati dei critici dopo la visione di un film italiano, spaccano di brutto. Pensavamo di trovarci di fronte a due rottami del piddì tipo Bettini e Veltroni pronti a riprendersi Roma, invece sia Stallone, malgrado un parrucchino alla Taracchi di Raimondo Vianello, che Walter Hill, ancora a suo agio nel poliziesco violento, funzionano alla grande.

Pieno di battute geniali, sia di Stallone, "non sono le pistole a uccidere, ma le pallottole", che dei cattivi ("Se avessi voluto la tua opinione ti avrei comprato un cervello"), il film segue la storia di un vecchio killer dal nome quasi tremendo, Jimmy Bobo e dalla passione per un solo whiskey (il Bullett Browser, e se lo porta al bar offrendo 20 dollari per l'affitto del bicchiere), che si ritrova in trappola mentre e' in azione. Il suo partner Louis stecchito. E qualcuno lo ha tradito.

Deciso a scoprire chi sono gli infami responsabili dello sgarro e a vendicarsi, Jimmy Bobo si associa a un giovane detective coreano, Stanley Kwan, interpretato da Sung Kang, che lui scambia per giapponese ("come dire che gli italiani mangiano tacos" risponde lui), e inizia la sua lunga vendetta. Beh, come recita anche la frase di lancio del film, la vendetta non diventa mai vecchia.

E Stallone, in quel di Crescent City, semina il panico, facendo fuori un gran numero di cattivi e sbirri corrotti prima di arrivare al finalone che lo vedra' in un duello all'accetta con un mercenario psicopatico interpretato dal samoano Jason Momoa, che e' gia' stato un pessimo Conan. Tratto da una graphic novel francese di Matz e Colin Wilson, adattata dallo sceneggiatore italiano Alessandro Camon (bella sorpresa), diretto con grande serieta' di genere da un Walter Hill che non ha perso il suo smalto, il film offre al festival un gran momento di cinema e del tanto agognato glamour.

Capolavoro totale stracult, accolto con risate e battute in sala praticamente dall'inizio alla fine, "E la chiamano estate" diretto da Paolo Franchi, scritto da un pool di ben sei persone tra soggettisti e sceneggiatori, prodotto da Nicoletta Mantovani per la Pavarotti International, e' proprio quello che ci aspettavamo. Un disastro autoriale con una serie di battute finto-antonioni da antologia, ma anche una gran prova di coraggio per Isabella Ferrari che parte mostrandoci il primo piano della sua topa e sara' nuda praticamente in ogni scena.

La storia vede una coppia, la bella Anna, la Ferrari, e l'anestesista Dino, il povero Jean-Marc Barr doppiato da Adriano Giannini, che si amano ma hanno dei problemi. Lui non solo non riesce a far l'amore con lei, ma oltre a fare ogni genere di porcate la sera, fra orge con scambiste, pratiche fetenti con mignotte menomate, Eva Riccobono, o mignotte mal tenute, la povera Alessandra Vanzi (che si sente dire "pisciami addosso"...), cerca i vecchi fidanzati di lei per convincerli a scoparsela. E' un lunghissimo elenco, che va da Luca Argentero fino a Maurizio Donadoni.

E nessuno ci vuole tornare. La Ferrari finira' tra le braccia di un giovane amante occasionale, Christian Burruano, che non la prendera' benissimo ("sono le donne come lei che ti fanno diventare cattivo"). Come abbiamo intuito fin dall'inizio la storia e' finita malissimo e si mescolano piani temporali e ricordi diversi sulla storia della coppia.

Purtroppo il pubblico non sembra aver capito la finezza del tessuto letterario (nel disastro e' coinvolta anche la sceneggiatrice di Nanni Moretti, Heidrun Schleff) ed e' sbottato a ridere a ogni battuta della coppia, da "Tu non hai idea di quanto sono stanco" a "Anna, fatti un amante", da "la tua disperazione mi fa sentire unica" a "una scopata e' troppo, meglio un pompino". Quando un critico, nel buio della sala ha ironizzato sul titolo urlando "E lo chiamano film" era difficile dargli torto. Ma rimane il capolavoro indiscusso del Festival (insieme al film di Lucarelli).

 

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