COME VIVERE, E MALE, SENZA INTERNET: L’ESPERIMENTO DI STARE PER UN ANNO DISCONNESSI DALLA RETE

Leonard Berberi per "Il Corriere della Sera"

Chissà quanto sarebbe contento Marshall McLuhan di Paul Miller. Di questo giornalista specializzato in tecnologia che, a 26 anni, ha fatto l'esatto contrario di quello che fanno i ragazzi della sua età: si è disconnesso dal Web. Per scoprire, alla fine, che ormai Internet è parte della nostra vita, un pezzo di esperienza reale. Quasi a confermare quello che proprio McLuhan, il padre del «villaggio globale», aveva intuito nel 1964.

Per 365 giorni Paul Miller ha staccato il cavo Ethernet, ha disattivato il wifi, ha messo da parte smartphone e tablet e ripreso in mano un vecchio telefonino, di quelli che fanno soltanto chiamate e inviano messaggini. «Pensavo che Internet mi stesse rendendo improduttivo e "corrompendo l'anima"», scrive lui sul sito del quotidiano The Verge.

«All'inizio del 2012 ero esausto. Volevo staccare per un po' dalla vita moderna, quella ruota per criceti fatta di caselle di posta elettronica, quel fiume incessante di www... volevo scappare». E così, alle 23.59 del 30 aprile 2012, Paul decide che è troppo. Che è venuto il momento - dopo quattordici anni di vita online - di dedicarsi alle «cose importanti»: la famiglia, gli amici. E, perché no, anche la lettura.

Nelle prime settimane l'impatto è positivo. Con giornate fatte di passeggiate e ore in sella alla bici. Di situazioni particolari. Come il mega raduno di 60 mila ebrei ultraortodossi, in uno stadio di New York, per ascoltare alcuni rabbini sui pericoli di Internet. Di momenti toccanti: come le lacrime dopo aver sfogliato I Miserabili.

Di scoperte: come la capacità di leggere anche cento pagine dell'Odissea senza interruzioni, «mentre prima era difficile arrivare a una decina». «Ho pure perso sette chili senza volerlo», rivela. I rapporti umani, pure quelli, migliorano. Senza la distrazione delle continue notifiche che arrivano sullo smartphone.

Poi, però, nella vita offline di Paul succede qualcosa. «Verso la fine del 2012 mi sono chiuso in me stesso e ho abbandonato ogni attività. Il mio frisbee si è coperto di polvere, uscivo poco e il mio posto preferito era diventato il divano». Anche le relazioni, alla lunga, peggiorano: «Senza i social network è più difficile mantenere i contatti con le persone».

Paul pensava fosse il contrario, ovvero che le relazioni virtuali sottraessero tempo prezioso a quelle reali. Ha scoperto invece che non è affatto così. «Un amico si è trasferito l'anno scorso in Cina e da allora non parlo con lui. Un altro si è immerso così tanto nel suo lavoro da scomparire, mentre io ho finito per perdere ogni contatto con la vita quotidiana».

Così la «fuga», un anno dopo, si ferma. Giusto il tempo di ammettere l'errore. Di scoprire che il mondo, là fuori, non può fare a meno della Rete. «Internet è un posto reale dove trovare le persone», spiega. Per questo, forse, non ha più senso usare la parola «virtuale» per distinguere due mondi. Il mondo, ora, è uno soltanto.

Anche gli affetti più intimi viaggiano su cavi e onde radio. «Mia nipote Keziah ha cinque anni, non sa cos'è il Web - racconta Paul -. Ma quando le ho domandato se si fosse chiesta perché non l'avessi mai chiamata su Skype quest'anno, ha risposto: "Ho pensato che tu non ne avessi più voglia". Così, con le lacrime agli occhi, le ho spiegato del mio anno senza Internet. "Ma ora sto tornando indietro e posso chiamarti di nuovo su Skype", le ho promesso».

 

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